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venerdì 23 marzo 2018

La grotta dei Cocci Rotti: un panorama infinito



Come il precedente, anche questo post racconta la meravigliosa terra di Sardegna e le sue grotte. E senza andare neppure troppo lontano, rimaniamo sempre nel promontorio di Capo Caccia, in provincia di Alghero, pur trattando di una grotta dall'atmosfera del tutto differente rispetto alle Grotte di Nettuno che abbiamo conosciuto la volta scorsa.
Si tratta della grotta dei Cocci Rotti, altrimenti nota come grotta dei Vasi Rotti, che ha guadagnato questo nome in seguito al ritrovamento, al suo interno, di alcuni frammenti di suppellettili in ceramica appartenenti al Neolitico.
La grotta è poco conosciuta, al di fuori dei circuiti turistici canonici e assolutamente non segnalata. Per raggiungerla, occorre parcheggiare al belvedere di Capo Caccia e iniziare un percorso di trekking sulla sinistra, in salita, su strada sterrata e anche un po' accidentata, che in una ventina di minuti vi porterà a destinazione. Non esiste percorso segnalato, perciò dovrete procedere un po' a tentoni tra rocce e cespugli, sempre in salita, prima di trovarla. Ma lo sforzo sarà ampiamente ripagato dal panorama che vi si aprirà davanti agli occhi. Un panorama infinito.
La grotta di per sé, non presenta particolari attrattive; consiste in una apertura, neppure molto grande, sulla verticale del promontorio di Capo Caccia. Al suo interno solo terra e rocce. 
Mentre delle Grotte di Nettuno ci aveva colpito il mondo interno, geologico, della terra, qui ci colpisce l'esterno, il panorama, l'aria. Perché quello che la grotta incornicia, è la magnifica vista su tutto il parco di Porto Conte. Il panorama in realtà si vede anche durante il percorso, è abbastanza aperto, eppure solo una volta entrati nella grotta, ci regala quel tuffo al cuore che fa la differenza.
Così, a picco sul mare, nel rifugio all'ombra di questa grotta, con sotto il vuoto, con dentro la penombra. Ecco che la luce, i colori, l'aria di fuori ci ubriacano di vita. Il blu del mare, Il bianco delle scogliere, il verde della vegetazione che le ricopre, ci abbagliano ancora di più. Noi, che siamo accucciati su una roccia di questa piccola grotta, quanto mondo abbiamo davanti! Terre e mare. A disposizione. Quanta luce! Quanta libertà! Deve essere questa la sensazione che provano le aquile, quando volano. La bellezza e la perfezione. Poterne vedere l'insieme in un solo sguardo. La sensazione di poterle possedere. L'assenza del limite. L'aria e il respiro ampio. La libertà assoluta. L'anima di questo luogo.

Panorama dalla grotta dei Cocci Rotti.

E mentre siamo qui, con la sensazione di dominare tutto dall'alto, e al contempo di essere ben protetti nel cantuccio della nostra grotta, nulla sembrerà fuori posto. Abbiamo tutto. La protezione e la libertà. Ci sentiamo invincibili. Come un fiore, fiero, che nasce per caso sul bordo della scogliera. E ben protetto dalle forti radici sprofondate su questa roccia, può permettersi di godersi il mare, il vento, il vuoto stesso. E vive una vita di meraviglia, emozione e bellezza. Una vita vissuta in pieno.

Fiore sulla scogliera.

La grotta è un regalo all'anima. Riempie, appaga, commuove. Non perdetevi, almeno una volta nella vita, la possibilità di sedervi qui, in questa piccola grotta, e sentirvi completamente appagati di libertà. Di fronte a questo panorama senza confini.


domenica 21 maggio 2017

L'anima luminosa di Stintino in primavera


Sardegna, estremo lembo di terra nord - occidentale. E' qui che sorge il borgo di Stintino e la sua famosissima spiaggia: La Pelosa, affacciata sul golfo dell'Asinara, con l'omonima isola proprio di fronte. E' difficile parlare di questo luogo, perché ne hanno già parlato tutti. La Pelosa è una delle spiagge più conosciute e frequentate della Sardegna, reclamizzata ovunque, turisticamente sfruttata al massimo. Dei luoghi così, non è semplice individuare l'anima, perché spesso è assopita dal clamore delle persone che la frequentano, perché spesso è nascosta dalla realtà creata artificialmente per i turisti: alberghi, bar, lidi. Vi dico subito che d'estate, quando è difficile trovare anche solamente un posto per stendere il vostro asciugamano sulla sabbia, è impossibile sentire l'anima di questo luogo. Ci possiamo provare adesso, in primavera, ora che ancora non è presa d'assalto, ora che ancora molte delle strutture turistiche sono chiuse e la gente, sì, c'è, ma non è poi molta. Ora che la spiaggia dà il meglio di sé, incorniciata dalla fioritura primaverile che cresce sulle dune di sabbia alle sue spalle. 

