mercoledì 22 novembre 2017

Tra favola e inferno: un autunno alla Riserva Naturale Monterano


Siamo nel territorio della Tuscia Romana, tra i Monti della Tolfa e i Monti Sabatini. E' qui che è stata istituita, nel 1988, la Riserva Naturale Monterano, a tutela di uno degli angoli più integri e suggestivi del Lazio. Si tratta di un ambiente ampio e variegato, di altissimo interesse naturalistico, sia a livello di flora che di fauna. Ed è qui, tra boschi, ruscelli, cascatelle e felci che l'autunno diventa magico. Forse è la stagione migliore per visitare la Riserva che, tinta da quelle generose pennellate di giallo, marrone e arancio che solo Madre Natura sa distribuire così bene, assume un aspetto da fiaba. Ma non solo.
Molti sono gli itinerari e i percorsi, ben segnalati e ben mantenuti, possibili per visitare la Riserva. Quello di cui vi racconterò oggi è l'inizio del percorso "rosso", che parte dal parcheggio della Diosilla, poco dopo la cittadina di Canale Monterano, a nord del lago di Bracciano, tra Roma e Viterbo. E' un percorso che inizia in discesa, con delle ripide e scivolose scalette di pietra, che vi conducono rapidamente nel cuore della Riserva. Scendere sotto il livello della strada è un po' come entrare dentro la Terra, in un viaggio alla scoperta di un mondo sotterraneo. Subito ci avvolge l'umido di una giornata di un novembre inoltrato; il rumore dell'acqua ci sprona a superare l'ostacolo degli alti gradini ricoperti di muschio; mano mano che scendiamo la luce diminuisce, trattenuta dal bosco fitto che ci sovrasta e chiude, geloso, la Riserva. Potrebbe somigliare ad una discesa agli inferi, anche per l'odore di zolfo che accompagna le manifestazioni vulcaniche tipiche di questa zona, visibilmente presenti nella schiuma naturale che costella le rive del torrente Biscione. Tuttavia è proprio questo torrentello, che scorre allegro e sottile, a strapparci dalla mente la titubanza iniziale e l'idea degli inferi, e trascinare rapidamente il nostro immaginario in uno scenario da favola. 

Torrente Biscione.
 
Scorre così: delicatamente, in un letto poco definito, quasi a non voler disturbare le pietre e il tappeto naturale di allegre foglie autunnali che ricoprono completamente la terra. Timido tra la boscaglia fitta e le radici di qualche albero. 
Come non immaginarsi qualche fata dei boschi, pettinarsi i lunghi capelli biondi seduta con grazia sulla riva del torrente, poco prima di sparire nel bosco?
Ponte di legno sul torrente Biscione.
Come non immaginarsela affacciata a questo ponticello di legno, sopra il torrente, intenta a contemplare il bosco? Cosa che facciamo anche noi, senza fretta, perdendoci definitivamente in questo mondo "sotterraneo", intimo, fatto di umido, di bosco, di tronchi ricoperti dal muschio, di felci, di rami e di foglie. Fatto di autunno.

Fatto di pensiero, di meditazione, ma anche di voglia di andare avanti nel percorso, presi dall'entusiasmo,
Bosco autunnale nella Riserva Monterano.
di scoprire dove siano nascoste le fate - perché in un luogo così, non ci sfiora neppure per un secondo l'idea che non possano esistere. Mentre l'umido rapisce le nostre narici, mentre le meraviglie d'autunno riempiono la vista e ci sorprendono per l'armoniosa bellezza, le immaginiamo - le fate - sedute su uno di questi tronchi, nel bosco. O a giocare a nascondino. 

Mentre seguiamo il corso del Torrente, alla nostra destra, il percorso continua e il bosco si fa più ampio, così come le radure, sempre più suggestive, disseminate di felci e da un tappeto sempre più grande e continuo di foglie gialle e dalle varie sfumature di marrone. Il bosco di tutte le favole della nostra infanzia non può che essere questo. Perfetto com'è. Con la sua bellezza attraente, e qualche ramo divelto che offre il giusto pizzico di inquietudine che, in ogni fiaba che si rispetti, caratterizza il bosco. Così meraviglioso eppure pieno di insidie: regno di fate e di lupi. Di sogni e di segreti. Di elfi e di nani. Di luce e di buio.

Bosco a Monterano.
 
Bosco a Monterano.
 
E il bosco che ci attrae fin da bambini. Che ci impaurisce, ma al tempo stesso ci invita  inesorabilmente a camminare, sentendo soltanto il rumore dei nostri passi che calpestano le foglie affondando nella terra umida, e il rumore delle foglie che, invece, cadono dagli alberi al momento, appena strappate alla vita, ma non per questo meno suggestive, mentre si poggiano lievi al terreno.
E camminando notiamo funghi e ciclamini e felci e muschi e agrifogli. 
E poi, improvvisamente, ci ritroviamo fuori dal bosco, illuminati finalmente dalla luce del sole che ora ci scalda, ma ancora una volta ci sembra di essere, ora in modo diverso, dentro l'inferno. Il paesaggio si fa scarno e lunare. Un forte odore di zolfo ci invade. Il ribollire dell'acqua del torrente e le incrostazioni gialle sulle rocce, ci indicano di essere arrivati alla solfatara che descriveva l'itinerario. Qui, davanti ai nostri occhi, si manifesta la potenza del mondo sotterraneo fatto di fuoco. Nel nostro immaginario, ora le fate lasciano il posto alla suggestione dell'inferno dantesco e dei suoi fiumi.

