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venerdì 13 ottobre 2017

L'anima del deserto: Foce del fiume Belice e dune limitrofe


Non avevo idea di cosa fosse il "deserto", di cosa volesse dire camminare sollevando polvere di sabbia rovente e sentire crescere l'arsura in gola, finché non ho visitato la Riserva Naturale Foce del fiume Belice e dune limitrofe, in pieno agosto. Naturalmente è solo un sentore di "deserto", perché qui ci sono il mare, la vegetazione, la foce di un fiume - che tuttavia in agosto è completamente in secca -, eppure l'anima di questo luogo contiene in sé la durezza e contemporaneamente il fascino che, in maniera certamente amplificata, deve provare chi visita i più grandi deserti della Terra. E dopotutto è normale che sia così: siamo nella Sicilia sud - occidentale, poco sotto, separata solo dal mare, c'è la Tunisia. Il passo è breve. E richiama alla mente quello che doveva essere un tempo: quando le due Terre erano un'unica cosa, o quando, successivamente, la Sicilia meridionale doveva essere tutta così: fatta da dune di sabbia e coste desertiche lunghe chilometri. Prima che l'uomo costruisse, speculasse, modificasse la conformazione naturale delle coste. Oggi rimangono residui di ciò che fu, dove si è provveduto a fermare l'azione umana  tramite l'istituzione di Riserve Naturali protette. Riserva Foce del Belice e dune limitrofe è una di queste. Il luogo dove respirare la polvere di sabbia e vivere le atmosfere desertiche di una volta. Si estende per circa 4 chilometri tra Marinella di Selinunte e Porto Palo di Menfi, tra le provincie di Trapani e Agrigento. Ed è fatta di piccole dune, a loro volta fatte di sabbia color ambra, intervallate all'interno da pini marittimi ed eucalipti, e invece verso il mare colonizzate da arbusti e gigli. 

Pini marittimi cresciuti tra la sabbia.

Entrando nella riserva dalla parte di Marinella di Selinunte, purtroppo ci si accorge che il primo tratto è stato concesso alla gestione di alcuni lidi e club nautici. Incuranti del brusio dei bagnanti e dello scempio delle costruzioni umane, occorre seguire il sentiero fatto di sabbia, indicato con la dicitura: "le dune", alla ricerca della vera anima della Riserva. Percorso all'incirca un chilometro, finalmente si entra in contatto con lo spirito più vero del luogo. Il rumorosissimo "silenzio" della natura, fatto dal frinire delle cicale, dal vento tra le fronde degli eucalipti, dal mare che si avverte al di là della vegetazione, alla nostra destra. In estate il re degli odori è quello della resina dei pini, che ci arriva fresca e pungente, mentre camminiamo tra la sabbia, superando tronchi di albero e intravedendo il mare al di là.  

Tronchi di albero, dune e mare.
E' un paesaggio fatto di alberi cresciuti sulla sabbia, con le radici che traggono nutrimento dalla fertile terra al di sotto di essa. Di fronde ombreggianti di pini ed eucalipti che, in questo tratto di riserva, ancora ci assicurano una benevola ombra e una varietà di colori: il giallo della sabbia, il marrone dei tronchi, il verde delle fronde degli alberi. Al di là, anche il blu del mare che ci attrae.

Ma la vera anima del luogo, si respira una volta usciti allo scoperto. Ci aspetta oltre la vegetazione: dove essa termina, verso la spiaggia, per lasciare il posto a piccole ma estesissime dune di sabbia dorata. Qui crescono solo arbusti e gigli, aggrappati testardamente alla sabbia, sconvolti dal vento che modifica le dune stesse, esposti al sole cocente. Qui non c'è più riparo. Questa è l'anima desertica del luogo che ci sfida, che ci mette alla prova. Se vogliamo visitarla c'è un prezzo da pagare: camminare tra le dune sentendo cuocere la pelle e mancare il respiro. Tra chilometri di sabbia bollente, sollevata dal vento caldo, che appanna anche la vista nello stesso momento che la appaga. L'ocra è l'unico colore concesso.

Dune di sabbia.
Gigli cresciuti sulla sabbia.

