mercoledì 27 novembre 2013

Pantelleria: vento e terra


Sicilia. Quasi Africa. Pantelleria.
Per raggiungerla mi affido, ancora una volta, al traghetto della Siremar. Precisamente la tratta notturna, sicché una volta salpati, a largo, non ci sono più luci: il cielo è nero, il mare è un poco increspato, nero anch'esso. E si naviga così, sospesi nel buio. Tutta la notte.
Poi, all'alba, eccola. Finalmente. La sagoma dell'isola.
Il rosso inizia a tingere il cielo del nuovo giorno. Venere brilla alto nel cielo. E l'isola si rivela. 
E' grande, nera, montuosa. Promette avventure. 

Il nome Pantelleria deriva dall'arabo "Ben el Riah" ossia "figlia del vento" e mai nome fu più appropriato: un piacevole vento marino corre su tutta la superficie dell'isola, e passa leggero e fresco sul collo, come uno scialle di seta, dandomi il benvenuto. Accompagnandomi a scoprire le meraviglie di quest'isola. 
La prima, è che ci si sente liberi. Come il vento.
E con questa predisposizione d'animo, esploro.

E' sempre emozionante il primo giorno su un'isola, il primo contatto con il piccolo mondo che essa racchiude. E il mondo di Pantelleria è una sorpresa continua.
Quest'isola è aspra, selvaggia, misteriosa. O la si ama o la si odia. Non ho mai trovato nessuno che ne avesse un'opinione intermedia. Per me, è decisamente amore, un colpo di fulmine per la precisione. 
Una premessa però ci vuole: dimenticatevi la sabbia. Non c'è. Da nessuna parte di mare (solo al Lago di Venere). Se non amate le rocce e se non sapete nuotare (l'acqua è subito profonda), non è l'isola per voi.
Per tutti gli altri, seguitemi. 

L'Arco dell'Elefante
Il luogo più famoso di Pantelleria è L'Elefante: un promontorio adagiato sul mare, che termina in acqua con un'enorme pietra ad arco. Dalla forma pare proprio un pachiderma pietrificato, intento con la proboscide a bere l'acqua del mare. Chi resisterà dal tuffarsi subito in acqua per nuotare sotto l'arco, noterà la straordinaria varietà di roccia vulcanica che compone questa baia. E la presenza di intessantissimo legno pietrificato, che ho trovato qui e mai da nessun'altra parte.   

E' facile notare come, in tutta l'isola, le rocce, formate dalla lava raffreddata velocemente a contatto con l'aria, abbiano forme strane che il nostro cervello associa a facce umane o ad animali o creature mostruose, quasi che veramente siano gli stessi abitanti del passato, e le loro paure, ad essere stati pietrificati insieme alle colate laviche.

Balata dei Turchi
Dal punto di vista geologico, un altro imperdibile sito è la Balata dei Turchi: una cala vulcanica, di zolfo, di ossidiana lucidissima e lava, con grotte di sabbia fossilizzata. Oltre a fornirci una chiara indicazione sull'antica  dominazione dell'isola, la Balata dei Turchi offre un mare pulito, con il fondale che presenta grandi pietroni rocciosi, sui quali è abbondante la crescita di vegetazione marina.
Ovviamente, anche qui, non troverete sabbia. Bisogna adattarsi sulla roccia e stare molto attenti nell'entrare in acqua, perché la roccia è piuttosto appuntita e scivolosa.
In compenso sarete ripagati da un fondale ricco di pesci e, soprattutto, caratterizzato dalle stesse rocce vulcaniche che compongono la baia.

Laghetto delle Ondine
Non posso fare a meno di parlavi anche del Laghetto delle Ondine, così chiamato perché si forma tra le rocce, quando c'è mare grosso, dal riflusso delle acque.
 E' il luogo perfetto quando vorrete godervi un bel bagno e il mare sarà troppo mosso per farlo altrove. Qui potrete esplorare il fondale senza i pericoli del mare aperto.
Ma, se invece il mare lo consente e sapete nuotare bene, è molto bello il bagno oltre il Laghetto: uno strapiombo sommerso, profondissimo e illuminato solo in parte dai raggi trasversali del sole. 




Ma Pantelleria non è solo mare. Ha un entroterra verdissimo, dominato dalla Montagna Grande, che riserva interessanti sorprese, forse più che la costa.

Uva di Pantelleria
Prendendo la strada interna, che taglia per il centro dell'isola, appare infatti, a sorpresa, una lunga valle coltivata, attraversata dalla strada rettilinea. Siamo nel Mueggen, la zona più fertile di Pantelleria. 
Un ulteriore mondo a parte, nel mondo dell'isola. Al centro dell'isola.
La zona è coltivata soprattutto a vigneti. 
L'uva dorata, cresciuta al sole e con la buona terra lavica, arriva in grappoli generosi fino al margine della strada carrabile. 
E' l'uva con cui si farà il Passito di Pantelleria, il Moscato e lo Zibibbo. Ed è l'uva più buona che abbia mai assaggiato in vita mia.