 
Polla sulfurea.
Torrente dei pressi della solfatara.

Continuando il sentiero segnalato, arriveremmo alle rovine della antica Città di Monterano. Ma le giornate sono corte e ormai sta calando il sole. Rimandiamo la visita in primavera, e, giusto per tornare un po' all'anima fiabesca del luogo, che si alterna a quella più oscura, seguiamo invece per qualche metro il percorso del Biscione, sulla sinistra. Superata la zona sulfurea, il corso del Torrente si fa più pieno di acqua e nuovamente suggestivo. Questa volta lo possiamo osservare dall'alto, dal semplice sentiero rettilineo che lo sovrasta, tra alberi di castagni e boscaglia mista. Basta affacciarsi un po', per vedere, giù, il corso d'acqua. Ancora una volta incorniciato da terra ricoperta fittamente da foglie giallissime. Si forma una luce magica, incredibilmente blu, tra i rami e il torrente. Una luce irreale, da sogno. Che avvolge tutto, esalta l'anima fiabesca di questo luogo e pare rivelare nel suo massimo splendore anche l'essenza dell'autunno stesso. 

Torrente Biscione tra il bosco.
 
Godiamocelo, questo autunno qui. Il resto del percorso ci aspetta con la primavera... la Riserva Monterano non ha assolutamente finito di sorprenderci. A presto...





venerdì 13 ottobre 2017

L'anima del deserto: Foce del fiume Belice e dune limitrofe


Non avevo idea di cosa fosse il "deserto", di cosa volesse dire camminare sollevando polvere di sabbia rovente e sentire crescere l'arsura in gola, finché non ho visitato la Riserva Naturale Foce del fiume Belice e dune limitrofe, in pieno agosto. Naturalmente è solo un sentore di "deserto", perché qui ci sono il mare, la vegetazione, la foce di un fiume - che tuttavia in agosto è completamente in secca -, eppure l'anima di questo luogo contiene in sé la durezza e contemporaneamente il fascino che, in maniera certamente amplificata, deve provare chi visita i più grandi deserti della Terra. E dopotutto è normale che sia così: siamo nella Sicilia sud - occidentale, poco sotto, separata solo dal mare, c'è la Tunisia. Il passo è breve. E richiama alla mente quello che doveva essere un tempo: quando le due Terre erano un'unica cosa, o quando, successivamente, la Sicilia meridionale doveva essere tutta così: fatta da dune di sabbia e coste desertiche lunghe chilometri. Prima che l'uomo costruisse, speculasse, modificasse la conformazione naturale delle coste. Oggi rimangono residui di ciò che fu, dove si è provveduto a fermare l'azione umana  tramite l'istituzione di Riserve Naturali protette. Riserva Foce del Belice e dune limitrofe è una di queste. Il luogo dove respirare la polvere di sabbia e vivere le atmosfere desertiche di una volta. Si estende per circa 4 chilometri tra Marinella di Selinunte e Porto Palo di Menfi, tra le provincie di Trapani e Agrigento. Ed è fatta di piccole dune, a loro volta fatte di sabbia color ambra, intervallate all'interno da pini marittimi ed eucalipti, e invece verso il mare colonizzate da arbusti e gigli. 

Pini marittimi cresciuti tra la sabbia.

Entrando nella riserva dalla parte di Marinella di Selinunte, purtroppo ci si accorge che il primo tratto è stato concesso alla gestione di alcuni lidi e club nautici. Incuranti del brusio dei bagnanti e dello scempio delle costruzioni umane, occorre seguire il sentiero fatto di sabbia, indicato con la dicitura: "le dune", alla ricerca della vera anima della Riserva. Percorso all'incirca un chilometro, finalmente si entra in contatto con lo spirito più vero del luogo. Il rumorosissimo "silenzio" della natura, fatto dal frinire delle cicale, dal vento tra le fronde degli eucalipti, dal mare che si avverte al di là della vegetazione, alla nostra destra. In estate il re degli odori è quello della resina dei pini, che ci arriva fresca e pungente, mentre camminiamo tra la sabbia, superando tronchi di albero e intravedendo il mare al di là.  

Tronchi di albero, dune e mare.
E' un paesaggio fatto di alberi cresciuti sulla sabbia, con le radici che traggono nutrimento dalla fertile terra al di sotto di essa. Di fronde ombreggianti di pini ed eucalipti che, in questo tratto di riserva, ancora ci assicurano una benevola ombra e una varietà di colori: il giallo della sabbia, il marrone dei tronchi, il verde delle fronde degli alberi. Al di là, anche il blu del mare che ci attrae.

