domenica 14 dicembre 2014

Cefalù da fuori Cefalù (parte seconda): la statale 113 e la Cefalù - Gibilmanna


Strade. Luoghi di transito. Luoghi di unione tra luoghi. Con una propria identità, che tuttavia non può che contenere - e completare - anche quella dei luoghi che attraversano.

E così, tanti anni fa, la Sicilia era per me, prima di tutto, la statale 113.
La prima che, in un mattino d'estate, dopo aver passato tutta la notte in treno, vedevo al risveglio correre veloce accanto alla ferrovia. Con il finestrino del treno abbassato (allora si poteva fare) il vento tagliava la faccia e portava miscelato l'odore di mare e di fiori. Sfilavano una dietro l'altra piccole baie ciottolose con qualche bagnante e qualche pescatore. Finché finalmente il profilo di Cefalù, sognato tutto l'inverno, si materializzava nella visione della rocca. La strada, parallela alla ferrovia, vi correva incontro.

Se siete a Cefalù e avete voglia di mare e di guidare, nulla è più consono ai vostri desideri della statale 113. Panoramica. Costiera come poche ne ho viste al mondo. Costruita proprio accanto al mare. Poco sopra il suo livello. Sfiora le cale più belle, gli scogli più solitari. E' baciata dal sole. Pare costruita appositamente per il piacere di guidare e per calmare lo spirito, lasciando tuffare i pensieri in quel mare blu così vicino, mentre a noi resta la serena sensazione di quanto sia meraviglioso lo spazio aperto che ci circonda. 

La rocca di Cefalù dalla statale 113

E la statale 113 è, naturalmente, anche Cefalù. Quando la rocca ci appare, da qui, tra cielo e mare. Ultimo lembo di terra dopo le montagne. Ultimo punto di contatto umano. 
Da questa prospettiva ci nasconde il paese, pare celarlo per tenerlo per sé o per farci una gradita sorpresa quando saremo finalmente arrivati. E pare piccola piccola, persa tra nuvole e spighe di grano, eppure dalla forma sempre riconoscibilissima. Un punto fermo, indiscutibile. Meta d'arrivo e di partenza. 

Da qui si vedono i più bei tramonti colorare il cielo di giallo e d'arancio. Il mare gigante accogliere il sole. Il contorno della rocca circondato da riflessi di luce.

Tramonto su Cefalù dalla statale 113

Altre sere a predominare è una nebbiolina rosa avvolgente. Pare nasconda le cose e invece le svela di più. Parla direttamente con l'anima, con l'immaginato. Tocca corde di percezione segrete. Rasserena. E commuove.
Tutto pare immobile, finché poi, improvvisa, la luce del faro di Cefalù si accende e il bagliore intermittente, ancora appena percepibile, indica la via. Man mano che cala la notte, poi, diventerà squarcio nel cielo nero, a indicare la vita.

Tramonto su Cefalù dalla statale 113

Qual è, dunque, da qui, l'anima di Cefalù? 
E' un'anima selvaggia, naturale. Un'anima dai colori decisi. Dallo spazio aperto. Ampissimo.
No, da qui non si vede il paese, eppure Cefalù è più presente che mai. In quella sagoma che a seconda dei giorni, del tempo, può essere ben definita o dai contorni sfumati, c'è tutta la promessa di un punto fisso, fermo nel tempo e nello spazio. Come il faro guida i naviganti per mare, così la rocca ci guida verso il paese. Promette, e mantiene, che quell'ultimo lembo di terra ha qualcosa di unico che si ripete nel tempo, e che non cambia mai per cambiare sempre.


Ma c'è un'altra strada irrinunciabile. Un'altra passeggiata doverosa per scoprire Cefalù da una prospettiva ancora diversa, e che personalmente ha accompagnato molto del mio cammino. La cosiddetta Cefalù - Gibilmanna, la strada che sale sulle Madonie e congiunge il paese al Santuario di Gibilmanna.
Tutta tornanti, si arrampica lasciando il paese sotto di noi.

Il paese visto dalla Cefalù - Gibilmanna

Da qui Cefalù appare com'è: p
rotetta tra le sue alture e tutta tuffata nel blu. Col suo abitato e la rocca. E il mare che si indovina dal colore. Il blu cambia a seconda delle correnti e dei venti. Il bianco indica mareggiata e gli increspamenti i giorni di maestrale. Quando c'è scirocco una patina pare avvolgere tutte le cose come un velo trasparente ma ostinato, che si posa ovunque e impedisce ai colori di brillare a dovere.
Qui si vede tutta Cefalù, eppure si è in un mondo a parte, ovattato, lontano dal chiasso della vita paesana, dall'allegria dei bagnanti d'estate. Guardiamo Cefalù con necessario distacco, lo immaginiamo e lo facciamo più nostro di quello che è. Lo desideriamo, forse, ma non lo viviamo che con superbo e incantato distacco.

