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venerdì 12 ottobre 2018

Nel cuore delle Madonie: la fruibilità di Piano Zucchi


Nell'entroterra siciliano, nel comune di Isnello, a mille metri sul livello del mare e a 35 km da Cefalù, abita un luogo incantevole, vestito di prati e di faggi, pini, querce, abeti, sambuchi e lecci. Siamo a Piano Zucchi, cuore vivo del Parco delle Madonie. Un pianoro circondato dalle montagne, a cui si arriva dopo che la strada si inerpica con tornanti sempre più incalzanti, tra boschi e odori di resine e muschi e umido fresco. Un mondo intimo, vero, in cui ci si addentra quasi magicamente, abbandonati il clamore costiero, l'afa, il brusio dei bagnanti di una domenica di fine estate. Ogni curva di questa strada, è un metro in più dentro la verità delle montagne. Il refrigerio di un'aria genuina, respirabile, segna il passaggio tra i due mondi. E la luce. Lasciata alla costa quella accecante, fatta di raggi riflessi e moltiplicati dal mare, qui la luce è tutta diversa. Divisa dal bosco che la assorbe per primo e ce la restituisce, parsimonioso e saggio, in morbidi raggi  che lo attraversano. Una luce filtrata dagli alberi, rilassata, arresa all'ombra refrigerante dei boschi. 
E così, continuando a salire, il panorama muta e da collinare si fa sempre più montano e netto. Con il carattere preciso e un po' duro delle montagne. Non è raro trovare animali che pascolano ai bordi della strada: mucche, cavalli, pecore. Boschi e roccia. Aria pura e profumata di natura. Un crescendo, fino ad arrivare al Piano, tregua dopo tanto salire. Pausa per la nostra anima e riposo per il guidatore. Luogo dentro il luogo, fatto appositamente da Madre Natura per permetterci di sostare e, nell'attesa di ripartire, interiorizzare la maestosità di queste montagne. Viverle.

Piano Zucchi.

La piccola piana è accogliente. Fruibile. Protetta dalle montagne circostanti come uno scrigno che racchiude prezioso tesoro. Noi vi siamo dentro. 
C’è un bel prato erboso a fine estate, qui. E’ esattamente il prato dove correre felici della nostra infanzia. Rimanda immediatamente l’immaginario alle giornate spensierate, senza fine, alle corse con il vento tra i capelli e una risata genuina nata su bocca sincera. In altri tempi e in altri luoghi. Non importa più. L’entusiamo ci invade anche adesso. Per questo spazio tutto nostro. Libero. Ampio, ma limitato. Fatto a nostra misura da natura generosa. Creatore di fantasie d’infanzia e di adulto benessere. Quanta perfezione in un prato erboso, circondato dal bosco! Essere qui è farne parte. Del prato, delle Madonie, della natura tutta. L’armonia che sentiamo crescere dentro è la sua. Ci invade, ci rasserena, ci corteggia. Invita alla pace. Ma non certo alla staticità. Ed è così, con il cuore tranquillo e un entusiasmo sincero, che esploriamo questo luogo incantevole. Il sottobosco intorno alla piana è curato. Giochiamo tra i tronchi degli alberi, allegri, osserviamo il prato da lì, spettatori di una magia che già accade nella nostra mente. Ritrovo di lupi, di fate o di streghe. Questo prato. Teatro di favole antiche; la radura tra il bosco è piazza di creature magiche, di segreti e incantesimi. Rivivono ora, esattamente mentre le immaginiamo. Animano il bel prato di Piano Zucchi, che diventa in un attimo, e per un solo lunghissimo momento, quello di antiche leggende ammalianti. 

Funghi sul prato della piana.
Non è più propriamente estate, qui. In montagna. Ma non è ancora autunno, secondo il tempo astronomico.
Il passaggio tra le due stagioni è evidente sotto i nostri occhi. Calpestiamo una terra dove le prime piogge sono state ostetriche di funghi di ogni tipo, che tingono l’ambiente dei colori d’autunno. Arancione, rosso, marrone. Creature spugnose, spuntate orgogliosamente tra l’erba verde e le foglie già secche. In una eterna lotta tra la vita e la morte. In una composizione perfetta, creata dalla natura. Con foglie e ricami di terra soltanto.
Orchidea selvatica.
E poi un’orchidea selvatica, improvvisa, attaccata tenacemente all’estate. Che ricorda, con delicata e spontanea bellezza, che invece in autunno ancora non siamo. Accanto, una pianta invidiosa vorrebbe imitarne la forma, ma non ha grazia e colore.
Ci emoziona la scoperta, metro dopo metro, di così tanta vita nel terreno. La terra fertile ci regala i suoi prodotti. Con stupore fanciullesco e animo lieve li scoviamo tra foglie e fili d'erba. Sono i fiori delicati di una favola bella. Sono i funghi attraenti e traditori: case di gnomi, cerchi di streghe, veleno e magia di un bruco che fuma.