Ma la vera anima del luogo, si respira una volta usciti allo scoperto. Ci aspetta oltre la vegetazione: dove essa termina, verso la spiaggia, per lasciare il posto a piccole ma estesissime dune di sabbia dorata. Qui crescono solo arbusti e gigli, aggrappati testardamente alla sabbia, sconvolti dal vento che modifica le dune stesse, esposti al sole cocente. Qui non c'è più riparo. Questa è l'anima desertica del luogo che ci sfida, che ci mette alla prova. Se vogliamo visitarla c'è un prezzo da pagare: camminare tra le dune sentendo cuocere la pelle e mancare il respiro. Tra chilometri di sabbia bollente, sollevata dal vento caldo, che appanna anche la vista nello stesso momento che la appaga. L'ocra è l'unico colore concesso.

Dune di sabbia.
Gigli cresciuti sulla sabbia.

Una vallata di sabbia. Ocra. Una spiaggia fatta di piccole dune che diventano un tutt'uno. Selvaggia. Scelta anche dalle tartarughe Caretta Caretta per nidificare. Impreziosita dai bellissimi gigli bianchi della sabbia. 
Essere qui è un privilegio di cui godere per poco tempo. Vorresti visitarlo, interiorizzarlo, questo luogo. Ma in pieno agosto non puoi. Riesci solo a sederti, arreso all'afa, per qualche minuto tra le dune. Il tempo di riprendere le forze e decidere se ripararti di nuovo tra gli alberi all'interno o se scendere verso il mare.
Personalmente la seconda ipotesi mi attira troppo per rinunciarvi e così, stremata dal caldo, rinunciando a quel mondo a sé, affascinantissimo, delle dune, arrivo alla riva. Qui sembra di essere in un emisfero totalmente differente. Il vento è sempre molto caldo, ma porta con sé il ristoro della brezza marina fresca. 

Le acque cristalline della spiaggia della Riserva.
L'acqua è cristallina, e inaspettatamente subito profonda e gelida a causa delle correnti marine di questa zona. Tuffarsi in queste acque è una sensazione incredibile. Si sente evaporare improvvisamente tutto il calore accumulato dal corpo, in un repentino passaggio dal caldo al freddo che rigenera. E' come se le narici si sturassero e si riprendesse a respirare a pieni polmoni, superato il deserto. Ecco: questo mare è proprio come deve essere un'oasi nel deserto. Rigenerante. Rassicurante. Accogliente. 
Stordisce proprio come fosse un miraggio, un'acqua così limpida, così fredda. Nuotarvi è rinascere.
Ed è proprio dall'acqua, che si può ammirare la riserva con maggiore distacco e forse comprenderla pienamente.Osservare dove eravamo: in un mondo fatto per chilometri solo da sabbia e arbusti. Fin dove quasi nessuno si spinge, verso la foce del Belice: un luogo incontaminato, isolato, qui veramente intatto. Dove comanda la natura soltanto. Il vento che modifica le dune e soprattutto la sabbia rovente, che inneggia al deserto.
Un tratto della Riserva, vista dal suo mare.
 
La solitudine e la paurosa bellezza di questo luogo sono la sua anima. Ci si sente persi, qui. Lontani dal mondo e perfino da se stessi. Diventati sabbia dorata rovente anche noi. O acqua gelida, mentre si nuota dimentichi di tutto, tra il vento e il rumore del mare che invade beatamente la mente. Mare e mare, e dietro sabbia e sabbia. Freddo e caldo. L'eterno contrasto tra la vita e la morte. Qui finalmente insieme. Alla Riserva Naturale foce del Belice e dune limitrofe. Visitatela, odiatela e amatela. Soprattutto, capitela...



domenica 11 giugno 2017

Primavera tra le dune a Marina di Sorso


La magia della terra Sarda non finisce mai di riservarci sorprese e così, anche questa volta, desidero condurvi alla sua scoperta. 
Ancora una volta è primavera. Ancora una volta a farla da padrone sono le dune e la libertà.
Questa volta siamo nella spiaggia di Marina di Sorso. Sardegna settentrionale, tra Castelsardo e Porto Torres. Questa spiaggia è molto estesa, a tratti anche organizzata turisticamente, ma la parte più bella è indubbiamente la parte selvaggia, lasciata alla natura soltanto, che inizia poco dopo aver lasciato il borgo di Castelsardo, andando verso ovest. La scopro così, per caso, come molte altre volte succede in Sardegna: quando hai in mente una meta prefissata e prima di raggiungerla, lungo la strada, ti fermi tante e tante volte, colpito dalla bellezza di luoghi meno famosi, ma che ti catturano e ti costringono a fermarti e a viverli. I fuori programma che danno senso al viaggio e alla vita stessa. Marina di Sorso è questo. E' un regalo che non ti aspetti. E' il cuore che batte per una emozione non messa in conto. E' ancora una volta lo stupore per il valore di ogni angolo della Sardegna, quando, mentre sei in strada, d'improvviso questa attraversa pinete folte, che ti corteggiano con l'ombra e l'odore di resina. E tra la pineta, ecco i sentieri di terra che conducono al mare. Immaginato. Ti attraggono inesorabilmente. L'unica cosa che puoi fare è fermare la macchina e percorrerne almeno uno, quello che il destino ti ha riservato, con la trepidazione di scoprire dove conduca. Qui, a Marina di Sorso, quello che il mio sentiero mi riserva è il panorama sulla lunghissima spiaggia di sabbia bianca, con il mare leggermente increspato da un vento che muove le onde, sposta la sabbia, modella le dune a seconda del suo capriccio. Un vento che sconvolge anche te, che entra dentro l'anima, che ti uniforma con il luogo. Non importa se sei sabbia, acqua o creatura vivente, esso ti attraversa. E ti cambia. 