Cefalù, vista dalle Madonie

Una luce generosa - quella del tardo pomeriggio - posa un rosa romantico sulla rocca e sulle case del centro storico. Accentua il verde delle Madonie. Sfuma il mare e lo rende di un delicato colore pastello.
Per un attimo non si desidera altro che questo panorama. Sospeso. 
Poi il cuore riprende a battere. Il desiderio di vita a scorrere. E la strada Cefalù - Gibilmanna, con la sua anima elitaria, ma generosa, ci riporta in paese.




mercoledì 26 novembre 2014

Cefalù da fuori Cefalù: la collina di Sant'Elia


Ricomincio da qui. Da questo luogo che per me è Luogo per eccellenza. Dall'anima del mio luogo dell'anima. Cefalù. Ancora una volta. Sempre.
Questa volta visto da fuori. Da lontano. Quando la  rocca spicca, predominante nel paesaggio, eppure si è distanti e il paese si immagina soltanto. Diventa sogno, idea, possibilità mai del tutto possibili. Magia. O meglio malìa. Si indovina la vita che vi scorre, ci attrae e ci spaventa, al sicuro nell'isolamento che godiamo da lontano. Il paese è tutto nostro, inventanto a misura di desideri perduti nel tempo. Senza difetti. O con difetti estremamente attraenti.
E bellezza. Bellezza perfetta che mai smette di stancarci nella sua contemplazione. Sempre uguale e sempre diversa.

Inizio dalla collina di Sant'Elia. Proprio quella che fa parte del paesaggio del paese; quella collina verde, poco fuori l'abitato, che fà da sfondo alla vostra passeggiata per le vie cefaludesi e per il lungomare, visibile praticamente ovunque dal paese. Proprio la prima delle alture che incorniciano Cefalù e costituiscono lo sfondo naturale in cui è adagiato insieme alla rocca.
Salite, se avete tempo, sulla cima di questa collina. E' un'esperienza indimenticabile.
La strada, sterrata, arriva fino a un certo punto. Poi si lascia la macchina e si va a piedi. Tra ciuffi di erba alta scossi dal vento che qui corre senza alcun freno. Tra piccole costruzioni in pietra abbandonate. Tra rovi e tronchi e solitudine. Non c'è mai nessuno qui. Siete soli a fare i conti con voi stessi. Vi sentirete inquieti. Non siamo - noi uomini - più abituati ad essere così soli nella natura. Nessuna presenza umana. Fa un po' paura. Il cuore batte man mano che si avanza tra l'erba alta. 

La punta della rocca di Cefalù appare dalla collina di Sant'Elia

Poi eccola. Improvvisa. Appare.
La punta della rocca di Cefalù che riconoscete subito familiare. Amica. Anche se siete abituati, voi frequentatori del paese, a vederla sopra di voi, non sotto. Ma in un lampo si stravolge ogni prospettiva, perché siete più in alto di lei. Più in alto di tutto. E se fate qualche passo ancora, incerto, ma imprescindibile ormai, piano piano si svela tutta e poi appare il paese con il suo abitato e il mare tutt'intorno. Sotto di voi. E vi pare di volare. Di dominare tutto. Di capire tutto. Che sensazione meravigliosa e inusuale di completezza!
E ora, di fronte allo spazio aperto, non vi sembra più d'essere soli e vulnerabili, ma dominatori della vita del paese. Di vederne la totalità e che questo sia uno spettacolo che va in scena per voi soltanto. Qui siete in presenza di tutto eppure siete soli. Siete i privilegiati a cui si rivela quest'anima d'aria e di luce. Di roccia, di radici e di mare. Basta la vista aperta a tenervi compagnia, a rasserenare l'anima, a farvi orgogliosi d'aver scoperto il luogo. Quasi fosse un segreto che a voi soltanto si rivela. Qui vi pare di avere tutto chiaro. Di avere le chiavi del senso della natura e della vita. Di essere leggeri. Di diventare vento. Senza bisogno d'altro che dell'anima potente, dal carattere forte, di questo luogo. Un'anima che urla. Che vuol essere unica. Che si impone, prepotente, su tutto. Inevitabile.

Cefalù vista da Sant'Elia

E il paese, circondato dal mare, è tutto lì sotto. Immobile e vivo al tempo stesso. Come se il tempo e lo spazio fossero racchiusi qui, adesso, in un solo sguardo che abbraccia tutto dall'alto e lo  trasforma in sogno.