Dammusi
Ma, oltre alla campagna, c'è anche una terra ricca di storia.
I Dammusi, innanzitutto. 
Sono le case tradizionali dell'isola, fatte in pietra lavica murata a secco, e oggi in parte recuperati e trasformati in vere e proprie abitazioni moderne, coperte da una cupola usata per raccogliere l'acqua piovana da convogliare nelle cisterne. 

Poi i monumenti funerari chiamati Sesi: costruzioni preistoriche con pietre a secco disposte a cupola, divisi  all'interno in celle funerarie. 
E la stele funeraria preistorica, in contrada Rekale.

Stele funeraria
Sese











Giardino arabo
Notevoli i giardini panteschi, fatti anch'essi con la pietra lavica murata a secco, con la duplice funzione: proteggere le piante dal vento e trattenere l'umidità necessaria per la coltivazione di aranci e limoni. Di chiara ispirazione araba, i giardini non sono i soli segni di questa antica dominazione: le contrade conservano, infatti, i nomi arabi: Bukkuram, Khamma, Rekale, Scauri, Tracino.


Siete sorpresi dalle tante peculiarità di Pantelleria?
Bé, non è ancora tutto. 
Non si può parlare dell'isola trascurando l'attività vulcanica che si cela sotto la sua terra. 
Sorgenti d'acqua calda sottomarine sono presenti sia a Nikà, sia a cala Gadir. 
Le fumarole escono da più punti della montagna. 
La Grotta di Benikulà (detto anche Bagno Asciutto) è una spaccatura nella roccia che forma una piccola caverna. Qui la roccia emana un caldissimo vapore naturale. Ci vuole un po' di coraggio a entrarvi, ma poi ci si abitua al vapore, alla roccia calda, all'odore forte, e si inizia a respirare profondamente, insieme alla terra, per purificare le vie respiratorie e la pelle. 
Sembra si scendere al centro della Terra. Si esce rigenerati, con la sensazione di non aver mai respirato veramente, prima.
La Grotta di Sàtaria ha, invece, sorgenti d'acqua termale naturale, calda, raccolta in vasche di pietra usate per la cura dei reumatismi.

Grotte di Sàtaria
  

E infine l'ultimo gioiello di Pantelleria: come una pietra incastonata tra le montagne, appare il Lago di Venere.
Siamo in una valle, nei resti di una caldera vulcanica. La pace è totale, non arriva nessun rumore se non lo sciacquettio dell'acqua e il cinguettio degli uccellini. Volano intorno libellule coloratissime. L'acqua è calda, calmissima e densa. La densità dell'acqua tiene a galla senza fatica. E rilassa.
Nella sponda sud del lago, è evidente l'attività vulcanica: sorgenti d'acqua calda e fanghi termali ricchi di zolfo la fanno da protagonisti. E non è raro vedere i visitatori immersi nell'acqua calda, poi cospargersi dei fanghi del fondale e camminare intorno alle rive del lago, aspettando che il fango si secchi totalmente, prima di risciacquarlo. L'effetto sarà una pelle liscissima, mondata da tutte le impurità, e un animo sereno, purificato anch'esso dalla assoluta pace del luogo e dalla ritualità dei fanghi.

Lago di Venere


Qual è, dunque, l'anima di Pantelleria? 
Ognuno si sarà fatto la propria opinione leggendo questo post, dopotutto sono così tanti gli elementi caratteristici di Pantelleria che non sarà difficile averne una. Ma per me non ci sono dubbi, due elementi riassumono l'essenza di Pantelleria, sono la sua anima: il vento e la terra.
Il vento che attraversa costantemente l'isola, la accarezza d'estate e la percuote d'inverno, è sicuramente parte di essa e di quello che è.
E poi la terra: verde e nera, vulcanica, dura, così intensamente presente. Le pietre, i dammusi, le coltivazioni della vite, le manifestazioni vulcaniche, cosa sono, se non figlie della terra? O dell'uomo che ama questa terra? 
La meravigliosa terra dell'isola di Pantelleria.



giovedì 21 novembre 2013

Il fascino dantesco di Vulcano


L'isola di Vulcano

Siamo ancora una volta alle isole Eolie.
Vulcano è l'isola più vicina alle coste siciliane e la prima che incontrerete durante la navigazione, partendo da Milazzo. Naturalmente si può raggiungere anche dalle altre isole Eolie, così come ho fatto io.
Secondo la mitologia greca, proprio a Vulcano si trovavano le Fucine di Efesto, il dio del fuoco, chiamato dai romani Vulcano, da cui l'isola prende appunto il nome.
Uno dei vulcani da cui è formata l'isola è ancora attivo, e la sua presenza è evidentissima in tutto il territorio.