Funghi.
Funghi.

L’anima di questo luogo è la genuinità di un prato di montagna, di una semplice perfetta bellezza. E' la tranquillità di un luogo fuori dal mondo che corre e dal tempo comune. Dove il passaggio delle stagioni non è così scontato e doloroso; dove sembra possibile vivere per sempre. La sua anima è protezione, intimità, benessere. Familiarità. E’ anima fatta di prato, di aria, di leggerezza, del profilo delle montagne che lo racchiudono. Di odori di natura purissima, di un ruscello che scorre lontano. Di chiaroscuri di luce, disegnati sul prato da rami di alberi mossi dal vento. Della fruibilità di un luogo, umanamente accessibile, vivibile nel pieno dei sensi. Di storie inventate o reali, racconti su prato verdissimo.

Nebbia a Piano Zucchi.


Ad un certo punto del giorno, sale la nebbia, qui. Improvvisa e leggera, copre gli abeti come scialle di seta. Nasconde, la nebbia. Eppure rivela. Permette di concentrarci solo su quello che è vicino a noi. Non esiste più lo spazio circostante. Solo noi e la sagoma, essenziale, delle cose che ci sono più prossime. Ci permette di conoscerne la forma pura, mondata dai colori, dalle proporzioni. Di conoscere meglio noi stessi. Tutto il resto non esiste più. Se lo pensiamo, lo possiamo inventare come vogliamo. Permette di inventarci il mondo, la nebbia. Apre alle possibilità. 
Affascinante ed elegante, così come viene, altrettanto velocemente poi si dipana. E ci lascia  al respiro del mondo reale, che ora guardiamo con occhi nuovi.


E anche quando, qui, a Piano Zucchi, vi coglierà un temporale improvviso, estivo, non avrete alcun timore né fretta. Al riparo dentro la macchina, l’anima si distende totalmente, ascolta la pioggia, sottile tra gli abeti, e la magia diventa privilegio che si rivela a noi soltanto. Noi che questo luogo lo viviamo anche con la pioggia, quando sono andate via anche le guardie forestali più fedeli. Ora è totalmente nostro, con tutti i suoi segreti di bosco. Rivelato. Nostro rifugio per l’anima. Rimarrà qualcosa di noi qui, in eterno…




domenica 12 febbraio 2017

L'energia della Rocca di Cefalù

L'abitato di Cefalù, con la rocca che lo sormonta.

Torno a parlarvi, ancora una volta, di Cefalù: la splendida cittadina normanna, in provincia di Palermo, che ha catturato per sempre il mio cuore. Questa volta vorrei concentrare l'attenzione sulla Rocca che la sovrasta e da sempre ne è, indiscutibilmente, uno dei luoghi simbolo. Impensabile sarebbe immaginare Cefalù senza la sua Rocca, inscindibile dall'abitato che vi si stende ai suoi piedi: sono un tutt'uno, il paese e questo gigante di roccia che lo rende riconoscibile a distanza. Unico, infatti, è il profilo di Cefalù, che già al primo sguardo si distingue da tutti gli altri paesi, proprio per questa meraviglia della natura adagiata alle sue spalle. E' la prima cosa che appare da qualsiasi parte vi si giunga. Imponente e caratteristica, la Rocca è sempre presente, indissolubilmente legata alla cittadina. I cefaludesi sono soliti paragonare il loro paese alla forma di una lumaca: osservandolo da lontano, in effetti, le case ricordano il corpo dell'animale, la cattedrale le antennine e la Rocca il guscio. E proprio come un vero guscio, la Rocca offriva, nel passato delle invasioni, riparo al paese, e ancora oggi, fosse anche soltanto psicologicamente, protezione. Imprescindibile gigante di pietra, veglia sulle case e sugli abitanti come un custode, fedele nei secoli, e testimone della vita che scorre al di sotto di sé. Conferisce a Cefalù, oltre un aspetto unico e riconoscibile, anche un'idea di solidità, di forza e di autorevolezza. 
Ma bando alle ciance: saliamo! Oggi voglio condurvi fino alla sua cima, a 268 metri di altezza.
La salita inizia oltrepassato corso Ruggero, oltre il dedalo di viuzze con le case più antiche, costruite proprio ai piedi della Rocca. Qui inizia il percorso, a tratti abbastanza impegnativo, che però vale assolutamente la pena di affrontare. Il primo tratto è occupato da un sentiero a zig zag che sale all'ombra di una pineta, fino ad arrivare al cancello d'accesso vero e proprio. Qui inizia un percorso leggermente più faticoso, ma che abbastanza brevemente vi condurrà all'area archeologica e, soprattutto, alle mura di fortificazioni della Rocca. E' da qui che si gode uno dei panorami più belli in assoluto di Cefalù. Oltre i merli, il precipizio. Oltre il precipizio, lo spettacolo: la vista spazia sulla spiaggia, i promontori e la costa. L'anima esulta. E se ci affacciamo, tra gli spazi vuoti che lasciano i merli, ecco comparire, tutto sotto di noi, anche il paese.