L'abitato di Cefalù visto dalla collina di Sant'Elia





L'anima dei luoghi si espande

Eccomi di nuovo a scrivere su questo blog. Dopo tanti mesi di assenza giustificata dalla nascita di mio figlio. Solitamente sono contraria a parlare della mia vita personale, il mio compito è suggerire l'anima dei luoghi da me visitati, ma senza intermediazioni personali. E' un'anima che diventa universale, che non voglio legare alla mia persona, alla mia vita, ma che deve essere condivisibile da tutti. Fuori da me, dentro il luogo. Per amarla non avete bisogno di conoscere me, di legarvi al personaggio che rappresento. Vi basta andare. Camminare, respirare, sentire. Essere recettori di tutti gli stimoli che un luogo manda. Eppure questa volta è diverso, ed eccomi a dirvelo. Dirvi il perché ho abbandonato il blog per qualche mese. E lo faccio perché, inevitabilmente, lui ha cambiato il modo di sentire e quindi quello di raccontare quello che sento. I colori si sono fatti più sgargianti, i luoghi più attraenti, il mare sorprendente, il vento giocherellone, la pioggia una scoperta, la montagna gigante. Tutto da raccontare anche ai suoi piccoli occhi e, soprattutto, da vedere attraverso di essi. E allora i luoghi appaiono ancora più nudi di come apparivano prima. Ogni dettaglio, che per noi adulti è scontato, si rivela al bambino in tutta la sua sorprendente bellezza. Si sente l'anima in una maniera più dettagliata, più vicina alla sua interezza. Purificata da ogni relazione col vissuto, col visto, con lo scontato. Più vicina alla verità, libera com'è da ogni pregiudizio, paragone, ricordo. No, ho sbagliato a scrivere che è cambiato il mio modo di sentire. Non è così. E' solo che, ora, sento di più. Perché sento anche per lui e attraverso lui. E l'anima dei luoghi si espande e si arricchisce di sfumature e di dettagli. Ogni minima cosa rivela significato e meraviglia.
Grazie a tutti e buona continuazione...

lunedì 30 giugno 2014

Parco Urbano del Pineto: la magia della natura in città


Parco Urbano del Pineto

Nel cuore di Roma, tra i quartieri Trionfale, Primavalle e Aurelio, proprio dove mai lo immagineresti, sorge un'area naturalistica sorprendente. Fatta di bosco, di valli, di campagna. Adornata di fiori, muschi e di prati. Il suo nome è Parco Urbano del Pineto. E' una zona protetta, istituita nel 1987 e comprendente circa 250 ettari di terreno.
Per me è stata una scoperta folgorante. Ammetto che vivo vicino al Parco da molti anni. Eppure non ero consapevole della sua bellezza. Quel che appare dalla strada, la Pineta Sacchetti, non è che una pineta, appunto. E pare che tutto finisca lì. O almeno, così ho immaginato per molto, moltissimo tempo. E non ho mai frequentato neppure quella piccola area perché, fino a qualche anno fa, effettivamente era territorio di accampamenti nomadi e gente poco raccomandabile. Poi le cose sono lentamente cambiate, l'area è stata riqualificata e la pineta restituita agli abitanti dei quartieri limitrofi e ai visitatoti.
Quello che, però, mai avrei immaginato, è quanto il Parco si estenda al di là di quella pineta che sembra racchiuderlo tutto e invece non è che la sua infinitesimale parte. Subito alle sue spalle, infatti, si aprono sentieri che portano a scoprire una bella campagna, dove la vista si schiude meravigliosa fino alla cupola di San Pietro.  

La cupola di San Pietro, vista da Parco del Pineto


E' un paesaggio fatto di sentieri di terra ricavati tra la vegetazione. E cambia di stagione in stagione regalando ogni volta scenari diversi. Fatti di flora che si modifica a seconda dei mesi dell'anno e di colori che mutano a seconda delle ore e della luce. Il verde delle piante, il giallo del grano, il marrone della terra, i colori dei fiori sono mescolati con sapienza dalla natura. Malva, papaveri, mirti, ginestre, erica, finocchi selvatici e molte altre piante si alternano animando il Parco.
 
Primavera a Parco del Pineto
In primavera, dalla terra nascono le spighe. Dapprima sono piccole. Sbucano timide ed esili dal suolo. Crescono tra i fiori. Rispettose.
Nel giro di pochi giorni si fanno adolescenti e sfrontate. Invadono i campi e mirano al cielo. Verdissime. Spostate dal vento che porta fruscii e profumo. Di natura nel pieno del vigore. Di primavera. Di vita.



Estate a Parco del Pineto
Poi viene l'estate. Neanche te ne accorgi. Ma un giorno le vigorose spighe non sono più verdi, ma si fanno mature. Tinte di un giallo prezioso come l'oro.









Ma non si tratta solo delle spighe. Qui le stagioni si alternano insieme alle specie vegetali. Non conosco tutti i loro nomi, purtroppo, ma so quale magia è, vedere il paesaggio che cambia completamente aspetto di settimana in settimana. Tutto è programmato perfettamente da Madre Natura. Prima una specie di fiori, poi tocca ad un'altra, poi un'altra ancora. In una successione perfetta ma che non smette mai di stupire.

Fiori a Parco del Pineto

Fiori a Parco del Pineto






Specie vegetali a Parco del Pineto

Ma le sorprese non sono affatto finite. Perché oltre alla pineta, oltre alla campagna, c'è di più. Uno dei sentieri a ridosso della biblioteca Casa del Parco, che sorge proprio dentro il Parco, dove i pini terminano, conduce in un'area completamente diversa. Qui si apre un mondo nuovo. Più inaspettato ancora del primo. Ci troviamo immersi in un vero e proprio bosco, come se fossimo stati trasportati improvvisamente fuori città. Procediamo. Increduli.