Varietà rocciosa lungo un tratto di costa
Un'esperienza che mi sento di consigliarvi è quella di affidarvi a un locale che vi porti in barca a compiere il periplo dell'isola. 
Dal mare potrete infatti apprezzare  l'interessante composizione geologica di Vulcano. 
Le rocce, spesso a picco sul mare, hanno dei colori che vanno dal rosa, al rosso, al giallo al nero e al verde, a seconda degli elementi di cui sono composte. Un paradiso per i geologi! Ma anche per gli occhi di qualunque visitatore.
Osserverete valli selvagge e isolate, immerse nel più assoluto silenzio.
Farete quasi sicuramente sosta a Cala Gelso, vicino al faro, in una spiaggia dalle sabbie nere, dove vi sentirete piacevolmente immersi in un bel clima vacanziero e isolati dal mondo al tempo stesso.
 
Acque cristalline di Vulcano
Inoltre potrete fare il bagno in punti altrimenti non accessibili. In alcuni tratti della costa, l'acqua è davvero invitante: limpida  e di uno splendido colore turchese.
Il fondale è ricco di fauna e flora marina, purtroppo non mancano le meduse, ma con un po' d'attenzione riuscirete a schivarle e a godervi un meraviglioso bagno.




Grotta
Anche la presenza delle grotte marine non è da sottovalutare. In alcune, conosciute solo dai pescatori del luogo, è addirittura possibile addentrarsi e, dopo aver nuotato nel buio più totale, farsi guidare da un puntino di luce che ne indica l'uscita dal versante opposto della montagna. Naturalmente non dovete mai avventurarvi da soli alla ricerca di queste grotte: è molto pericoloso senza una guida preparata!


A questo punto avrete sicuramente intuito la bellezza di Vulcano, forse starete addirittura pensando di includerla tra le mete preferite per le vostre prossime vacanze, ma ancora non siamo arrivati al cuore di questo post. 
L'anima di Vulcano è stata ancora solamente accennata.
Chi attracca direttamente sull'isola, senza compiere il periplo, al Porto Levante, se la trova subito davanti. Per questo "vi ho fatto fare il giro in barca": per prepararvi a poco a poco, anticipandovi la natura vulcanica del luogo. Perché, una volta attraccati, quello che vi troverete davanti sarà impressionante. 
A destra avrete Vulcanello, una penisola che prende il nome da un vulcano ormai spento, ora ricoperto da vegetazione e composto da rocce laviche, collegato da un istmo all'isola. A sinistra il vulcano vero e proprio, quello ancora in attività, verdeggiante e fumoso. Davanti a voi grosse rocce di zolfo dalle strane forme.
E proprio l'odore di zolfo vi darà il il benvenuto sull'isola.

Laghetto dei fanghi caldi




Fatti quattro passi, vedrete subito i famosi e suggestivi laghetti con i fanghi sulfurei di Vulcano. Questo è un luogo affascinante e infernale al tempo stesso: ci sono rocce rosa, nere e gialle; fumarole calde che escono dalla terra; odore pungente di zolfo; acque che ribollono; fanghi composti da così tanti elementi da possedere una straordinaria varietà cromatica. C'è una scultura in pietra lavica, circondata da zolle di zolfo, che raffigura un uomo curvo, dall'espressione sofferente. E, infine, c'è la gente che si immerge in queste acque.

Scultura in pietra lavica
Fanghi










Sembra di essere in un girone dantesco. L'atmosfera è irreale. Il paesaggio alieno. Si ha la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di inquietantemente rituale, eppure affascinante.
In realtà i fanghi sono terapeutici, noti per la cura di reumatismi, artrosi e malattie della pelle.
E credo che sia proprio qui, il senso profondo dell'isola.
Lo zolfo, le fumarole, l'acqua che ribolle: siamo di fronte alle più antiche manifestazioni della Terra, in pieno contatto con un vulcano attivo, con le viscere della terra. Proviamo timore, come se ci trovassimo di fronte a qualcosa di sacro, e  proviamo attrazione ancestrale.
E da tutti questi fenomeni, con cui l'isola manifesta la sua anima vulcanica, traiamo benefici.
Le persone si avviano al laghetto, verso quelle acque dall'odore tanto sgradevole, e appaiono come i dannati di Dante, in mezzo a fanghi dai colori infernali. 
Invece vengono purificati dal contatto con gli elementi primordiali della terra. 
Questo arido inferno di zolfo e calore, medica i loro malanni. Si trasforma in paradiso.
L'anima di Vulcano, è il vulcano stesso. E tutte le sue incredibili manifestazioni, generosamente sotto i nostri occhi. Accessibili. Curative. Spaventose e benefiche al tempo stesso.

Se volete continuare la visita dell'isola, accanto ai laghetti si trova la lunga spiaggia dalle sabbie nere, dove sono presenti fumarole sottomarine calde. Per questo motivo occorre entrare in acqua con le scarpine e usare molta cautela. 
Il paese è poco lontano da qui ed è un piccolo villaggio dall'atmosfera giovanile e bohémien, dove potrete passeggiare piacevolmente curiosando nei negozietti.
Però ricordate: il souvenir più duraturo sarà l'odore di zolfo! Dopo esservi immersi in queste acque, potete dire addio al vostro costume: per quanto lo possiate lavare, l'odore non andrà più via. 
Coraggio: in fondo è l'odore dell'isola che avete amato.
L'odore della sua anima vulcanica.


mercoledì 20 novembre 2013

Pomice e ossidiana: benvenuti a Lipari!