Fiori tra le dune a Marina di Sorso.
Ti trovi tra le dune. Si susseguono una all'altra. Alcune più basse, altre compatte e alte. La sabbia è bianca e finissima. La macchia mediterranea fa la sua comparsa qua e là, colorandola di verde. La primavera completa il lavoro della natura, donando cespugli di fiori gialli o fucsia. Che privilegio essere qui in questa stagione, godersi questa spiaggia ancora deserta di gente e piena di fiori! 

Macchia mediterranea tra le dune a Marina di Sorso.
Fiori tra le dune a Marina di Sorso.
Chilometri e chilometri così: di dune e arbusti e fiori. Il mare che si vede solo se riesci a salire sulle dune più alte, quando si apre il panorama su tutta la lunghezza della spiaggia. Un paesaggio sempre uguale e sempre diverso, a seconda di come si combinano tutti gli elementi che lo compongono: i pini marittimi, i mirti, i ginepri, le  fioriture primaverili. E tu con la tua brama di scoprire in ogni punto quello migliore. Spostandoti ora su una duna, ora su un'altra. Scendendo, salendo, saltando, in una ricerca continua della totalità del luogo, destinata ovviamente a fallire. Ogni punto offre una nuova prospettiva, uno scorcio differente, una nuova emozione. Ma mai potrai conoscerlo tutto, questo luogo. Ampio, esteso, destinato a cambiare sempre col vento e con le stagioni. Corri tra le dune affamato di libertà, di scoperta, di bellezza. Di felicità.

Non è facile riprendere il cammino, lasciare questo luogo, ricordarsi che la meta non era questa. Ma lo fai. Solo che durante tutta la giornata ripensi all'anima di questo luogo. Un'anima fatta di vento, di libertà, di infinite possibilità. Di natura selvaggia, di mare, di sabbia. E vuoi tornare. Alla fine del giorno vuoi tornare proprio lì dove la giornata era iniziata, anzi: su un altro sentiero tra la pineta che porta a questa spiaggia. Una storia dello stesso libro; l'altra faccia della stessa medaglia. Per scoprire ancora qualche cosa di più. Per vedere che effetto fa alla luce del tramonto, per capire se un'altra parte della spiaggia può farti battere il cuore allo stesso modo.

Marina di Sorso, alberi sulla spiaggia.

E scopri, questa volta, una zona più fitta di alberi, piegati dal vento, abituati a lottare ma anche a resistere. Scopri la durezza della natura. La forza che ci vuole per farne parte. La luce più calda del tramonto che avvolge tutte le cose. Quello che provi adesso, a quest'ora del giorno, non è più bramosia ed emozione, ma una straordinaria sensazione di pace, di consapevolezza. Un respiro dell'anima. Presto sarà sera.





domenica 21 maggio 2017

L'anima luminosa di Stintino in primavera


Sardegna, estremo lembo di terra nord - occidentale. E' qui che sorge il borgo di Stintino e la sua famosissima spiaggia: La Pelosa, affacciata sul golfo dell'Asinara, con l'omonima isola proprio di fronte. E' difficile parlare di questo luogo, perché ne hanno già parlato tutti. La Pelosa è una delle spiagge più conosciute e frequentate della Sardegna, reclamizzata ovunque, turisticamente sfruttata al massimo. Dei luoghi così, non è semplice individuare l'anima, perché spesso è assopita dal clamore delle persone che la frequentano, perché spesso è nascosta dalla realtà creata artificialmente per i turisti: alberghi, bar, lidi. Vi dico subito che d'estate, quando è difficile trovare anche solamente un posto per stendere il vostro asciugamano sulla sabbia, è impossibile sentire l'anima di questo luogo. Ci possiamo provare adesso, in primavera, ora che ancora non è presa d'assalto, ora che ancora molte delle strutture turistiche sono chiuse e la gente, sì, c'è, ma non è poi molta. Ora che la spiaggia dà il meglio di sé, incorniciata dalla fioritura primaverile che cresce sulle dune di sabbia alle sue spalle. 

La Pelosa, Stintino, panorama.
E' bella La Pelosa. Questo è innegabile. Arrivando, quello che  colpisce subito, d''impatto, è la tonalità  del mare, dal turchese all'azzurro. Un mare che richiama alla mente fantasie di mari tropicali. E poi il contesto in cui la spiaggia è immersa: davanti l'isola dell'Asinara, a sinistra l'isolotto su cui sorge la Torre Aragonese, dietro le dune di sabbia bianca, ricoperte di macchia mediterranea e fiori.
La monocromia dei colori freddi: il blu del mare e il verde della vegetazione, è allegramente interrotta da macchie di fucsia e di giallo. Regalo della primavera che ha diffuso la vita sulle dune, rendendole più affascinanti, così ricoperte di fiori fattisi strada tra la sabbia. Un dipinto perfetto.

Fioriture primaverili sulle dune.
Fioriture primaverili sulle dune.