 
Sughero. Parco del Pineto
Gli alberi si infittiscono, il sottobosco si arricchisce. Il silenzio si fa reale, l'ossigeno più puro, il respiro profondo. L'odore delle piante sostituisce quello dello smog. Intorno solo bosco. Scompare la città. Non si vedono più case, cemento, costruzioni. Niente di niente. E comincia la magia.
Fatta di sugheri, querce, lecci. Col sottobosco ricamato da ciclamini, funghi, felci, muschi.

Funghi



Parco Urbano del Pineto. Il bosco

E da questo sentiero se ne dipartono altri. E altre scoperte ci aspettano. 

Parco del Pineto
La prima è la presenza dell'acqua. Improvvisamente si sente scorrere e gorgogliare tra la vegetazione. C'è fresco, umido. Si sente di più la vita. E seguendo il rumore si arriva ad un minuscolo laghetto.
Se l'attraverserete, dalla parte opposta continuerà il percorso tra il bosco, che qui si fa ancora più fitto e col suolo quasi sempre umido: la luce del sole fa fatica a penetrare tra gli alberi fitti dalla chioma alta e l'acqua scorre in piccoli rivoli nel sottobosco.












Rocce rosse. Parco del Pineto
Ma non è l'unica novità del paesaggio. Ben presto, infatti, vi renderete conto di camminare su sentieri di sabbia. Vera e propria sabbia, evidente residuo della presenza di mari in questa zona, nella preistoria.
Fino ad arrivare a conformazioni rocciose rossastre, piuttosto particolari, argillose, che formano delle vere e proprie dune e ricordano i canyon.












Continuando a camminare, tra salite e discese, tra sentieri e boschi, si arriva infine ad una valle che a me piace chiamare "Valle dell'Eden".
Qui siamo del cuore del parco. Nell'isolamento assoluto. La città è lontanissima dalla nostra vista, dal nostro udito e soprattutto dai nostri pensieri. Una valle isolata, scavata dentro il parco, protetta dal bosco. Ci si sente orgogliosi di averla scoperta. Solo natura intorno. E ogni tanto qualcuno che passa, gente tranquilla, che passeggia con i cani in religioso silenzio o che cerca verdura. Ci si saluta, con queste persone. Perché ci si sente abitanti di un piccolo mondo, privilegiati dalla scoperta di questo luogo segreto. Ci si sente di condividere qualcosa di prezioso, uniti dall'amore per la natura. Ci si riconosce simili.


Valle interna. Parco Urbano del Pineto

Se poi si risale la valle dal lato sinistro, si arriva ad un'altra valle, più piccola e meno isolata della prima, ma sicuramente anch'essa suggestiva, che confina con l'entrata del Parco dalla zona di Trionfale. In primavera le sue spallette si riempiono di milioni e milioni di bellissimi fiori viola. Uno spettacolo di vita e profumi.

Valle. Parco Urbano del Pineto




Parco Urbano del Pineto. Fioritura primaverile

Ovviamente, con una natura così generosa, non manca una fauna altrettanto varia e ricca.

Mantide religiosa. Parco Urbano del Pineto





Il Parco è popolato da cinghiali, volpi, topi, bisce, moscardini, rane, insetti di ogni genere. Sono loro il popolo sovrano del Parco. Gli dobbiamo rispetto. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
 

Cosa dire, infine, a conclusione di questo post? Non mi è facile trasmettere tutta l'anima del Parco con le parole. Perché di anime ne ha molte. Tante sfaccettature di una sola medaglia che è la grandezza della natura.
Il valore aggiunto, qui, è la varietà di ambienti all'interno del Parco. E la sorpresa di scoprire paesaggi completamente differenti ogni volta. Qui si può guardare la natura trasformarsi, stupirsi ogni volta di piante che c'erano e poi lasciano il posto ad altre. Il paesaggio muta sotto i nostri occhi e il disegno di Madre Natura si svela generosamente. Ci sentiamo invasi dalla vita. Dal benessere. Da un vento che porta gli odori della campagna e poi del bosco. Ci sentiamo liberi. Selvaggi un po' anche noi. Ed è una magia che avviene, miracolosamente, proprio dentro la città. Non serve andare lontano. Nessuna gita fuori porta è necessaria. Basta addentrarsi nel Parco del Pineto, bastano pochi minuti, affinché la natura sia nostra e noi suoi.