La Pelosa, Stintino, panorama.
E' bella La Pelosa. Questo è innegabile. Arrivando, quello che  colpisce subito, d''impatto, è la tonalità  del mare, dal turchese all'azzurro. Un mare che richiama alla mente fantasie di mari tropicali. E poi il contesto in cui la spiaggia è immersa: davanti l'isola dell'Asinara, a sinistra l'isolotto su cui sorge la Torre Aragonese, dietro le dune di sabbia bianca, ricoperte di macchia mediterranea e fiori.
La monocromia dei colori freddi: il blu del mare e il verde della vegetazione, è allegramente interrotta da macchie di fucsia e di giallo. Regalo della primavera che ha diffuso la vita sulle dune, rendendole più affascinanti, così ricoperte di fiori fattisi strada tra la sabbia. Un dipinto perfetto.

Fioriture primaverili sulle dune.
Fioriture primaverili sulle dune.

Facendoci largo tra le dune, utilizzando delle passerelle in legno create per scendere alla spiaggia agevolmente e senza danneggiarle, ora concentriamo la nostra attenzione tutta sul mare. Non prima di aver notato quanto la sabbia bianca sia anche finissima e quanto sia piacevole camminarvi sopra a piedi nudi. Ed è qui, all'improvviso, che alla bellezza innegabile di questo luogo, si aggiunge anche la sua anima, che inizia a farsi sentire. Così, in una giornata di primavera, senza molta gente, mentre camminiamo lentamente sul lungo bagnasciuga de La Pelosa, proprio nell'istante in cui smettiamo di sentirci in un dépliant turistico ed entriamo in sintonia con il luogo. Con la realtà del luogo, spogliato di ogni aspettativa e stereotipo. Quel che resta è la natura generosa, protagonista. Il vento leggero di oggi che scompiglia lievemente il mare trasparentissimo. L'autoritaria solitudine dell'isola dell'Asinara, di fronte. Il mare e la sabbia, la sabbia e il mare, nel punto esatto dove si incontrano, costantemente, in un tempo senza fine. 

E' un'anima luminosa, quella de La Pelosa. C'è un chiarore diffuso ovunque, qui. La sabbia bianchissima, quasi abbagliante. Il mare cristallino, la cui trasparenza è certamente alimentata dal fondale basso e fatto sempre della stessa sabbia bianca dell'arenile. I riflessi di luce che si infrangono, giocando con il mare. E' tutto luce. I colori sono chiari, ma anche lo stesso luogo lo è: così assolutamente conoscibile. Si mostra tutto davanti a noi, rivelato. Un paesaggio aperto, definito, che si offre ampio alla vista. Essa spazia, libera, e abbraccia tutta la spiaggia, senza ostacoli.

Il mare della Pelosa.
Il mare della Pelosa.

L'invitante acqua del mare passa in secondo luogo. Qui, in primavera, non avrete solo voglia di tuffarvi e godervi l'allegria di un bel bagno, come d'estate, ma anche quella di sedervi a guardarlo, questo mare. Di riflettere. Di interiorizzarlo. E fare vostra un po' della sua luce, un po' di questo chiarore che vi fa stringere gli occhi e rilassare la mente. E' un luogo puro, questo. Pulito. Dominato dalla luce che tutto svela. Semplice, se vogliamo: una spiaggia di sabbia, dritta, un mare trasparente e poco profondo, la natura intorno. Semplicemente perfetto.

Spiaggia.