Panorama dalla Rocca di Cefalù.
Il Duomo di Cefalù e l'abitato, visti dalla Rocca, in inverno.

Il Duomo imponente. Solido e dominatore. L'abitato del centro storico, fatto di casette da tetti di tegole, una addossata all'altra. Tutto il paese proteso verso il suo mare. Di un blu profondo. E noi, dall'alto, spettatori di questa meraviglia.
Questo panorama è destinato a cambiare con le stagioni. L'inverno è sicuramente il periodo per trovare la migliore condizione di luce sull'abitato. Risaltano i colori del paese, illuminato dalla luce fredda tipica di questo periodo dell'anno, che regala una precisione di dettagli alla visione. Il blu del mare a contrasto con l'arancio dei tetti è al massimo della sua potenzialità. In estate risulterà più sbiadito, non per questo meno suggestivo, ma diverso, ecco tutto. La luce calda dell'estate, tutta dall'altra parte, valorizza maggiormente le costruzioni fortificate della Rocca stessa. Il paese risulterà leggermente evanescente, quasi un tutt'uno col suo mare, in un'atmosfera rarefatta e incantata. Meno definito, meno preciso del panorama invernale. Forse proprio per questo maggiormente tendente all'incanto e meno alla rigorosa bellezza. Se potete, regalatevi questa vista in entrambe le stagioni. Solo così ne avrete una coscienza completa.

Passaggio tra le mura fortificate.
Panorama estivo dalla Rocca di Cefalù, tra i merli.


Continuando a salire verso la sommità della Rocca, il percorso si fa più duro, non  adatto a tutti, non esattamente agevole. Si sale in un sentiero a zig zag ora impervio, fatto di terra e di pietre, quasi tutto esposto al sole, lungo e in pendenza. Consola l'altitudine: sentirsi sempre più alti, sempre più vicini alla conquista della meta. E il profumo di mare e di pini. E i gabbiani a cui siamo più vicini nel volo. E le aquile che sfruttano le correnti ascensionali delle Madonie. E la sensazione di allontanarsi sempre di più dalla civiltà e nello stesso tempo di dominarla, dall'alto. Arrivano ancora i suoni del paese, qui. Il treno che si ferma in stazione, gli schiamazzi dei bagnanti in spiaggia, le voci. Quella del mare su tutte. Eppure siamo già fuori da tutto questo. Qui su, dove non ci vede nessuno e noi vediamo tutti. 
E una strana energia, che pare provenire dalla roccia stessa della Rocca, ci spinge ad andare avanti. Frena la stanchezza, sprona a riprendere il cammino, a vincere la sfida. Ci sentiamo carichi, euforici, ricchi della consapevolezza dell'esperienza che stiamo vivendo. E' questa, la vera anima della Rocca. L'energia che emana. Sarà dovuta dalla posizione geografica strategica che occupa: a chiudere le Madonie, circondata dal mare. Sarà che effettivamente da qui si domina tutto il paese. Sarà che da sempre ha protetto i suoi abitanti dagli invasori. Sarà l'alone misterioso e mistico che la circonda. Sarà come sarà, con questa energia arriviamo in cima, ricaricati. Qui troviamo i resti di una castello medievale: "U Castieddu"Il panorama amplissimo e il senso di conquista ci accompagnano.