venerdì 6 giugno 2014

Eraclea Minoa: la totalità degli elementi


Spiaggia di Eraclea Minoa
 
Capo Bianco

Chiudete gli occhi. Pensate ad un luogo. Ad una spiaggia.
Che caratteristiche deve avere perché ne sentiate l'anima?
Io penso ad una lunga spiaggia di sabbia chiara e morbida, accarezzata dalla luce di una giornata di fine estate. Ci aggiungo un mare trasparente, leggermente increspato affinché si senta più forte l'odore della salsedine. Il mare più vero. Vivo. Che mi sappia spiegare la libertà.
Ma ancora non basta. C'è altro. Una pineta. Una lunga pineta direttamente sul mare, che accarezza la costa per chilometri, parallela alla spiaggia. Con ombra benevola e verde generoso.
E poi una scogliera. Una sorpresa che si rivela solo alla fine della spiaggia. Solo per i tenaci. Quelli che hanno camminato e camminato per arrivare alla fine. Che poi non è affatto la fine. E' l'inizio di calette tra la roccia più bianca. Rivela sorprese.
E' tutto mi pare. 
Ma se aggiungiamo anche un fascino che proviene dall'antichità, dalla sacralità di un luogo che è stato dimora e scontro, per qualcuno, secoli fa, allora mi sembra d'aver inventato il luogo migliore della Terra. Dove non manca nulla.
Ma questo luogo non esce dalla mia fantasia. Esiste realmente. In Sicilia. Nella remota Sicilia meridionale, fatta di spazi e di silenzi. Di ombre e di luci.
Provincia di Agrigento. Eraclea Minoa. Un nome difficile da imparare, ma che vi resterà cucito nella mente dopo che sarete stati qui. Non c'è un paese, se non Cattolica Eraclea, ma a circa cinque chilometri, verso l'interno. Qui siamo in una località esclusivamente naturale. E antichissima. La spiaggia prende, infatti, il nome dalle rovine dell'antica città greca Heraclea Minoa, i cui resti guardano il mare dall'alto del promontorio bianchissimo che chiude la spiaggia. 

Dal basso, dopo aver camminato per tutta la spiaggia, lo vedrete. Il promontorio sul quale era costruita l'antica città. 
Si tratta di Capo Bianco, fatto di marne, il cui nome non è necessario spiegare da dove derivi.
 All'inizio appare così: di un bianco accecante tra cielo e mare. Dopo la spiaggia. Alla fine della pineta e del boschetto di eucalipti che la chiude. Avvicinatevi. Per scoprire il resto.

La prima sorpresa sono i fanghi. Quelli benefici per la pelle. Preziosi. La montagna, alla sua base, è fatta di questo. Non l'avrei notato, devo dire la verità, se non avessi visto gente camminare completamente ricoperta di fango. Aspettare che si secchi per poi risciacquarlo nell'acqua del mare, con un gesto antico e rituale. Purtroppo, però, molti non si accontentano dei pezzi di fango che si staccano naturalmente dalle pareti rocciose in seguito alla forza del mare e all'azione del vento. Tanti staccano con le proprie mani pezzi di fango dalla montagna, con il risultato di aver provocato pericolosi crolli e ridotto la forza della base del promontorio. 

Si cammina. Proprio sotto la roccia. Notandone le striature più scure che si alternano a quelle più chiare, con  un'affascinante combinazione geologica. 
La spiaggia è sottile. Tra il mare e la roccia. 
Per lo più camminerete in solitudine. Non tutti si spingono fin quaggiù.

E se andate ancora avanti troverete un passaggio segreto, tra la roccia che sembra chiudere definitivamente la spiaggia e invece lascia una piccola apertura da cui passano agevolmente solo i bambini o le persone di piccola statura. Se lo siete, potete passare dall'altra parte, in una piccola spiaggetta deserta, e poi continuare a camminare accanto al gigante di roccia, fino a scoprire dove finisce realmente. In un panorama quasi lunare, la roccia si fa sempre più bassa e levigata in morbide forme ondulate. Sulla sabbia frammenti di pietra.

Ed eccovi arrivati alla fine. 
Eraclea Minoa, la meravigliosa spiaggia con la pineta, si chiude con l'ultimo lembo di Capo Bianco. Il gigante termina con un cono a punta, tra mille striature di roccia bianca e beige. Dopo cambia tutto, continua il mare e vegetazione dunale, ma la magia si interrompe. Non siamo più qui. Non è più Eraclea Minoa, ma solo mare per chilometri e chilometri. 
E allora limitate qui. Godetevi la fine. Il punto più estremo. E scopritelo più umano e vicino di quanto non sia il promontorio, duro, che confina con la pineta. Qui, alla fine di tutto, la roccia imponente sembra ormai solo un ricciolo di panna montata a neve. E, qui, sarete veramente soli. Non passa quasi mai nessuno. La natura è tutta per voi. Voi siete per lei.
L'anima del luogo risplende di questa solitudine. La si può sentire urlare nel silenzio, la si può respirare con la salsedine, la si può riconoscere nella forza della roccia o nel vento che pare mescolare tutti questi elementi e restituirli direttamente alla nostra pelle. Anima con anima. La vostra. Quella del luogo. E poi la somma di entrambe.