Panorama da Pianoconte

Lipari è l'isola dei contrasti. 
Tra il paese e la zona di Canneto, molto turistiche, e le frazioni solitarie: Acquacalda, Quattropani, Pianoconte.
Tra panorami naturali incontaminati e paesaggi decisamente industriali.
Tra  la vita antica dei pescatori e quella moderna dell'industria e del turismo.
Ma soprattutto, tra la pomice e l'ossidiana. 
Il bianco e il nero. Il leggero e il pesante. Il levigato e il tagliente.
Lipari è proprio così: queste due rocce rappresentano le facce della sua duplice anima.
Una chiara ma delicata, l'altra scura ma affascinante. 
Entrambe provenienti dalla stessa origine, spesso coesistenti negli stessi luoghi.

Cava di pomice
In questo senso, la più particolare spiaggia dell'isola è quella di Porticello. 
Si trova esattamente sotto la vecchia cava di pomice, oggi non più in uso, del Monte Pilato. 
Diversi pontili e i resti delle industrie di estrazione, qui coabitano con un bel mare azzurro e soprattuto con l'impressionante pendio di pomice bianca, formato negli anni dagli scarti delle lavorazioni della cava, che oggi arriva proprio a ridosso della spiaggia.
Devo dire la verità: la spiaggia è piccola ed è un po' strano questo paesaggio metà naturale metà industriale. 

La spiaggia di Porticello
Tuttavia, la presenza della pomice offre uno scenario decisamente caratteristico. 
E' irresistibile la tentazione di arrampicarsi sul pendio e lasciarsi scivolare, oppure camminare a piedi nudi su questo soffice tappeto.
La spiaggia, invece, è cosparsa da pezzettini di ossidiana (sia tagliente sia in ciottoli più levigati). Non a caso, la principale colata d'ossidiana di Lipari si trova esattamente dopo la cava di pomice. Nero e bianco. Diversi. Vicini. Complementari.
Un tempo, quando la cava era in attività, la polvere di pomice era talmente tanta che arrivava in molti altri punti dell'isola. C'era una lunga spiaggia chiamata "Spiaggia Bianca" (oggi Ex Spiagge Bianche) proprio per la presenza della pomice, che ne ricopriva tutta la superficie. Era depositata anche sul fondo marino, rendendo il luogo molto suggestivo: una "sabbia" di pomice bianca e finissina, e un'acqua ancora più azzurra dal contrasto con il fondale bianchissimo.
Oggi non è più così, la cava è stata chiusa nel 2005 per motivi ambientali, e la pomice è stata man mano portata via dal mare e dal vento. 
Ne resta testimonianza solo nelle cartoline. E nella spiaggia di Porticello, ovviamente.

Ossidiana
In compenso si possono visitare le zone della cava abbandonata che costeggiano la strada principale. Sarà una passeggiata su polvere e ciottoli bianchi, intervallati da scaglie (più o meno grandi) di ossidiana, in uno strano paesaggio lunare, dove regna un silenzio irreale e il senso di estraniazione è pressoché totale.
 



Valle Muria
Ma Lipari non ha ancora finito di stupirci, e di lasciarci a volte anche un po' interdetti. Come si addice, appunto, all'isola dei contrasti.
Purtroppo, a meno di non avere una barca a disposizione, non potrete accedere ai punti di mare più belli. Le spiagge migliori non sono raggiungibili a piedi.
Ma se volete arricchire la conoscenza geologica dell'isola, coraggio: bisogna percorrere il sentiero per Valle Muria, la spiaggia più selvaggia e meno frequentata (tra quelle accessibili) di Lipari. Il sentiero è stancate, ma fattibile. E, quando arriverete alla spiaggia, rimarrete sbalorditi dai blocchi di pietra che la formano, dalle pareti gialle di zolfo e dalle rocce vulcaniche rosse e rosa.
Suggestivo è il giusto aggettivo per descrivere il tripudio di colori di questo luogo.
Ma state molto attenti, perché se capitate qui in un pomeriggio estivo, sappiate che non avete scampo: non c'è alcuna possibilità di ripararsi dal sole cocente, non c'è ombra da nessuna parte e il calore delle rocce è impressionante.