                                    U castieddu. Rocca di Cefalù.
 
E dopo aver sostato abbastanza da fare nostro il luogo e la sua anima, si inizia la discesa. Percorso opposto, affrontato con anima appagata e la voglia, ora, di tornare a far parte della vita degli abitanti che la Rocca spia e protegge dall'alto. Perché la sentiamo un po' come una madre, che veglia su di noi, la Rocca: è sempre alle nostre spalle, ma guarda e ci lascia fare. Testimone silenziosa di amori, di segreti, di liti, di nascite, di morti e di vita. Tutto avviene sotto la sua ombra protettrice. Laggiù in paese. E i paesani la amano, la loro Rocca. Non a caso è legata a moltissime manifestazioni tradizionali. Come non ricordare la grande croce di metallo posta proprio alla prime fortificazioni di cinta, che viene illuminata durante i festeggiamenti del patrono San Salvatore? Come dimenticare la suggestiva illuminazione dei merli della Rocca il 31 dicembre, in occasione della Vecchia Strina? Una sorta di Befana che secondo la tradizione vive sulla Rocca e scende in paese l'ultimo dell'anno a portare caramelle ai bambini.

E mi piace lasciarvi così, con il massimo della suggestione: quando scende la sera e noi siamo ancora sulla Rocca.
Eccola. Se guardate bene c'è sempre una luce che si accende prima di tutte le altre, in qualche casa. E poi, magicamente, iniziano ad illuminiarsi tutte quante. E viene accesa la Cattedrale. Si illumina piazza Duomo, si illuminano le strade. Da qui le viuzze che si intersecano diventano percorsi di luce. Ci si prepara alla sera. E il mare diventa scuro e profondo. Ampia la costa. Possibile sognare. Finalmente...
Arrivederci cara Cefalù.






domenica 14 dicembre 2014

Cefalù da fuori Cefalù (parte seconda): la statale 113 e la Cefalù - Gibilmanna


Strade. Luoghi di transito. Luoghi di unione tra luoghi. Con una propria identità, che tuttavia non può che contenere - e completare - anche quella dei luoghi che attraversano.

E così, tanti anni fa, la Sicilia era per me, prima di tutto, la statale 113.
La prima che, in un mattino d'estate, dopo aver passato tutta la notte in treno, vedevo al risveglio correre veloce accanto alla ferrovia. Con il finestrino del treno abbassato (allora si poteva fare) il vento tagliava la faccia e portava miscelato l'odore di mare e di fiori. Sfilavano una dietro l'altra piccole baie ciottolose con qualche bagnante e qualche pescatore. Finché finalmente il profilo di Cefalù, sognato tutto l'inverno, si materializzava nella visione della rocca. La strada, parallela alla ferrovia, vi correva incontro.

Se siete a Cefalù e avete voglia di mare e di guidare, nulla è più consono ai vostri desideri della statale 113. Panoramica. Costiera come poche ne ho viste al mondo. Costruita proprio accanto al mare. Poco sopra il suo livello. Sfiora le cale più belle, gli scogli più solitari. E' baciata dal sole. Pare costruita appositamente per il piacere di guidare e per calmare lo spirito, lasciando tuffare i pensieri in quel mare blu così vicino, mentre a noi resta la serena sensazione di quanto sia meraviglioso lo spazio aperto che ci circonda. 

La rocca di Cefalù dalla statale 113

E la statale 113 è, naturalmente, anche Cefalù. Quando la rocca ci appare, da qui, tra cielo e mare. Ultimo lembo di terra dopo le montagne. Ultimo punto di contatto umano. 
Da questa prospettiva ci nasconde il paese, pare celarlo per tenerlo per sé o per farci una gradita sorpresa quando saremo finalmente arrivati. E pare piccola piccola, persa tra nuvole e spighe di grano, eppure dalla forma sempre riconoscibilissima. Un punto fermo, indiscutibile. Meta d'arrivo e di partenza. 

Da qui si vedono i più bei tramonti colorare il cielo di giallo e d'arancio. Il mare gigante accogliere il sole. Il contorno della rocca circondato da riflessi di luce.