Facendoci largo tra le dune, utilizzando delle passerelle in legno create per scendere alla spiaggia agevolmente e senza danneggiarle, ora concentriamo la nostra attenzione tutta sul mare. Non prima di aver notato quanto la sabbia bianca sia anche finissima e quanto sia piacevole camminarvi sopra a piedi nudi. Ed è qui, all'improvviso, che alla bellezza innegabile di questo luogo, si aggiunge anche la sua anima, che inizia a farsi sentire. Così, in una giornata di primavera, senza molta gente, mentre camminiamo lentamente sul lungo bagnasciuga de La Pelosa, proprio nell'istante in cui smettiamo di sentirci in un dépliant turistico ed entriamo in sintonia con il luogo. Con la realtà del luogo, spogliato di ogni aspettativa e stereotipo. Quel che resta è la natura generosa, protagonista. Il vento leggero di oggi che scompiglia lievemente il mare trasparentissimo. L'autoritaria solitudine dell'isola dell'Asinara, di fronte. Il mare e la sabbia, la sabbia e il mare, nel punto esatto dove si incontrano, costantemente, in un tempo senza fine. 

E' un'anima luminosa, quella de La Pelosa. C'è un chiarore diffuso ovunque, qui. La sabbia bianchissima, quasi abbagliante. Il mare cristallino, la cui trasparenza è certamente alimentata dal fondale basso e fatto sempre della stessa sabbia bianca dell'arenile. I riflessi di luce che si infrangono, giocando con il mare. E' tutto luce. I colori sono chiari, ma anche lo stesso luogo lo è: così assolutamente conoscibile. Si mostra tutto davanti a noi, rivelato. Un paesaggio aperto, definito, che si offre ampio alla vista. Essa spazia, libera, e abbraccia tutta la spiaggia, senza ostacoli.

Il mare della Pelosa.
Il mare della Pelosa.

L'invitante acqua del mare passa in secondo luogo. Qui, in primavera, non avrete solo voglia di tuffarvi e godervi l'allegria di un bel bagno, come d'estate, ma anche quella di sedervi a guardarlo, questo mare. Di riflettere. Di interiorizzarlo. E fare vostra un po' della sua luce, un po' di questo chiarore che vi fa stringere gli occhi e rilassare la mente. E' un luogo puro, questo. Pulito. Dominato dalla luce che tutto svela. Semplice, se vogliamo: una spiaggia di sabbia, dritta, un mare trasparente e poco profondo, la natura intorno. Semplicemente perfetto.

Spiaggia.

Regalatevelo, allora, questo viaggio. In aprile, in maggio, non oltre. Prima che la ressa estiva invada la meraviglia naturale di questo luogo, che ne soffochi l'anima, piegandola all'artificio di una stagione balneare fatta di creme solari e costumi alla moda. E, se potete, andateci proprio in primavera, quando i fiori adornano la spiaggia, quando i colori sono al massimo del loro splendore, quando la luminosità naturale di questo luogo è massimamente esaltata da un sole generoso, ma non ancora fastidioso. Quando sarà possibile correre sulla spiaggia, liberi, come bambini. Felicemente contagiati dal suo chiarore. Negli occhi. Nell'anima.



Il mare e la montagna: la duplice anima di Cala Li Cossi


Oggi andiamo in Costa Paradiso, nella Sardegna settentrionale, alla scoperta di una delle cale più suggestive dell'isola: Cala Li Cossi. Vi dico la verità: è stata proprio questa spiaggia a convincermi ad andare in Sardegna. Dovendo scegliere la tappa del mio prossimo viaggio, intanto girovagavo virtualmente su Internet in cerca di immagini che mi colpissero. Le fotografie di Li Cossi sono state un colpo di fulmine: tuffo al cuore immediato, incredulità e una voglia di andare assoluta, di quelle che ti fanno cancellare tutte le altre ipotesi possibili. Dunque è deciso: indiscutibilmente Sardegna, a iniziare da Cala Li Cossi. 
Andiamo. Vi porto con me.
Come vi ho già accennato siamo in Costa Paradiso, un tratto costiero compreso tra Vignola e Trinità D'Agultu, caratterizzato da piccole calette bagnate dal mare più limpido, circondate da frastagliate rocce granitiche che vanno dalla dimensione di scogli fino a vere montagne coperte da macchia mediterranea. La più bella, tra queste calette, è Cala Li Cossi.

Sentiero verso Cala Li Cossi.
Per arrivarci dobbiamo entrare nel complesso residenziale chiamato anch'esso Costa Paradiso, e una volta lasciata la macchina iniziare un suggestivo percorso lungo la costa, addossato alla parete rocciosa, che in una decina di minuti ci condurrà alla nostra spiaggia. 
Ricordiamoci che siamo in primavera. Di questa stagione è impossibile non fermarsi più volte, godendoci la passeggiata verso la cala, anche solamente per ammirare il panorama di rocce e di mare incorniciato dalla fioritura primaverile. Il mare è calmo. Trasparente. Gli scogli sembrano suoi fedeli difensori, ora a riposo. I fiori fucsia irrompono sulla scena con allegria cromatica. 

Fioritura primaverile lungo il percorso.