Panorama dal Belvedere Quattrocchi
Vi lascio con uno dei più bei panorami dell'isola: quello che si gode dal Belvedere Quattrocchi. 
Indiscutibile.
L'isola appare blu, profonda, stagliata sul mare.
Ma dopo il tramonto, mano mano che la luce cala, diventa una sagoma nel cielo.
E mette a tacere i contrasti di Lipari.
Rasserena, finalmente, la sua anima inquieta.













lunedì 18 novembre 2013

L'anima delle isole


Le isole. Soprattutto quelle piccole. Difficili da raggiungere e irresistibilmente attraenti. Tutte diverse, ma accomunate da una sola, imprescindibile, condizione: essere isola. E come tale circondata dal mare, limitata, a sé stante. E con una personalità spiccatissima. 
L'isola, proprio in quanto tale, è diversa. E' una terra speciale, emersa, lambita dal mare. 
E' sempre un mondo. Ha sempre un'anima.
Dicevo, nel post precedente, che su un'isola ci si innamora dell'isolamento, del senso di libertà tanto più forte, quanto più, paradossalmente, ci si trova in un luogo ristretto. Perché l'umanissima dimensione ridotta di spazio, offre la possibilità di conoscere tutto il territorio, di farlo tuo. E allora hai confini certi entro i quali comporre il tuo mondo. Tutto è vicino, su un'isola, e non ci si può allontanare mai troppo e mai definitivamente da qualcosa, o da se stessi.
Sì: l’isola dà certezza. L’isola è sempre la tua isola. 
E l'hai scelta. Perché non ci si trova per caso su un'isola: non ci si può capitare, passare, sostare. E' sempre la destinazione di un viaggio, pensato. 
Cosa si cerca, dunque, su un'isola? Cosa ci spinge a salire su quel traghetto, spesso unica possibilità di arrivarvici?
La lontananza, prima di tutto. 
Scrive Lidia Ravera:  

"E' la lontananza, la chiave di questa ottusa felicità. 
Sono, finalmente "lontana". 
Da che cosa esattamente non lo so, ma mi pare che non abbia importanza. Dalla terraferma. Dalla città. Dalla realtà. 
Non lo so. Mi sento lontana e basta" ("A Stromboli", Laterza Editore, pagina 37).

In questa lontananza ci sentiamo liberi. Non più legati a schemi, ruoli, maschere che siamo soliti indossare. Con noi stessi, ma liberi da noi stessi. Liberi anche di sognare.
E nel distacco dalla quotidianità, recuperiamo le proporzioni delle cose. Lontani dal rumore, nella pace di un'isola, capiamo cosa è veramente importante. Quello che resta, lo è. Quello che ci segue anche lì. 
Si cerca, dunque, la verità. L'essenza delle cose, spogliate di complicazioni e fronzoli.
L'isola mette a nudo.
Sono ridotte all'osso anche le convenzioni sociali. Non ci si chiama col titolo di studio, raramente ci si dà del Lei, si salutano tutti indistintamente. 
E non si deve per forza "fare" qualcosa, si può semplicemente "essere". Passare il tempo a guardare il panorama, basta. Appaga.  
Si cerca, infatti, sicuramente anche la bellezza. Nel senso di pienezza emotiva che può regalare la meravigliosa natura, dominante, in un'isola. 
Un tramonto, una mareggiata, una spiaggia. Si sente se stessi attraverso la natura, ci si sente parte di essa.
Sull'isola è più facile essere umani. 
E si cerca l'assoluzione per non essere perfetti. 
Qui comandano le forze della natura, il mare soprattutto. L'uomo allora può rilassarsi: non può scegliere, non può affannarsi di cambiare le cose. Tutto va come deve e noi possiamo occuparci soltanto di essere, semplicemente, uomini. 
Perché:

"E' riposante accettare il limite" (Lidia Ravera, "A Stromboli", Editore Laterza, pagina 51).

E, accettando questo limite, i ritmi calano, il tempo rallenta e le giornate diventano infinite. Tutte uguali, rassicuranti; eppure diversissime, se per diversità si considera il colore del cielo al tramonto, le condizioni del mare, l'intensità del vento. 
Partecipare allo scorrere del tempo, su questo piccolo territorio, diventa allora il senso della giornata, e forse della vita stessa.
E dopo:  

"E' difficile andarsene perché il tempo trascorso sull'isola, poco o molto che sia, ti modifica.
Modifica le tue percezioni.
Ti abitui al piccolo, al misurabile, all'unico" (Lidia Ravera, "A Stromboli", Editore Laterza, pagina 57).

Ti abitui cioè al tuo universo a portata di mano, alla consapevolezza di quello che hai, alla tua vera natura. A essere qualcuno senza essere nessuno. Alla solitudine con te stesso. 
Ti abitui alla conoscenza rassicurante di un territorio che puoi osservare, ma non dominare. 
Alla certezza nell'incertezza. 
Ai colori, ai profumi, ai suoni. All'emotività. 
E ami l'isola. Profondamente.
O almeno, io l'ho amata, anzi: le ho amate.
Sicuramente il mio è un punto di vista da visitatrice. Non metto in discussione la difficoltà e i limiti del vivere tutto l'anno su una piccola isola. Non mi stupisce che alcuni nativi vogliano, o debbano, andarsene. 
Eppure ci sono stati anche quelli che su un'isola ci si sono trasferiti. Mollando lavoro, carriera, a volte anche la famiglia. In cerca di una vita più umana, più spirituale. In cerca di pace, di interiorità.
In cerca di un'alternativa.
E ci sono quelli, come me, che non ne hanno il coraggio e si limitano a concedersi brevi periodi, rigenerativi, da "isolani".
Ma, a qualunque di queste categorie apparteniate, qualunque sia la vostra scelta di vita, a un'isola, sappiatelo, non si rimane mai indifferenti.