Tramonto su Cefalù dalla statale 113

Altre sere a predominare è una nebbiolina rosa avvolgente. Pare nasconda le cose e invece le svela di più. Parla direttamente con l'anima, con l'immaginato. Tocca corde di percezione segrete. Rasserena. E commuove.
Tutto pare immobile, finché poi, improvvisa, la luce del faro di Cefalù si accende e il bagliore intermittente, ancora appena percepibile, indica la via. Man mano che cala la notte, poi, diventerà squarcio nel cielo nero, a indicare la vita.

Tramonto su Cefalù dalla statale 113

Qual è, dunque, da qui, l'anima di Cefalù? 
E' un'anima selvaggia, naturale. Un'anima dai colori decisi. Dallo spazio aperto. Ampissimo.
No, da qui non si vede il paese, eppure Cefalù è più presente che mai. In quella sagoma che a seconda dei giorni, del tempo, può essere ben definita o dai contorni sfumati, c'è tutta la promessa di un punto fisso, fermo nel tempo e nello spazio. Come il faro guida i naviganti per mare, così la rocca ci guida verso il paese. Promette, e mantiene, che quell'ultimo lembo di terra ha qualcosa di unico che si ripete nel tempo, e che non cambia mai per cambiare sempre.


Ma c'è un'altra strada irrinunciabile. Un'altra passeggiata doverosa per scoprire Cefalù da una prospettiva ancora diversa, e che personalmente ha accompagnato molto del mio cammino. La cosiddetta Cefalù - Gibilmanna, la strada che sale sulle Madonie e congiunge il paese al Santuario di Gibilmanna.
Tutta tornanti, si arrampica lasciando il paese sotto di noi.

Il paese visto dalla Cefalù - Gibilmanna

Da qui Cefalù appare com'è: p
rotetta tra le sue alture e tutta tuffata nel blu. Col suo abitato e la rocca. E il mare che si indovina dal colore. Il blu cambia a seconda delle correnti e dei venti. Il bianco indica mareggiata e gli increspamenti i giorni di maestrale. Quando c'è scirocco una patina pare avvolgere tutte le cose come un velo trasparente ma ostinato, che si posa ovunque e impedisce ai colori di brillare a dovere.
Qui si vede tutta Cefalù, eppure si è in un mondo a parte, ovattato, lontano dal chiasso della vita paesana, dall'allegria dei bagnanti d'estate. Guardiamo Cefalù con necessario distacco, lo immaginiamo e lo facciamo più nostro di quello che è. Lo desideriamo, forse, ma non lo viviamo che con superbo e incantato distacco.

Cefalù, vista dalle Madonie

Una luce generosa - quella del tardo pomeriggio - posa un rosa romantico sulla rocca e sulle case del centro storico. Accentua il verde delle Madonie. Sfuma il mare e lo rende di un delicato colore pastello.
Per un attimo non si desidera altro che questo panorama. Sospeso. 
Poi il cuore riprende a battere. Il desiderio di vita a scorrere. E la strada Cefalù - Gibilmanna, con la sua anima elitaria, ma generosa, ci riporta in paese.




mercoledì 26 novembre 2014

Cefalù da fuori Cefalù: la collina di Sant'Elia


Ricomincio da qui. Da questo luogo che per me è Luogo per eccellenza. Dall'anima del mio luogo dell'anima. Cefalù. Ancora una volta. Sempre.
Questa volta visto da fuori. Da lontano. Quando la  rocca spicca, predominante nel paesaggio, eppure si è distanti e il paese si immagina soltanto. Diventa sogno, idea, possibilità mai del tutto possibili. Magia. O meglio malìa. Si indovina la vita che vi scorre, ci attrae e ci spaventa, al sicuro nell'isolamento che godiamo da lontano. Il paese è tutto nostro, inventanto a misura di desideri perduti nel tempo. Senza difetti. O con difetti estremamente attraenti.
E bellezza. Bellezza perfetta che mai smette di stancarci nella sua contemplazione. Sempre uguale e sempre diversa.