Più in là, lungo il sentiero, si inizia a fare sul serio. Il paesaggio si trasforma e si fa più impegnativo, più montano. Il mare è meno a portata di mano, ci siamo alzati d'altitudine. La roccia è più frastagliata, la macchia mediterranea ci avvolge. E' più vera e dura, rispetto ai fiori colorati e freschi che ci siamo lasciati alle spalle. Questa è abituata al vento, a durare nei mesi, ai capricci del mare. E' forte. E' radicata. Il sentimento che ci accompagna non è più l'allegria primaverile e un po' leggera dell'inizio, ma la stabilità delle cose durature, la solidità di un panorama forte, abituato alle stagioni più impegnative e da esse modellato. La vista si apre e qui spazia lungo la costa. Chilometri così: di rocce e arbusti, su un mare blu. Assoluto.

Panorama lungo il sentiero verso Cala Li Cossi.
 
Ora siamo ansiosi di trovare quello che stiamo cercando. Non è più possibile godersi il percorso passeggiando con tranquillità, perché ora la sentiamo vicina, la meta, e cresce la brama che abbiamo di essa. Ora quello che ci interessa è vedere la spiaggia. Sappiamo che manca pochissimo. Ci prepariamo allo spettacolo.
E difatti, dopo un'ultima curva, eccola: Cala Li Cossi, maestosamente sotto di noi.

Cala Li Cossi.

Cala Li Cossi.

Il cuore batte. Una striscia di sabbia chiara e un mare limpido. Ma non è questo. E' tutto quello che c'è attorno che la rende unica. La spiaggia è chiusa tra le montagne, alte, frastagliate. Dure. Alle sue spalle, la foce dell'omonimo fiume Li Cossi completa un paesaggio controverso e di rara bellezza. Qui si fondono due anime opposte: il mare e la montagna si incontrano in un connubio che ci colpisce proprio per la sua particolarità. Ed è tutto sotto di noi, in una dualità che ha saputo risolvere il conflitto generando un paesaggio unico. La durezza della montagna, l'apertura del mare. Qui convivono, unite dall'acqua e dalla roccia. Acqua di fiume. Acqua di mare. Roccia frastagliata, aspra, della montagna. Roccia che vicino al mare diviene scoglio più levigato. Non sembra neppure di essere in Italia, ma chissà in che parte selvaggia del mondo. Un'aquila sorvola la spiaggia. I profumi di mare e di montagna ci invadono, e mescolati dal vento diventano un solo, unico odore.

Scendere alla spiaggia, che in questa stagione è semi deserta, è come approdare in una terra segreta. Ci si sente un po' naufraghi, camminando con i piedi nudi che affondano sulla sabbia, le scarpe in mano, su questa spiaggia. Fuori dal tempo, fuori dal mondo. In una realtà parallela dove esiste solo il qui ed ora. Eppure ci sembra di capirla proprio qui, la verità della vita. Che tutto abbia un senso in questo luogo. Qui dove un'anima duplice ci parla della sabbia su cui ora sono nati piccoli e delicati fiorellini lilla, e della montagna su cui un pino marittimo resiste piegato dal vento. E' un'anima forte, quella di Li Cossi. Un'anima che porta il conflitto all'interno, eppure proprio per questo è completa. Totale. Due anime convivono qui. Quella del mare e quella della montagna. Una più lieve e una più dura. Un po' proprio come nella vita, fatta di contrasti che si completano. Elementi diversi si fondono a formare una realtà che esiste proprio grazie alla loro coesistenza, perché qui essi sono entrambi necessari, assolutamente complementari, alla meraviglia di questo luogo.

Fioritura sulla sabbia.

Pino marittimo.


E' così, Cala Li Cossi. E' mare e montagna. E' entrambe le cose insieme. Ed è sabbia, fiume, arbusti, roccia, acqua, vento. E' un angolo di natura selvaggia, preservata da quest'unico sentiero ricavato tra la roccia, solo modo di raggiungerla via terra. E perciò è rimasta isolata, protetta, elitaria se vogliamo. Bisogna volerla. Bisogna desiderarla e andarla a cercare. Non si capita per caso a Cala Li Cossi. Ci si va perché si innamora del suo fascino spettacolare. Delle sue montagne che la custodiscono come un tesoro prezioso. Del suo mare che le addolcisce. Della sua spiaggia che offre conforto. Seduti lì, a guardarci intorno, ci si sente piccoli di fronte alla forza della natura, di fronte all'anima di questo luogo, di fronte a tanta bellezza. E ci si sente felici.