Per fortuna.


venerdì 15 novembre 2013

Favignana: un'anima nella roccia e un'anima nel mare


Favignana è, per me, l’isola che non c’è.
Non perché sia la più incredibilmente bella né la più amena, ma solo perché è stata la prima: è stato con lei che mi sono innamorata del sogno dell’isolamento, del piccolo mondo a sé circondato dal mare, del senso di libertà tanto più forte, quanto più, paradossalmente, ci si trova in un territorio ristretto; è stato dalle sue coste che, con una curiosità senza rimpianti, ho guardato le luci – così distanti, così tante – della terraferma che poi, in realtà, era l’isola madre: la Sicilia.
E mi sono lasciata andare all’isola, pazza di felicità per l’umanissima dimensione ridotta di spazio, per il territorio da vivere palmo a palmo e fare mio – tutto –, per quei confini certi entro i quali comporre il mio mondo.
Sì: l’isola dà certezza. L’isola è sempre la tua isola.
Ed è difficile, tuttavia lo farò, indicare un luogo o l’altro, perché di Favignana ho amato più di ogni altra cosa girovagare senza meta, scoprire ogni scoglio, ogni scorcio; girare e rigirare lungo la strada principale che costeggia l’isola e la divide, psicologicamente, in due realtà ancora più piccole: la parte prima del tunnel e la parte dopo il tunnel che attraversa il Monte Santa Caterina e collega la Piana al Bosco. Queste sono le due pianure (rispettivamente ad est e ad ovest del monte) che formano le "ali" di Favignana. Si dice, infatti, che la forma dell'isola ricordi quella di una farfalla con le ali spiegate. 

Porticciolo di Favignana. Sullo sfondo il Monte Santa Caterina
A Favignana, la maggiore delle isole Egadi, di arriva facilmente partendo da Trapani, con l'aliscafo o il traghetto, o da Levanzo e Marettimo. 
Il paese che ricordo io, ormai sette anni fa, è un piccolo mondo fuori dal tempo, dai ritmi rilassati, con pochi locali e pochi negozi, raccolto e amabilmente spartano e informale. Dicono che sia cambiato.
Pare che ora l'isola sia di moda, e siano prolificati locali chic dagli ambienti raffinati e il turismo ricco. Me l'hanno raccontato, perciò non posso testimoniarlo con i miei occhi, ma, se fosse vero, sarei contenta di aver conosciuto "il prima" e non tornerei a Favignana per timore di una delusione.
Ad ogni modo, se è cambiato il tipo di turismo, i luoghi in sé per sé non possono esserlo. Dunque potrei citarvi la bellezza di Cala Rotonda o la trasparenza del mare a Cala Azzurra; la meravigliosa vista su Favignana e sulle altre Egadi che si gode dalle rovine del castello in cima al Monte Santa Caterina; l'ottimo cous cous che si mangia qui; ma il mio compito non è stendere una guida turistica dell'isola (ce ne sono già molte validissime), bensì parlarvi dell'anima di Favignana, anzi delle sue due anime: quella della roccia e quella del mare.
Entrambe legano a doppio filo la bellezza dell'isola e il duro lavoro degli isolani.
La roccia è stata per molti secoli la base dell'economia di Favignana. Si estraeva la  Calcarenite (più conosciuta con l'improprio nome di "tufo") dalle numerose cave disseminate sull'isola. I cavatori scavavano vere e proprie gallerie e caverne sotterranee, sostenute da pilastri di "tufo", che, intaccati, consentivano di arrampicarsi per procedere verso l'alto, con un lavoro durissimo ed estenuante. Oggi queste cave, dismesse, sono in parte visitabili; appaiono come cunicoli lunghi anche centinai di metri, che diventano subito stretti e bui e scoraggiano un ulteriore addentramento. 
Allora pare di rivedere quegli uomini che faticavano al buio, sotto la terra, arrampicati sulla roccia, e si capisce che l'anima dell'isola non può che essere anche la loro. Eppure questa amara considerazione non pregiudica la bellezza dei luoghi, bensì le dà un valore aggiunto.

Tratto di costa vicino al Bue Marino
Una delle più belle cave si trova al Bue Marino. Questa è una cala rocciosa con un mare strepitoso, color verde smeraldo, interrotto da zone di azzurro intenso. 
Qui non c'è spiaggia, per fare in bagno occorre tuffarsi in acqua, difatti è uno dei punti più apprezzati dagli amanti dello snorkeling, anche per la generosa presenza di pesci e stelle marine. 