Vi lascio raccontandovi di me. Di quando sono arrivata qui la prima volta. 
Giravo per la Sicilia, dormendo ogni giorno in una località diversa. Qui sono arrivata verso sera, gioendo per aver trovato una spiaggia così bella, affascinata dalla pineta e sicura di volermi fermare. 
La sera è cresciuta, divenendo presto una notte adolescente e poi matura. E io sulla spiaggia. Seduta. Qualche falò a rischiarare l'ambiente. Suono di chitarre lontane. Suono di giovinezza. Poi le stelle, nel cielo più scuro. Nessun paese d'intorno. Nessun'altra luce. Se non un chiarore latteo, un bagliore, dal lato destro della spiaggia. Interrogarmi curiosa. Chiedermi cosa fosse. Avrei scoperto solo il giorno dopo, con la luce del mattino, che si trattava di Capo Bianco. La roccia bianca riflette luce. Una meravigliosa scoperta che ho poi conservato negli anni.
Ma quella notte non restava che abbandonarmi al profumo dei pini e del mare, come può essere solo in una notte d'estate. Abbandonarmi a una natura sovrana. A un buio che mi proteggeva e mi faceva sentire parte del tutto. 
Perché la libertà più assoluta e la piccolezza di fronte alla natura sono esattamente la stessa cosa. 




sabato 24 maggio 2014

La sorpresa di Villa Gregoriana

Fiume Aniene
Acropoli romana di Tivoli

Se avete voglia di un tuffo tra storia e natura, proprio a due passi da Roma, non c'è luogo migliore che io possa consigliarvi che Villa Gregoriana, a Tivoli.
Si trova tra l'acropoli romana e la fossa dell'Aniene, ed è gestita dal FAI che se ne occupa dal 2002 e, dopo aver effettuato gli interventi necessari per il recupero del luogo che stava andando in rovina, l'ha riaperto al pubblico nel 2005. 
Si paga un biglietto d'entrata (6 euro per gli adulti) e devo ammettere che, non solo la bellezza del luogo li vale tutti, ma anche l'ottima gestione del parco giustifica il prezzo: è pulito, con percorsi agibili e ben segnalati che facilitano la visita, e ottima è la manutenzione. Non aspettatevi, però, niente che si avvicini neppure lontanamente all'idea che tutti noi abbiamo di "villa cittadina", perché qui non troverete aiuole fiorite, fontane, l'area giochi per i bimbi o i vialetti con la ghiaia. Villa Gregoriana è un luogo dove la natura regna sovrana. E' un ambiente selvaggio e il più possibile integro, soltanto reso visitabile dalla mano dell'uomo che gestisce ottimamente i sentieri. Si tratta, infatti, di scendere la fossa che segue il corso del fiume Aniene, e poi risalire fino ad arrivare dalla parte opposta, all'acropoli romana. Il tutto tra boschi di lecci ombrosi, vegetazione, caverne, suggestive cadute d'acqua e rivoli del fiume. Un percorso di una bellezza naturale evidente e incredibilmente intatto per trattarsi di un parco urbano. Proprio questo mi ha colpito immensamente, la prima volta che sono stata qui e mi ha lasciato di stucco per la sorpresa. Non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte una valle ricoperta dalla natura, da poter visitare quasi interamente attraverso i percorsi che si avvicinano al fiume, ma senza interferire con l'ambiente. 

Ma, soprattutto, quello che non mi aspettavo sono le cascate di tale bellezza e potenza da essere state, anche queste, meta del Grand Tour, anche se risultano decisamente meno note di quelle delle Marmore.
Esse formano, in fondo alla valle, dei laghetti che si intravedono tra la fitta vegetazione, ai quali però non è consentito accedere, forse per la pericolosità del flusso d'acqua a loro ridosso. Il boato dell'acqua che cade, infatti, accompagna la visita di Villa Gregoriana e testimonia la forza di caduta del fiume. Un gorgoglio continuo, dove più dove meno forte, tiene compagnia durante tutta la passeggiata, con un suono costante e intrinseco nel luogo stesso. 
E, insieme all'acqua, arriva la sensazione di frescura e di benessere che ci fa camminare con piacere e affrontare anche la risalita della valle.


Cascata Grotta delle Sirene
Naturalmente la vegetazione è la prima beneficiaria dell'acqua e cresce rigogliosa, soprattutto intorno al fiume. 
Dove esso scorre, formando cascate dal flusso meno impetuoso, varie specie vegetali animano la riva del fiume oppure colonizzano direttamente piccole isole fertili nel mezzo.
Il verde qui ha una tonalità brillante, illuminato dal sole e dal riverbero dell'acqua, ed è il colore principale. Riposa gli occhi e la mente. E si unisce al colore della terra e alla spuma dell'acqua.
Siano alberi, felci, muschi, non importa. Sicuramente avrete ormai capito che non vi trovate in un posto qualsiasi. Che non siamo propriamente in un "villa" come la intende il senso comune in città, ma siamo in un meraviglioso parco naturale, anche abbastanza esteso, abitato da una vegetazione lussureggiante e selvaggia.



Ma non è ancora finita, perché anche per gli appassionati di geologia questo è il luogo giusto. Lungo il percorso, infatti, salteranno sicuramente all'occhio le straordinarie conformazioni geologiche delle concrezioni calcaree, nonché le vere e proprie grotte scavate dalla potenza del fiume nei secoli. Impossibile non notarle. Impossibile non rimanerne affascinati.