Regalatevelo, allora, questo viaggio. In aprile, in maggio, non oltre. Prima che la ressa estiva invada la meraviglia naturale di questo luogo, che ne soffochi l'anima, piegandola all'artificio di una stagione balneare fatta di creme solari e costumi alla moda. E, se potete, andateci proprio in primavera, quando i fiori adornano la spiaggia, quando i colori sono al massimo del loro splendore, quando la luminosità naturale di questo luogo è massimamente esaltata da un sole generoso, ma non ancora fastidioso. Quando sarà possibile correre sulla spiaggia, liberi, come bambini. Felicemente contagiati dal suo chiarore. Negli occhi. Nell'anima.



domenica 14 dicembre 2014

Cefalù da fuori Cefalù (parte seconda): la statale 113 e la Cefalù - Gibilmanna


Strade. Luoghi di transito. Luoghi di unione tra luoghi. Con una propria identità, che tuttavia non può che contenere - e completare - anche quella dei luoghi che attraversano.

E così, tanti anni fa, la Sicilia era per me, prima di tutto, la statale 113.
La prima che, in un mattino d'estate, dopo aver passato tutta la notte in treno, vedevo al risveglio correre veloce accanto alla ferrovia. Con il finestrino del treno abbassato (allora si poteva fare) il vento tagliava la faccia e portava miscelato l'odore di mare e di fiori. Sfilavano una dietro l'altra piccole baie ciottolose con qualche bagnante e qualche pescatore. Finché finalmente il profilo di Cefalù, sognato tutto l'inverno, si materializzava nella visione della rocca. La strada, parallela alla ferrovia, vi correva incontro.

Se siete a Cefalù e avete voglia di mare e di guidare, nulla è più consono ai vostri desideri della statale 113. Panoramica. Costiera come poche ne ho viste al mondo. Costruita proprio accanto al mare. Poco sopra il suo livello. Sfiora le cale più belle, gli scogli più solitari. E' baciata dal sole. Pare costruita appositamente per il piacere di guidare e per calmare lo spirito, lasciando tuffare i pensieri in quel mare blu così vicino, mentre a noi resta la serena sensazione di quanto sia meraviglioso lo spazio aperto che ci circonda. 

La rocca di Cefalù dalla statale 113

E la statale 113 è, naturalmente, anche Cefalù. Quando la rocca ci appare, da qui, tra cielo e mare. Ultimo lembo di terra dopo le montagne. Ultimo punto di contatto umano. 
Da questa prospettiva ci nasconde il paese, pare celarlo per tenerlo per sé o per farci una gradita sorpresa quando saremo finalmente arrivati. E pare piccola piccola, persa tra nuvole e spighe di grano, eppure dalla forma sempre riconoscibilissima. Un punto fermo, indiscutibile. Meta d'arrivo e di partenza. 

Da qui si vedono i più bei tramonti colorare il cielo di giallo e d'arancio. Il mare gigante accogliere il sole. Il contorno della rocca circondato da riflessi di luce.

Tramonto su Cefalù dalla statale 113

Altre sere a predominare è una nebbiolina rosa avvolgente. Pare nasconda le cose e invece le svela di più. Parla direttamente con l'anima, con l'immaginato. Tocca corde di percezione segrete. Rasserena. E commuove.
Tutto pare immobile, finché poi, improvvisa, la luce del faro di Cefalù si accende e il bagliore intermittente, ancora appena percepibile, indica la via. Man mano che cala la notte, poi, diventerà squarcio nel cielo nero, a indicare la vita.

Tramonto su Cefalù dalla statale 113

Qual è, dunque, da qui, l'anima di Cefalù? 
E' un'anima selvaggia, naturale. Un'anima dai colori decisi. Dallo spazio aperto. Ampissimo.
No, da qui non si vede il paese, eppure Cefalù è più presente che mai. In quella sagoma che a seconda dei giorni, del tempo, può essere ben definita o dai contorni sfumati, c'è tutta la promessa di un punto fisso, fermo nel tempo e nello spazio. Come il faro guida i naviganti per mare, così la rocca ci guida verso il paese. Promette, e mantiene, che quell'ultimo lembo di terra ha qualcosa di unico che si ripete nel tempo, e che non cambia mai per cambiare sempre.


Ma c'è un'altra strada irrinunciabile. Un'altra passeggiata doverosa per scoprire Cefalù da una prospettiva ancora diversa, e che personalmente ha accompagnato molto del mio cammino. La cosiddetta Cefalù - Gibilmanna, la strada che sale sulle Madonie e congiunge il paese al Santuario di Gibilmanna.
Tutta tornanti, si arrampica lasciando il paese sotto di noi.