Cava di calcarenite
Ma l'aspetto più affascinante del Bue Marino è, come accennavo, la presenza di spettacolari e ampie grotte di calcarenite, direttamente sul livello del mare. Queste presentano interessanti stratificazioni esterne e sono la cornice di un territorio comunque geologicamente molto interessante, in cui è facile constatare la presenza di conchiglie fossili molto ben conservate nella roccia, seppure si trovino proprio in una delle zone più frequentate dal turismo.
Conchiglia fossile










Un'altra imperdibile spiaggia, questa mista di roccia e sabbia, è Cala Rossa (pare che si chiami così in seguito al sangue versato nella battaglia tra romani e cartaginesi durante la prima Guerra Punica). E' uno spettacolo di colonne di "tufo" a strapiombo su un mare turchese. Anche qui le grotte sono piuttosto ampie, lunghe, divise in veri e propri cunicoli, e contribuiscono alla bellezza e alla particolarità di questa spiaggia, unica al mondo.

Cala Rossa
 
La luce che filtra dalle pareti di roccia, all'interno delle grotte, attribuisce un'aria mistica al luogo, e induce un profondo rispetto per i tanti che vi hanno lavorato. Se si chiudono gli occhi, sembra ancora di sentire il rumore degli strumenti artigianali, che scavano la roccia, e le voci di tutti quegli uomini dimenticati.
 
Interno delle grotte


Invece le cave all'aperto, oggi sono state trasformate in orti e giardini, chiamati Giardini Ipogei, dove coltivare la terra sfruttando la luce del sole, ma anche le mura delle cave che proteggono dal vento. E non è raro vedere crescervi fichi, mandorli, peri e aranci.


Ma Favignana non è solo questo: dicevamo che ha anche un'anima prettamente legata  al mare. Oltre alla bellezza delle sue coste, non possiamo dimenticare, infatti, la vita che girava intorno alla Tonnara Florio, una delle più grandi del Mediterraneo, oggi non più in uso ma visitabile a pagamento. Qui venivano trattati e conservati i grandi tonni rossi catturati durante la tradizionale, ma cruenta, tecnica di pesca della mattanza, comandata dal Rais, in auge fino al 2007. 
Oggi tutto questo non c'è più, ma ciò non toglie che gli isolani si sentano ancora legati alla tradizione della pesca del tonno. Molte famiglie, di generazione in generazione, hanno lavorato duramente nella tonnara, e sono ancora vivi i ricordi di chi ci ha lavorato personalmente o di chi ha un parente prossimo che l'ha fatto. I loro racconti fanno ormai parte della collettività, della cultura e della storia dell'isola.
E i prodotti ittici tipici sono ancora essenzialmente quelli derivati dalla lavorazione del tonno. Gustosissima la bottarga, le uova della femmina di tonno, con cui si condiscono spaghetti dal sapore deciso.

La Tonnara Florio



E, infine, Favignana è sogno e poesia. 
Provate un suggestivo giro notturno dell'isola in macchina: parrà che cielo e terra si tocchino, l'unica luce sarà quella della luna e gli odori della campagna, attraverso i finestrini aperti, giungeranno ai vostri sensi. E vi parrà di non essere soli, che dalla terra e dal mare salgano ombre a tenervi compagnia, e che l'isola sia viva, pregna di storia, e respiri insieme a voi.

giovedì 14 novembre 2013

La potenza di Stromboli


Sarò sincera: a Stromboli ho trascorso solo mezza giornata.
Ma sarò altrettanto sincera nel dirvi che basta mezz'ora sull'isola, per avere percezione della potenza della sua anima. Sì: Stromboli è potente, non mi viene in mente un altro aggettivo che meglio possa descrivere la più lontana delle Isole Eolie dalla Sicilia, ma la più nota in tutto il Mondo.
E ama i colori forti: il rosso del fuoco e il nero della lava.
Saprete sicuramente che lo Stromboli è un vulcano attivo e, quindi, è un cosiddetto "vulcano buono", perché sfogandosi quotidianamente non dovrebbe arrivare a esplosioni devastanti (seppure a volte dei problemi ci sono stati).
Quello che forse non conoscete, è il rispetto che suscita questo vulcano nei visitatori e nei locali: è "Iddu" (Lui) che decide le sorti dell'isola, nel bene e nel male. Gli strombolani sono tanto consapevoli della sua presenza, da personificarlo e parlarne in termini umani: "Iddu parla" sono soliti dire, infatti, quando i boati delle eruzioni si diffondono su tutta l'isola.
Qui non è l'uomo a comandare sulla natura, ma è la natura a farla da padrone e l'uomo non può far altro che offrirle un profondo rispetto e una fiducia incondizionata, simile a quella che si ripone nella religione. 