Inizio dalla collina di Sant'Elia. Proprio quella che fa parte del paesaggio del paese; quella collina verde, poco fuori l'abitato, che fà da sfondo alla vostra passeggiata per le vie cefaludesi e per il lungomare, visibile praticamente ovunque dal paese. Proprio la prima delle alture che incorniciano Cefalù e costituiscono lo sfondo naturale in cui è adagiato insieme alla rocca.
Salite, se avete tempo, sulla cima di questa collina. E' un'esperienza indimenticabile.
La strada, sterrata, arriva fino a un certo punto. Poi si lascia la macchina e si va a piedi. Tra ciuffi di erba alta scossi dal vento che qui corre senza alcun freno. Tra piccole costruzioni in pietra abbandonate. Tra rovi e tronchi e solitudine. Non c'è mai nessuno qui. Siete soli a fare i conti con voi stessi. Vi sentirete inquieti. Non siamo - noi uomini - più abituati ad essere così soli nella natura. Nessuna presenza umana. Fa un po' paura. Il cuore batte man mano che si avanza tra l'erba alta. 

La punta della rocca di Cefalù appare dalla collina di Sant'Elia

Poi eccola. Improvvisa. Appare.
La punta della rocca di Cefalù che riconoscete subito familiare. Amica. Anche se siete abituati, voi frequentatori del paese, a vederla sopra di voi, non sotto. Ma in un lampo si stravolge ogni prospettiva, perché siete più in alto di lei. Più in alto di tutto. E se fate qualche passo ancora, incerto, ma imprescindibile ormai, piano piano si svela tutta e poi appare il paese con il suo abitato e il mare tutt'intorno. Sotto di voi. E vi pare di volare. Di dominare tutto. Di capire tutto. Che sensazione meravigliosa e inusuale di completezza!
E ora, di fronte allo spazio aperto, non vi sembra più d'essere soli e vulnerabili, ma dominatori della vita del paese. Di vederne la totalità e che questo sia uno spettacolo che va in scena per voi soltanto. Qui siete in presenza di tutto eppure siete soli. Siete i privilegiati a cui si rivela quest'anima d'aria e di luce. Di roccia, di radici e di mare. Basta la vista aperta a tenervi compagnia, a rasserenare l'anima, a farvi orgogliosi d'aver scoperto il luogo. Quasi fosse un segreto che a voi soltanto si rivela. Qui vi pare di avere tutto chiaro. Di avere le chiavi del senso della natura e della vita. Di essere leggeri. Di diventare vento. Senza bisogno d'altro che dell'anima potente, dal carattere forte, di questo luogo. Un'anima che urla. Che vuol essere unica. Che si impone, prepotente, su tutto. Inevitabile.

Cefalù vista da Sant'Elia

E il paese, circondato dal mare, è tutto lì sotto. Immobile e vivo al tempo stesso. Come se il tempo e lo spazio fossero racchiusi qui, adesso, in un solo sguardo che abbraccia tutto dall'alto e lo  trasforma in sogno.

L'abitato di Cefalù visto dalla collina di Sant'Elia





venerdì 27 dicembre 2013

Inverno a Cefalù


L'inverno è la stagione in cui preferisco Cefalù. 
Può darsi sia per il fascino del proibito. Frammenti di tempo rubati alla vita quotidiana. Scappare a Cefalù senza la legittimazione della vacanza. Lontano dal caldo dell'estate, dal prolungamento delle vacanze a settembre, dell'anticipo delle vacanze a maggio.
No, in inverno c'è solo la voglia. E il bisogno.
Un irrefrenabile bisogno di mare e di luce, proprio quando ce n'è maggiore carenza. Proprio mentre tutti gli altri sono in città e nessuno più pensa all'estate passata né ancora a quella futura. 
E' proprio in questo momento che, stare qui, diventa privilegio.

Cammino. Nel primo pomeriggio, quando il sole pallido di gennaio si fa rasente al mare e il vento tira più forte. Il lungomare senza gli stabilimenti è bellissimo. E' un regalo che mi concedo fuori stagione. L'odore del mare lo accompagna.
La spiaggia ha dune di sabbia intatte, modellate dal vento.
Il mare è mosso. Si formano pozze d'acqua lungo la battigia.  

 








Ci si riflette il profilo del Duomo. 
Un dipinto di acqua e di luce.
Accennato da pennellate blu e gialle. 
I colori densi e l'aria, invece, leggera.

Il mare d'inverno attrae inesorabilmente. Dimentico l'interno del paese e mi concentro tutta sul mare, sulla luce, sui colori. Su quello che mi è così tanto mancato nei mesi precedenti e di cui ora faccio il pieno. Spremo il giorno. Non voglio perderne neanche un minuto.
E poi, piano piano, nel tardo pomeriggio, sale una nebbiolina rosata. Il profilo del paese si dissolve, avvolto in una coltre di sogno.