Il paese visto dalla Cefalù - Gibilmanna

Da qui Cefalù appare com'è: p
rotetta tra le sue alture e tutta tuffata nel blu. Col suo abitato e la rocca. E il mare che si indovina dal colore. Il blu cambia a seconda delle correnti e dei venti. Il bianco indica mareggiata e gli increspamenti i giorni di maestrale. Quando c'è scirocco una patina pare avvolgere tutte le cose come un velo trasparente ma ostinato, che si posa ovunque e impedisce ai colori di brillare a dovere.
Qui si vede tutta Cefalù, eppure si è in un mondo a parte, ovattato, lontano dal chiasso della vita paesana, dall'allegria dei bagnanti d'estate. Guardiamo Cefalù con necessario distacco, lo immaginiamo e lo facciamo più nostro di quello che è. Lo desideriamo, forse, ma non lo viviamo che con superbo e incantato distacco.

Cefalù, vista dalle Madonie

Una luce generosa - quella del tardo pomeriggio - posa un rosa romantico sulla rocca e sulle case del centro storico. Accentua il verde delle Madonie. Sfuma il mare e lo rende di un delicato colore pastello.
Per un attimo non si desidera altro che questo panorama. Sospeso. 
Poi il cuore riprende a battere. Il desiderio di vita a scorrere. E la strada Cefalù - Gibilmanna, con la sua anima elitaria, ma generosa, ci riporta in paese.




domenica 4 maggio 2014

Bianco assoluto alla Scala dei Turchi


Oggi vi porto ancora una volta in Sicilia. Per la precisione a Realmonte, un piccolo paese vicino Porto Empedocle, in provincia di Agrigento. E' qui che si nasconde un gioiello della natura. Uno di quei luoghi che non hanno bisogno di esser di passaggio, sotto gli occhi di tutti, per far parlare di sè. Si tratta di una scogliera dal nome imponente: Scala dei Turchi. 
E' la parte finale della spiaggia di sabbia di Realmonte. Superati i lidi e la confusione, camminando per tutta la spiaggia tenendo il mare alla propria sinistra, alla fine noterete la sabbia terminare in un promontorio di roccia bianca che chiude la spiaggia. Questa è la Scala dei Turchi. Il termine del cammino, se non si conosce il territorio, se non si ha voglia di esplorare. Se ci si accontenta. Perché quello che si vede dalla spiaggia non è che la punta dell'iceberg della meraviglia di questo luogo. 
Avvicinandovi noterete che la roccia è fatta a gradoni levigati che permettono facilmente di arrampicarsi anche a piedi nudi. Il nome "Scala" dipende proprio da questo: la roccia di marna calcarea è stata levigata dalla pioggia, dal vento, dalle onde e, nei secoli, ha assunto la forma di gradoni come se fosse una vera e propria scala. 
La natura è sempre il migliore architetto. 
Dicevo, dunque, che è possibile salire anche per chi non è poi così abituato e sportivo. E, una volta arrivati alla sommità o semplicemente girato attorno alla punta, il panorama si apre sorprendentemente. 



Il promontorio si estende ancora per alcuni chilometri e si trasforma in una vera e propria scogliera a picco su un mare cristallino, distribuito tra piccole baie sabbiose ai piedi della roccia.
Tutto un altro panorama rispetto alla semplice spiaggia di sabbia che ci siamo lasciati alle spalle. La Scala non è il limite, ma l'inizio di un tratto di costa unico, intimo, inaspettato, protetto dai grandi gradoni bianchi. Qui l'atmosfera è tutta diversa. Tira il vento e il sole picchia riflesso sulla roccia bianchissima. La luce è accecante e il contrasto tra il bianco assoluto e il blu del mare è il protagonista indiscusso che accompagna la nostra meraviglia. 

Paragonatela a neve. Paragonatela a panna montata. O solo a una nuvola di cielo riproposta sulla Terra dalla natura generosa. Quel che è certo è che questo è uno dei più bei tratti di costa della Sicilia meridionale. 
Famoso e allo stesso tempo rimasto intimo e incontaminato. Protetto, forse, dall'illusione che la spiaggia termini dall'altra parte o dalla pigrizia di chi ama la comodità della sabbia.