Stromboli, vista da Strombolicchio




Dal mare l'isola si presenta come un unico cono vulcanico, nero, materico, solcato dal vento, avvolto dalle nubi di fumo sulla sua cima, accanto al cratere. Poi, man mano che la barca si avvicina, si notano le casette e la chiesa, timidamente adagiate sulla montagna. 
Si attracca accanto alla lunga spiaggia di sabbia lavica, nerissima, e il cuore batte forte, semplicemente per l'essere a Stromboli. Poi ci si inizia a guardare intorno e si notano i primi segni della presenza del vulcano: ovunque ci sono cartelli che indicano le vie di fuga in caso di eruzione, terremoto o maremoto. E si ha timore, eppure attrazione incontrollabile, atavica, verso il fuoco, la lava, la fine e l'inizio di ogni cosa.
Il paese è sopra il livello del mare, per raggiungerlo ci sono le viuzze, tutte in salita, che partono dalla spiaggia e arrivano al cuore del paese, nella piazza di San Vincenzo, centro della vita sociale e culturale dell'isola. Quello che colpisce è che in un'isola così piccola ci sia tanto fermento culturale e tanta arte: la libreria, il centro culturale e vari negozi di ammirabile artigianato, abitano le viuzze intorno la piazza.
E la sera si organizza sempre qualcosa: che siano proiezioni di film (immancabile "Stromboli - Terra di Dio"), l'ammaliante "festa del fuoco" o una scalata organizzata al vulcano, gli strombolani amano riunirsi e celebrare la notte. Una notte che fino a qualche anno fa era piena di stelle, perché a Stromboli mancava l'elettricità e, di sera, si camminava per le strade buie, guidati solo dalla luce di una candela, della luna, o dall'istinto. Una notte che anche illuminata, ha conservato il fascino millenario, profumata com'è di fiori, di lava e di silenzio.
E la cosa più bella, quando cala la notte, è farsi portare da una barca davanti la "Sciara del fuoco", un pendio nella parte dell'isola opposta al centro abitato, dove cola la lava e rotolano le rocce incandescenti, finendo nel mare dopo uno scivolo di settecento metri. 
Di notte si spia il vulcano, sperando di non essere visti. 
Le barche spengono il motore, e resti così: in mezzo al mare, nel silenzio più assoluto, nel buio, ad aspettare il rombo che precede gli zampilli di lava e roccia incandescente. Il vento coccola il tuo volto, la luna è alta nel cielo e delinea la sagoma del vulcano, una volta abituati gli occhi. Sul costone dello Stromboli compaiono piccole luci in fila indiana: sono le torce di quelli che tentano la scalata al cratere.
L'odore del mare è avvolgente. Poi il rumore rompe il silenzio e la quiete perfetta dell'attimo prima, e il fuoco rosso squarcia il nero della notte. Uno spettacolo dove la vita e la morte sono fuse in un'unica cosa.

Stromboli è un'isola dura, misteriosa, lontana. E' un paradiso che può nascondere l'inferno. E' un luogo "vivo", dove la natura incute pace e timore al tempo stesso, dove la solitudine può essere profonda, ma i legami sono intensi e duraturi.


 Scultura in pietra a Stromboli

Chi conosce l'isola molto meglio di me, è sicuramente Lidia Ravera, che vi soggiorna spesso e anche per lunghi periodi. Il suo libro "A Stromboli" (Editori Laterza, 2010) è un piccolo capolavoro che mette a nudo l'anima dell'isola e l'amore viscerale della scrittrice per questa terra.
E sono sicura che le sue parole sono la migliore conclusione di questo post.

Così la Ravera descrive la sua prima volta a Stromboli: 
"Sono rimasta sedotta dal luogo al primo impatto. Me ne sono accorta nel solo modo che conosco, e che so riconoscere: un allertarsi ansioso di tutti i sensi. Udito, odorato, sguardo, tatto, gusto. Mi è successo altre volte. Non molte" (pagina 54)
Stromboli, panorama
 
 E ancora:  

"Mi è sembrata un'eccellente idea fermarmi sotto il vulcano. 
Al culmine della mia carriera di irrequieta. 
Dato che nulla è permanente, nemmeno una casa, nemmeno le cose, nemmeno la vita umana. 
Mi esercito alla provvisorietà. Cerco un senso di impermanenza" (pagina 23).

In ultimo, la sua indimenticabile descrizione della notte passata sul vulcano, accanto al cratere:
"Sedevo, quindi, con venti ragazzi francesi e olandesi e svizzeri, sul bordo che sovrasta il cratere. Li ascoltavo ridere e parlare, eppure mi sentivo, riuscivo a sentirmi, perfettamente sola, sentivo la perfezione della solitudine. Guardavo meravigliata quel lago di fuoco, quella tazza accesa e fumigante, aspiravo l'odore acre e definitivo dello zolfo. Guardavo le stelle oscurate dalla bandana di vapore che sventola fra la cresta della montagna incendiata e il cielo. Ascoltavo i colpi secchi delle esplosioni non visibili e l'eco che li seguiva, prima che la fucina del fuoco lanciasse i suoi razzi fuori, a spegnersi nel vento" (pagina 25).