Non è indifferente a questo paesaggio nemmeno Steno Vazzana che, in "Cefalù fuori le mura", ed. Dell'Arnia, Roma, 1982, scrive:
"Anche il cielo coperto e le mareggiate invernali filtrano e rifrangono la luce d'occidente, sempre ugualmente opportuna alla bellezza del paesaggio, sia che si illanguidisca nelle gradazioni di grigio, sia che si accenda di appassionanti riflessi violacei".
Sono proprio questi tramonti, che in inverno sorprendono il visitatore. Siano essi, appunto, quelli dai riflessi violacei, quando la nebbiolina rosa si posa sopra l'abitato e sfuma le onde del mare rendendole color magenta, fino a che il paese non sembri scomparire e riapparire come una visione, sospeso tra cielo e mare...       

                                                                         

 ... O siano quelli, a mio avviso ancora più sorprendenti, delle giornate di pioggia. Quando all'improvviso, nel grigio del cielo, si aprono squarci di bianco e blu, e dalle nubi filtra una luce dorata intensissima, che si posa soltanto sul paese, e il mare riflette il colore blu elettrico del cielo. Tramonti come questi, non possono essere accompagnati da sufficienti parole.
Sono pura perfezione.
Penso che il senso della vita sia racchiuso in questi momenti. Seduta su una panchina del lungomare, a gennaio, a godere del meraviglioso spettacolo della natura. A innamorarsi di questa luce. E sentire struggere il cuore, per tale perfezione. Così meravigliosa da essere insostenibile. Con il paese tinto da tale luce dorata, quasi divina, e il blu tutt'attorno.



Spettacoli così, si possono godere solo in inverno.
Cefalù, in questa stagione, vuol dire ampi spazi, libertà, l'anima libera di andare. La tua. Che si unisce a quella del luogo, per urlare insieme al mare in tempesta. Sì, in inverno l'anima di Cefalù è nella sua pienezza. E' ovunque. Prepotente. Assoluta. Percepibile con tutti e cinque i sensi: nell'odore avvolgente del mare, nei colori freddi invernali, eppure coinvolgenti, nel rumore del mare in tempesta che arriva fin nei vicoli più interni del paese, nel sapore di salsedine che ti resta sulle labbra dopo una passeggiata a lungomare, nella sabbia fredda sotto i piedi.

Il cielo è immenso (o forse qui si riesce a guardare il cielo). 







Gli alberi spogli del lungomare incorniciano il paese con i loro rami secchi.


 
Cosa volere di più?

Dal mio libro "Il tempo della casa del pino", ecco una descrizione delle sensazioni che suscita  una sera d'inverno, a Cefalù:
"Prima di andare a casa, nonostante faccia freddo, restiamo seduti cinque minuti su una panchina. Salvo si fuma la sua sigaretta, io guardo ancora il mare. Non c'è più luce ma non è ancora buio. E' un momento magico: tornate le barche a riva, ritirate le rosse reti dei pescatori, è il momento di salutare il giorno e di fermarsi a riposare. Pian piano scivoliamo verso la bellezza della sera. Il pensiero si dilata e si fa più profondo. Tutto diventa pacato, gli uomini si fanno delicate presenze e la natura riprende il sopravvento. 
Siamo anime silenziose di fronte al cielo blu e alle prime luci accese delle case del paese; ci sembra di aver vissuto altre mille volte questi momenti.
Sono immagini della memoria, evocative di quelle sere che ci portiamo dentro, o forse della "sera" della nostra stessa vita, quando, smessa la fatica del giorno, prima della notte, è il momento in cui si riesce a sentire il respiro della terra.
Passato l'attimo, l'attimo che separa il giorno dalla notte, è come se il tempo riprendesse a scorrere e noi a vivere. Ci incamminiamo alla luce dei lampioni che proiettano le nostre ombre sull'asfalto".

Cos'è, dunque, l'inverno, se non riposo, pensiero, sospensione?
Ed è incantevole, questo inverno, qui.
Serbatelo dunque nel cuore, riposatevi ammirandolo, ma siate pronti a ricominciare a sorprendervi.
Presto sarà di nuovo primavera...