sabato 6 maggio 2017

Le dune della Sardegna del nord: la spiaggia di Rena Majore


E' proprio vero che le cose migliori capitano quando non te l'aspetti. E l'assenza di aspettative, che inevitabilmente crea un'attesa, permette di gioire senza preconcetti di una bella sorpresa. Ed è proprio così: a sorpresa, che mi imbatto nella spiaggia di Rena Majore, nella Sardegna settentrionale, poco dopo la cittadina di Santa Teresa di Gallura, procedendo con il mare alla mia destra. Assolutamente fuori programma, essendo la meta del mio itinerario la spiaggia di Li Cossi (di cui vi parlerò nel prossimo post), per puro caso mi giro verso il mare, lungo la strada, e la vedo. Si può dire sia un vero e proprio colpo di fulmine. Tra la pineta che lambisce la strada, un varco apre la vista su una duna di sabbia di un bianco accecante. Dietro, il mare turchese. Io incredula per una frazione di secondo. Come può essermi sfuggito un luogo così? Ma i fuori programma sono assolutamente benvenuti e salutati dal cuore che inizia a battermi più veloce. Non devo neppure deciderlo: è scontato che mi fermerò a visitare questa meraviglia, come un regalo inaspettato e perciò tanto più gradito. 
Apprendo da alcuni cartelli segnaletici che siamo della provincia di Aglientu. 
Non so come sia d'estate questo posto, ma ora, in aprile, è assolutamente deserto e selvaggio. Lascio senza problemi la macchina ai lati del sentiero sterrato, sotto l'ombra di un pino, e mi addentro della pineta odorosa. Un odore di resina e di mare, una promessa di benessere d'ombra e di allegria di cicale nelle estati senza tempo. 

Dune a Rena Majore.
Dune a Rena Majore.

Subito dopo la pineta, le dune. Alte. Alcune imponenti. Vive di vegetazione. Bianche. Morbide. Modellate solo dal vento. Senza traccia di passi umani. Talmente pure che sembra quasi una violazione della natura, camminarci sopra, rompere i solchi tracciati dal vento con le mie impronte estranee. Eppure lo faccio. Perché ora è diventata esigenza visitare questo luogo, capirlo, interiorizzarlo. Procedo stordita da tanta bellezza inaspettata. Di una accessibilità assoluta, eppure che pare essere solo una delle tante spiagge della Sardegna. E proprio da questo inizio a capire quale sia, il fascino tanto decantato di questa regione.
Le dune si susseguono una dopo l'altra, come una nascesse esattamente dove muore la precedente, in un continuo circolo di vita. Rami scuri si stagliano, a contrasto, sulla sabbia bianca. Qua e là, la macchia mediterranea interrompe il chiarore della sabbia, tingendola di chiazze di verde. I ginepri trovano qui il loro paradiso. E anche io. Camminare su queste dune incontaminate, col vento che le scombina e le ricombina proprio davanti a me, con i piedi affondati della morbidezza della sabbia, serve a capire il senso intero della vita. Mi sdraio, esausta, su una delle dune più alte, e per un po' resto così, con il cuore che batte, la mente piacevolmente confusa, il respiro profondo, a godere soltanto di questo luogo.
E poi riprendo il cammino, scendendo di corsa dalla duna per raggiungere la lunga spiaggia di sabbia circondata da rocce di granito. E il mare è una nuova sorpresa. Nonostante il vento increspi la superficie dell'acqua, è di un meraviglioso turchese trasparente. Rende felici.

Mare a Rena Majore.
 

 
Fiume che attraversa Rena Majore.
Fiume che attraversa Rena Majore.
E poi, tornando indietro, scelgo un sentiero alternativo a quello dell'andata, procedo d'istinto, tra le mille dune, per visitarne il più possibile. Per emozionarmi ancora. Ed ecco un fiumiciattolo attraversare la spiaggia. In inverno deve raggiungere la sua massima potenza, ma in questa stagione si prepara già all'arsura estiva, facendosi più modesto. E', comunque, anch'esso, parte dello spettacolo che la natura offre su questa spiaggia.
Così selvaggia, incontaminata, il cui unico padrone sembra essere il vento. 
Qual è l'anima di questo luogo? L'avete già sentita, forte com'è, attraverso le mie parole? E' un'anima di sabbia, di arbusti tenacemente attaccati ad essa. Un'anima d'acqua, perciò di vita. Un'anima fatta da una natura che qui è libera di esprimere tutta la sua potenza. Un'anima di libertà, di ampiezza e di vento che la scompiglia a suo piacere. Io trovo che qui sia racchiusa un po' tutta l'anima della Sardegna, di quella parte autentica della Sardegna fatta da spiagge incontaminate, di una meraviglia assoluta e lasciate allo stato selvaggio, con gli alberi, le dune, gli arbusti e le pinete chilometriche. Dove il vostro cuore non  potrà far altro che battere, forte, di emozione. 
Cosa state aspettando? La Sardegna vi aspetta. Rena Majore vi aspetta. Vi accoglierà tra le sue dune, finché sarete lì la sua anima sarà all'unisono con la vostra. Poi tornerà ad essere solo della natura. Meravigliosamente selvaggia.




domenica 16 aprile 2017

Un inizio primavera ai Lagustelli di Percile


Oggi voglio condurvi in uno dei luoghi più suggestivi e meno conosciuti del Lazio: i Lagustelli di Percile. Siamo all'interno del polmone verde dei Monti Lucretili, in provincia di Roma. Basta un'oretta di strada dalla capitale, per entrare nel contesto assolutamente naturale e rigenerativo di questo parco nazionale. 
Lagustelli è la denominazione con cui si identificano i due piccoli laghi carsici, siti a pochi chilometri dal genuino paese di Percile: il lago Fiaturno e il lago Marraone. Vi si accede attraverso un percorso abbastanza semplice, una volta posteggiata la macchina all'inizio della tenuta gestita dalla Forestale. Si tratta di una piacevole passeggiata su un sentiero sterrato, circondato dal verde, che in una ventina di minuti ci condurrà al lago principale. Ma andiamo con calma. Non è importante solo la meta, ma anche il viaggio. Soprattutto se riserva piacevoli sorprese come in questo caso. 
Intanto, qui ci dà il benvenuto l'aria pulita e profumata di bosco. Per noi che arriviamo dalla città è subito evidente, d'impatto, quando scendiamo dalla macchina. I polmoni si aprono, approfittando automaticamente di questa prima sorpresa. Noi ci sentiamo già più distesi. E iniziamo a camminare. 