Che a guardar bene, poi, anche qui c'è la possibilità di scendere a mare in una delle tante piccole calette sabbiose che si formano tra la roccia. E qualcuno ne approfitta, godendosi il mare più solitario in uno scenario unico che ben vale, a mio avviso, la camminata.


Un tempo questo era il luogo prediletto dai pirati, di qui la spiegazione della seconda parte del nome "Scala dei Turchi". Essi approdavano riparati dalla scogliera, senza essere visti, e da qui facilmente si arrampicavano per fare razzie nelle campagne circostanti. E' buffo oggi, di fronte a tanta bellezza, pensare che questo sia stato anche luogo di violenza. Approdo di pirati. Sarà perché il bianco della roccia è talmente intenso che anche l'anima del luogo ne appare contaminata. 
Un'anima bianca, pura, assoluta. E bellissima. 


Tra i gradoni di roccia morbida sedetevi a guardare la linea dell'orizzonte. Provate, per una volta, la stessa sensazione che provano i gabbiani sulle scogliere. Una sensazione di ampio, di libertà, di vento.
E non abbiate paura di sentirvi piccoli di fronte alla perfezione della natura.
E' proprio questo il bello!


venerdì 27 dicembre 2013

Inverno a Cefalù


L'inverno è la stagione in cui preferisco Cefalù. 
Può darsi sia per il fascino del proibito. Frammenti di tempo rubati alla vita quotidiana. Scappare a Cefalù senza la legittimazione della vacanza. Lontano dal caldo dell'estate, dal prolungamento delle vacanze a settembre, dell'anticipo delle vacanze a maggio.
No, in inverno c'è solo la voglia. E il bisogno.
Un irrefrenabile bisogno di mare e di luce, proprio quando ce n'è maggiore carenza. Proprio mentre tutti gli altri sono in città e nessuno più pensa all'estate passata né ancora a quella futura. 
E' proprio in questo momento che, stare qui, diventa privilegio.

Cammino. Nel primo pomeriggio, quando il sole pallido di gennaio si fa rasente al mare e il vento tira più forte. Il lungomare senza gli stabilimenti è bellissimo. E' un regalo che mi concedo fuori stagione. L'odore del mare lo accompagna.
La spiaggia ha dune di sabbia intatte, modellate dal vento.
Il mare è mosso. Si formano pozze d'acqua lungo la battigia.  

 








Ci si riflette il profilo del Duomo. 
Un dipinto di acqua e di luce.
Accennato da pennellate blu e gialle. 
I colori densi e l'aria, invece, leggera.

Il mare d'inverno attrae inesorabilmente. Dimentico l'interno del paese e mi concentro tutta sul mare, sulla luce, sui colori. Su quello che mi è così tanto mancato nei mesi precedenti e di cui ora faccio il pieno. Spremo il giorno. Non voglio perderne neanche un minuto.
E poi, piano piano, nel tardo pomeriggio, sale una nebbiolina rosata. Il profilo del paese si dissolve, avvolto in una coltre di sogno.

Non è indifferente a questo paesaggio nemmeno Steno Vazzana che, in "Cefalù fuori le mura", ed. Dell'Arnia, Roma, 1982, scrive:
"Anche il cielo coperto e le mareggiate invernali filtrano e rifrangono la luce d'occidente, sempre ugualmente opportuna alla bellezza del paesaggio, sia che si illanguidisca nelle gradazioni di grigio, sia che si accenda di appassionanti riflessi violacei".
Sono proprio questi tramonti, che in inverno sorprendono il visitatore. Siano essi, appunto, quelli dai riflessi violacei, quando la nebbiolina rosa si posa sopra l'abitato e sfuma le onde del mare rendendole color magenta, fino a che il paese non sembri scomparire e riapparire come una visione, sospeso tra cielo e mare...       

                                                                         

 ... O siano quelli, a mio avviso ancora più sorprendenti, delle giornate di pioggia. Quando all'improvviso, nel grigio del cielo, si aprono squarci di bianco e blu, e dalle nubi filtra una luce dorata intensissima, che si posa soltanto sul paese, e il mare riflette il colore blu elettrico del cielo. Tramonti come questi, non possono essere accompagnati da sufficienti parole.
Sono pura perfezione.
Penso che il senso della vita sia racchiuso in questi momenti. Seduta su una panchina del lungomare, a gennaio, a godere del meraviglioso spettacolo della natura. A innamorarsi di questa luce. E sentire struggere il cuore, per tale perfezione. Così meravigliosa da essere insostenibile. Con il paese tinto da tale luce dorata, quasi divina, e il blu tutt'attorno.