Grotta delle Sirene
Concrezioni calcaree


Così come, credo, sia impossibile rimanere indifferenti a tutta Villa Gregoriana in generale. Un luogo così carico di natura eppure tanto vicino a Roma e dentro a una città come Tivoli.
L'entrata è da una delle vie della cittadina. Dal cemento si passa alla natura più selvaggia. Improvvisamente. E allora sembra di essere stati catapultati in un altro luogo come per magia. Spariscono l'asfalto, i palazzi, il traffico. Appaiono il bosco, le cascate, le rocce. 
Di posti belli ne ho visti tanti, eppure Villa Gregoriana mi è rimasta impressa anche a distanza di tanti anni. Forse proprio perché inaspettata. Forse per il valore aggiunto che le dà la sorpresa che nasconde dietro il suo nome (anche se il FAI l'ha giustamente ribattezzata "Parco di Villa Gregoriana", dando già un indizio più esatto su quanto ci si possa aspettare di trovarvi).
Ad ogni modo, se vi state ancora chiedendo quale sia la sua anima, io rispondo: la sorpresa. La sorpresa di un mondo fatto d'acqua e di alberi, così nascosto eppure così a portata di mano. Che aspetta solo di essere trovato. Per suscitare meraviglia. Per stupire. 
E tanto bello da sembrare esser messo lì proprio per ognuno di noi. Perché varcata la soglia dell'entrata, ci si possa ritrovare tra le cascate. Pieni di gioia.




domenica 18 maggio 2014

Torre Salsa: l'immensità del silenzio e dello spazio


Quello di cui vi parlo oggi, sarò sincera, è un luogo che conosco poco. Mi ha visto passare solo una giornata, ormai di parecchi anni fa. Ero infatti molto indecisa se inserire o meno la sua descrizione nel blog. Ma se il mio compito non è fornirvi indicazioni turistiche precise né dati scientifici, se lo scopo di questo blog è raccogliere qui tutti quei luoghi che lasciano qualcosa dentro, perché hanno un'anima ben precisa, allora Torre Salsa non poteva mancare.
Perché, seppure sono stata qui tanto poco, ricordo perfettamente tutte le sensazioni che il luogo sprigionava, con quel suo fascino solitario dalla perfetta bellezza. E, allora, perché no? Perché non dovrei parlarvi dell'anima di Torre Salsa? 


Si tratta di una Riserva Naturale Orientata, a Siculiana, in Sicilia, sotto la provincia di Agrigento. E' stata istituita nel 2000 ed è gestita dal WWF e, oltre ai sei chilometri di costa di cui vi parlerò io, comprende 761 ettari dall'enorme varietà biologica e geologica, che passa da terreni di proprietà del WWF ad ambienti fluviali, alle dune, fino a interessantissime stratificazioni rocciose. Ovviamente è un ambiente protetto per la flora e la fauna che ospita, non ultime le tartarughe Caretta Caretta che qui vengono a deporre le uova. 
Io purtroppo ho avuto l'occasione di visitare solamente la parte costiera: la lunga spiaggia dalle acque cristalline che chiude la riserva dal lato mare. Ma è bastato. A percepire le meraviglie che la natura ha concentrato in questo luogo. A sentire la sua anima vibrare forte.

Appena si entra nella riserva, dopo aver superato un breve sentiero interno, si arriva in una spiaggia di sabbia piuttosto affollata, perché qui si concentra la maggior parte dei visitatori. Ma basta spostare lo sguardo per rendersi conto che la spiaggia continua per chilometri e, poco più in là, è veramente solitaria. La gente si ferma tutta all'entrata. Chi ha la pazienza (e la gioia!) di camminare un po', troverà tratti di costa incontaminati e avrà l'occasione di rendersi conto della composizione geologica del territorio. 
Spostandosi sul lato destro, infatti, cominciano ad apparire, a ridosso della spiaggia, delle pareti rocciose fatte di marne e gessi cristallizzati. Le rocce prendono la forma che il capriccio del vento, della pioggia e del mare ha voluto conferigli. Solchi, punte, strati che non sono  mai uguali nel tempo.  
Già questa cornice rende la spiaggia degna di una visita, e privarvi di vedere questa parte è privarvi del senso stesso del luogo. 
Non siamo solo in un bel posto dove fare il bagno, ma siamo in un luogo in cui la natura ha coniugato così tanti elementi insieme, che considerare solo la trasparenza dell'acqua, seppur degna di nota, sarebbe veramente riduttivo. 

 










Ma se posso dire la mia, quello che veramente colpisce di questo luogo, è l'immensità dello spazio e il profondo silenzio.
Si cammina e si cammina, perché si ha voglia di esplorare, di sapere cosa c'è oltre, di arrivare sempre ad un punto che vediamo da lontano e ci attrae. E si cammina in questa spiaggia ampissima sentendo solo i propri piedi affondare nella sabbia, i gabbiani e il reflusso dell'acqua sulla riva. E questi pochi suoni rimbombano in un silenzio che oserei definire spirituale. Come se il luogo stesso richiedesse silenzio. Per aprire la nostra mente, per concentrare la nostra attenzione su quello che vediamo: sulle rocce, sulla sabbia, sul mare. Per assimilare meglio l'anima del luogo. Per comprenderlo, per rispettarlo e, infine, interiorizzarlo.