Cavalli in libertà.
Presto anche l'udito si mette in allerta. Rimbombano sulla terra i passi di animali che si muovono tra la vegetazione. Cerchiamo, incuriositi, di visualizzarli. Ed eccola, la seconda sorpresa: una mandria di cavalli in libertà. Pascolano sui prati che abbracciano il nostro sentiero. Devono essere abituati alla presenza dell'uomo perché non si intimidiscono né si mostrano minacciosi. Continuano a pascolare, flemmatici, e soltanto uno più curioso alza la testa per guardarci bonariamente, prima di proseguire le sue attività.
Cavalli in libertà.
Devono essere abituati, sì: a una umanità che, da queste parti, deve aver saputo proteggerli e rispettarli nel corso delle generazioni. Perché nel dna di questi cavalli c'è l'assoluta fiducia nell'uomo. Per loro, noi che passeggiamo qui, siamo parte della natura che li circonda. Normali. Ecco, sì: siamo normali. Come i fiori, gli alberi; come l'aria; come gli altri animali che bazzicano da queste parti; come ogni altro elemento del loro universo. Ed è meraviglioso esserlo.

Ma le sorprese non sono ancora finite. Durante il percorso, soffermandosi ad osservare, è impossibile non notare che è primavera. Inizio della primavera, per essere precisi. L'istante in cui ci sono ancora i segni dell'inverno, ma i semi della bella stagione sono già stati gettati e sono in fieri. 

La primavera sta lottando per avere la meglio.
Vegetazione spontanea.
E così, tra le tristi foglie invernali ormai secche, radunate dal vento ai margini del sentiero, ecco spuntare una primula spontanea. Carnosa, giovane, colorata e sfrontatamente vitale proprio per il contrasto con quello che la circonda. Una promessa di vita.
La vita che vince la morte. 
Vegetazione spontanea.
Così come la violetta, sempre spontanea, che timidamente fa capolino dal terreno. Nata tra pietre e foglie morte. Macchia di colore e di vita. Deliziosamente bella nella sua discreta delicatezza. 






E così, camminando camminando, distratti ormai da quella che era la meta che ci ha spinto a metterci in cammino, quando non è più così impellente arrivarvi, appagati come già siamo dalle altre bellezze che ci circondano, ecco che il maggiore dei laghetti di Percile (l'altro è troppo coperto dalla vegetazione per accedervi), si para di fronte a noi. E, diciamo la verità, ci lascia senza fiato con la sua bellezza e ci ricorda benissimo, ora che l'abbiamo di fronte, perché volevamo arrivarvi. 
E' verdissimo, intatto e prezioso come il più bello smeraldo. Un gioiello. 
Il diametro è di circa 96 metri, un paesaggio da fiaba li circonda tutti. Il bosco di abeti intorno, si riflette perfettamente nelle sue acque. Il verde fa da contrasto con il bianco delle sue sponde. Non c'è nessuno. Solo silenzio. Anzi no: si sente il gracidare delle rane e il lento sposarsi dell'acqua che produce il loro movimento. E poi il canto degli uccelli. E il vento. 
Il lago è tutto per noi, è il nostro umanissimo paradiso fuori dal mondo. Facciamo il giro di tutto il perimetro, sotto il bosco. Poi ci sediamo su un tronco e osserviamo il lago. Lo interiorizziamo, lo facciamo nostro. Poterlo accogliere tutto con un solo sguardo ce lo rende conoscibile, familiare. Ci dà l'illusione di possederlo e che non possa avere segreti per noi. 
Ci chiediamo solamente dove siano le ninfe e le fate dei boschi, perché con un paesaggio così, neppure noi adulti razionali ci meraviglieremmo di vederle spuntare dietro qualche tronco d'albero o scorgerle sedute sulle rive. E' un luogo incantato e incantevole, questo. La sua anima è la una natura intatta, che l'isolamento preserva. E' l'acqua, specchio del bosco. E' il bosco, rifugio degli animali e pace dei nostri pensieri. E' bellezza e incanto della perfezione degli elementi del paesaggio che qui compongono un quadro di un emozionante equilibrio.

Lago Fiaturno.
 
Lago Fiaturno.
 

Il cuore batte, accelera incredulo come di fronte alla bellezza della persona amata. E poi rallenta, una volta sicuro che il lago non sia frutto dell'immaginazione, che non scomparirà come un sogno di inizio primavera. E una volta calmo, il respiro si fa più lento e profondo, la mente si apre e l'anima si estende e si unisce con quella del luogo.
Tornare a Fiaturno è la promessa che facciamo a noi stessi. Presto vi terremo fede.