Spettacoli così, si possono godere solo in inverno.
Cefalù, in questa stagione, vuol dire ampi spazi, libertà, l'anima libera di andare. La tua. Che si unisce a quella del luogo, per urlare insieme al mare in tempesta. Sì, in inverno l'anima di Cefalù è nella sua pienezza. E' ovunque. Prepotente. Assoluta. Percepibile con tutti e cinque i sensi: nell'odore avvolgente del mare, nei colori freddi invernali, eppure coinvolgenti, nel rumore del mare in tempesta che arriva fin nei vicoli più interni del paese, nel sapore di salsedine che ti resta sulle labbra dopo una passeggiata a lungomare, nella sabbia fredda sotto i piedi.

Il cielo è immenso (o forse qui si riesce a guardare il cielo). 







Gli alberi spogli del lungomare incorniciano il paese con i loro rami secchi.


 
Cosa volere di più?

Dal mio libro "Il tempo della casa del pino", ecco una descrizione delle sensazioni che suscita  una sera d'inverno, a Cefalù:
"Prima di andare a casa, nonostante faccia freddo, restiamo seduti cinque minuti su una panchina. Salvo si fuma la sua sigaretta, io guardo ancora il mare. Non c'è più luce ma non è ancora buio. E' un momento magico: tornate le barche a riva, ritirate le rosse reti dei pescatori, è il momento di salutare il giorno e di fermarsi a riposare. Pian piano scivoliamo verso la bellezza della sera. Il pensiero si dilata e si fa più profondo. Tutto diventa pacato, gli uomini si fanno delicate presenze e la natura riprende il sopravvento. 
Siamo anime silenziose di fronte al cielo blu e alle prime luci accese delle case del paese; ci sembra di aver vissuto altre mille volte questi momenti.
Sono immagini della memoria, evocative di quelle sere che ci portiamo dentro, o forse della "sera" della nostra stessa vita, quando, smessa la fatica del giorno, prima della notte, è il momento in cui si riesce a sentire il respiro della terra.
Passato l'attimo, l'attimo che separa il giorno dalla notte, è come se il tempo riprendesse a scorrere e noi a vivere. Ci incamminiamo alla luce dei lampioni che proiettano le nostre ombre sull'asfalto".

Cos'è, dunque, l'inverno, se non riposo, pensiero, sospensione?
Ed è incantevole, questo inverno, qui.
Serbatelo dunque nel cuore, riposatevi ammirandolo, ma siate pronti a ricominciare a sorprendervi.
Presto sarà di nuovo primavera...



domenica 15 dicembre 2013

Autunno a Cefalù



Autunno. 
Cefalù si fa più umida e silenziosa. Più vera.
Se ne sono andati il clamore di agosto, i colori accesi, lo stordimento dei sensi. Settembre porta calma nell'animo, ragionamento. Porta le prime piogge, il vento fresco, e una luce che è meno generosa, meno sfrontata di quella estiva, ma più preziosa ed elegante. La stiamo a guardare, questa luce ancora calda, la godiamo di più perché sta cambiando e sappiamo che presto verrà l'inverno.
In questa stagione l'anima di Cefalù, un'anima di mare e di luce, torna in tutto il suo splendore, non più soffocata dalla calura estiva, non più mormorata tra gli schiamazzi dei bagnanti.
Il tempo si spezza, le giornate sono più corte, le mareggiare più frequenti. Il vento porta nuvole imponenti, a ricamare il cielo sopra il paese.
E, all'improvviso, piove. Una pioggia tanto evocata per dar tregua al caldo di agosto. Una pioggia sollievo per la natura e per l'uomo. E questa prima pioggia lava via la frenesia estiva. Ci si rilassa. Ci si siede ad aspettare. Perché passa. Passa in breve, a dire la verità. Ma ti modifica dentro. Non hai più voglia di tuffi, di sole, di momenti leggeri e scanzonati, di uscire e uscire ancora. Hai voglia proprio di quello che c'è in questo momento: pace, serenità.