Non saprei parlarvi delle specie vegetali e animali, degli ambienti di questa riserva. Non conosco la sua storia né i progetti che il WWF sta attuando per proteggerla. Quello che vi posso raccontare io, nel mio piccolo, è la sua anima forte, che vi avvolge facilmente e non altrettanto facilmente vi lascia. 
Avrete la sensazione che il luogo dialoghi con voi proprio col suo silenzio. Lo sentirete. 
Avrete a disposizione tutto lo spazio che volete. Davanti a voi. Sabbia sotto i piedi, cielo sopra la testa. E vi sentirete immersi nella riserva, vagabondi in un piccolo mondo nel Mondo. Immenso. Da condividere solo col vento.






domenica 11 maggio 2014

Tevere - Farfa: il paradiso della biodiversità


A circa cinquanta chilometri da Roma, all'interno della regione Lazio, verso la provincia di Rieti, la natura e il paesaggio bucolico - collinare offrono angoli decisamente da scoprire. Meraviglie forse poco note e trascurate dal turismo di massa. Zone adatte agli amanti della tranquillità e rispettosi della fauna e degli ambienti naturali protetti. Uno di questi, è la riserva naturale di Tevere - Farfa. 
Che il Tevere possa essere dichiarato riserva, viste le condizioni di inquinamento con cui è ben noto a Roma, appare davvero strano. Eppure basta spostarsi cinquanta chilometri dalla città, per scoprire un fiume completamente diverso, protetto per la biodiversità che ospita, ricca sia livello di flora che di fauna.

Ma prima di addentrarci nella riserva, merita sicuramente un cenno il grazioso paesino medievale di Nazzano. 
Piccolo centro, curatissimo, organizza in autunno una sagra della polenta dal sapore indimenticabile. Dalle stradine tutte in salita, che si affacciano sulla valle sottostante, si arriva al fulcro del paese: il castello.  E qui si domina  ad ampio raggio il panorama sulla campagna romana e, soprattutto, sulla riserva di Tevere-Farfa.


Le anse del fiume scorrono tra prati e zone alberate più o meno fitte. I colori attraversano diverse tonalità cromatiche: dal verde chiaro, al muschio, al verde oliva, al beige, fino al marrone. Non manca nulla alla gioia degli occhi. Un paesaggio fatto dei colori riposanti della natura. Fatto di terra, di acqua, di alberi e prato.
Vien voglia di perdercisi. Di sdraiarsi su quei prati, di assaporare il contatto con la terra, di camminare a piedi nudi e poi trovare ombra e riposo nei boschi, col rumore del Tevere che scorre di sottofondo.


Per entrare nella riserva ci sono diversi accessi che dalla strada principale conducono a strade secondarie di campagna e scendono verso il fiume. Ad un certo punto si prosegue a piedi, inoltrandosi tra boschi di salici, pioppi e ontani, lungo un sentiero sterrato che segue il percorso del fiume, ma in alcuni tratti si discosta anche abbastanza dall'acqua. Per gran parte ombreggiato e silenzioso, ristora corpo e mente. Il silenzio è interrotto solo dal rumore delle foglie che cadono, dal tranquillo scorrere dell'acqua, dai campanacci delle pecore che pascolano nei campi circostanti. 


Poi ovviamente c'è tutta la "rumorosissima" vita delle specie acquatiche, che si indovina dietro strani versi e battiti d'ali improvvisi. 
Lungo il sentiero, diverse capannine in legno sono state costruite per lo studio dell'avifauna: germani reali, fischioni, martin pescatori, falchi, aironi e moltissime altre specie posso essere avvistate dai punti di osservazione mimetizzati tra la natura, cosa che fa di Tevere-Farfa il paradiso dei Birdwatcher. Ma naturalmente non mancano neppure pesci, insetti, anfibi, roditori. Così come moltissime sono le specie vegetali che in questo ambiente crescono fertili. 

A tratti il sentiero si apre, permettendoci un maggiore contatto con l'acqua del fiume. Qui non è difficile, anche a occhio nudo, identificare il via vai delle specie tra la vegetazione fluviale. L'acqua, fino a un attimo prima calmissima, diventa teatro di lotta fra due esemplari o scenario di caccia. Il panorama, pur calmo e tanto rilassante, riserva così sorprese che tengono sempre alta l'attenzione dei visitatori interessati alla vita della "popolazione" della riserva. 

 


E quando a sera le nuvole rosa si specchiano nell'acqua, la luce si fa più morbida, i voli si placano e tutto si fa più silenzioso, e viene l'ora di salutare questo piccolo mondo nel Mondo, fatto di così tanta vita, un po' dispiace non farne parte. Essere stati solo visitatori passeggeri. Non poter vivere anche noi umani, come gli aironi, liberi sulle anse di un nostro bellissimo fiume.