E luce. Una luce quasi irreale. Pulita.
Che monda la sabbia, disegna meglio i contorni delle case, illumina il cielo. Fa sembrare tutto più ampio.
Una luce essenziale, che nell'essenzialità fa vedere meglio le cose. E illumina l'orizzonte sgombro, non più tremolante sotto la calura estiva, permettendo di spaziare con lo sguardo fino a Capo Gallo, fino alle Eolie, nei giorni migliori.

E, questa stessa luce, se rimaniamo a guardarla, si trasforma in un tramonto che tinge il cielo di colori pastello dal giallo all'arancio, al rosso al lilla, al viola, al blu e al grigio. Un dipinto riflesso nel mare su cui ondeggiano, placide, le ultime barche dei villeggianti.
Delle "interminabili e sontuose agonie dei tramonti autunnali", ci parla anche Angelo Culotta in "Il paese di dentro": 
"Sfoggiavano la loro impareggiabile maestria pittorica, usando una tavolozza di raffinate tinte, stese a piene mani sulla fascia di mare fino all'orizzonte, sul cielo denso di nuvole barocche, sulla massa imponente della rocca e sul chiaro-scuro dell'abitato sottostante" (p.21).



Comunque non sono rare, in autunno, anche le giornate prettamente calde e soleggiate. Dopotutto siamo in Sicilia e qui l'autunno è generoso. C'è chi fa il bagno fino a novembre, anche se l'acqua è ormai fresca, per un "arrivederci" al mare tra schiuma, vento e il corpo, leggero, abbandonato all'acqua ancora una volta. C'è chi passeggia sul lungomare sbracciato, con i piedi nella sabbia ancora calda.
Ma non è lo stesso mare e non è lo stesso caldo. Tutto è ritemprato dall'autunno. Dal ragionamento.
Appena ci si affaccia sul lungomare, uscendo dal paese, la luce autunnale ci investe e il vento ci accoglie. E ci si sente sereni e appagati, niente ci spaventa. 
Si respira con le narici aperte, a pieni polmoni, i battiti del cuore rallentano e si vorrebbe che questa sensazione di equilibrio tra corpo e anima, questo benessere, durasse per sempre. Che fosse sempre autunno. Perché l'autunno in Sicilia è sul serio un capolavoro di equilibrio. Con l'aria fresca ma non fredda, con la pioggia forte ma non duratura, con il sole caldo ma non bollente, con il vento intenso ma non fastidioso, con il mare agitato ma non in burrasca, con la luce accesa ma non abbagliante.

Ed è tempo di capùna (in italiano: caponi).
Quando questo pesce si inizia ad avvistare nel mare di Cefalù, è segno dell'arrivo dell'autunno. Infatti i pesci, di forma allungata, dalla livrea grigia con riflessi blu e il ventre giallo, in questa stagione si avvicinano alle coste per la deposizione delle uova.
Ecco allora apparire le rosse reti dei pescatori che preparano alla marina le barche per la pesca. I caponi si vanno a rifugiare sotto i sugheri di cui viene cosparsa l'acqua e rimangono intrappolati nelle reti, assecondando l'antica tecnica di pesca che si chiama "caluoma". Successivamente, per i vicoli si sentirà "vanniare" i pescivendoli, vantando la freschezza del pesce per richiamare le massaie e incoraggiarle all'acquisto. 
Ma oltre alla pesca, non possiamo dimenticare che l'autunno è tempo di vino novello e olive da cogliere per fare l'olio nuovo o da mangiare schiacciate o da conservare in salamoia. Ed è tempo di mosto in cui intingere gli sfinci (dolci fritti in olio e cosparsi di zucchero).

Anche il cielo serale, in autunno diviene più cristallino. Le nuvole squarciano il blu elettrico del cielo, rendendolo meno finto, meno invitante alla notte, ma più intimo e sincero.
Dell'estate restano soltanto le cose vere: quello che inizia in estate e continua a settembre ha il sapore delle cose che dovevano essere temporenee e diventano definitive, che resistono passato l'abbaglio della luce estiva. La vacanza diventa ricordo. Cefalù resta.

Camminate, in autunno. Ritrovate la pace di Cefalù, respiratene l'anima a pieni polmoni: il suo mare che diventa pescoso, ampio, la pulizia del suo cielo, la luce scomposta in così tanti colori.
Respirate la verità delle cose.
Presto sarà inverno...