Una vallata di sabbia. Ocra. Una spiaggia fatta di piccole dune che diventano un tutt'uno. Selvaggia. Scelta anche dalle tartarughe Caretta Caretta per nidificare. Impreziosita dai bellissimi gigli bianchi della sabbia. 
Essere qui è un privilegio di cui godere per poco tempo. Vorresti visitarlo, interiorizzarlo, questo luogo. Ma in pieno agosto non puoi. Riesci solo a sederti, arreso all'afa, per qualche minuto tra le dune. Il tempo di riprendere le forze e decidere se ripararti di nuovo tra gli alberi all'interno o se scendere verso il mare.
Personalmente la seconda ipotesi mi attira troppo per rinunciarvi e così, stremata dal caldo, rinunciando a quel mondo a sé, affascinantissimo, delle dune, arrivo alla riva. Qui sembra di essere in un emisfero totalmente differente. Il vento è sempre molto caldo, ma porta con sé il ristoro della brezza marina fresca. 

Le acque cristalline della spiaggia della Riserva.
L'acqua è cristallina, e inaspettatamente subito profonda e gelida a causa delle correnti marine di questa zona. Tuffarsi in queste acque è una sensazione incredibile. Si sente evaporare improvvisamente tutto il calore accumulato dal corpo, in un repentino passaggio dal caldo al freddo che rigenera. E' come se le narici si sturassero e si riprendesse a respirare a pieni polmoni, superato il deserto. Ecco: questo mare è proprio come deve essere un'oasi nel deserto. Rigenerante. Rassicurante. Accogliente. 
Stordisce proprio come fosse un miraggio, un'acqua così limpida, così fredda. Nuotarvi è rinascere.
Ed è proprio dall'acqua, che si può ammirare la riserva con maggiore distacco e forse comprenderla pienamente.Osservare dove eravamo: in un mondo fatto per chilometri solo da sabbia e arbusti. Fin dove quasi nessuno si spinge, verso la foce del Belice: un luogo incontaminato, isolato, qui veramente intatto. Dove comanda la natura soltanto. Il vento che modifica le dune e soprattutto la sabbia rovente, che inneggia al deserto.
Un tratto della Riserva, vista dal suo mare.
 
La solitudine e la paurosa bellezza di questo luogo sono la sua anima. Ci si sente persi, qui. Lontani dal mondo e perfino da se stessi. Diventati sabbia dorata rovente anche noi. O acqua gelida, mentre si nuota dimentichi di tutto, tra il vento e il rumore del mare che invade beatamente la mente. Mare e mare, e dietro sabbia e sabbia. Freddo e caldo. L'eterno contrasto tra la vita e la morte. Qui finalmente insieme. Alla Riserva Naturale foce del Belice e dune limitrofe. Visitatela, odiatela e amatela. Soprattutto, capitela...



domenica 11 giugno 2017

Primavera tra le dune a Marina di Sorso


La magia della terra Sarda non finisce mai di riservarci sorprese e così, anche questa volta, desidero condurvi alla sua scoperta. 
Ancora una volta è primavera. Ancora una volta a farla da padrone sono le dune e la libertà.
Questa volta siamo nella spiaggia di Marina di Sorso. Sardegna settentrionale, tra Castelsardo e Porto Torres. Questa spiaggia è molto estesa, a tratti anche organizzata turisticamente, ma la parte più bella è indubbiamente la parte selvaggia, lasciata alla natura soltanto, che inizia poco dopo aver lasciato il borgo di Castelsardo, andando verso ovest. La scopro così, per caso, come molte altre volte succede in Sardegna: quando hai in mente una meta prefissata e prima di raggiungerla, lungo la strada, ti fermi tante e tante volte, colpito dalla bellezza di luoghi meno famosi, ma che ti catturano e ti costringono a fermarti e a viverli. I fuori programma che danno senso al viaggio e alla vita stessa. Marina di Sorso è questo. E' un regalo che non ti aspetti. E' il cuore che batte per una emozione non messa in conto. E' ancora una volta lo stupore per il valore di ogni angolo della Sardegna, quando, mentre sei in strada, d'improvviso questa attraversa pinete folte, che ti corteggiano con l'ombra e l'odore di resina. E tra la pineta, ecco i sentieri di terra che conducono al mare. Immaginato. Ti attraggono inesorabilmente. L'unica cosa che puoi fare è fermare la macchina e percorrerne almeno uno, quello che il destino ti ha riservato, con la trepidazione di scoprire dove conduca. Qui, a Marina di Sorso, quello che il mio sentiero mi riserva è il panorama sulla lunghissima spiaggia di sabbia bianca, con il mare leggermente increspato da un vento che muove le onde, sposta la sabbia, modella le dune a seconda del suo capriccio. Un vento che sconvolge anche te, che entra dentro l'anima, che ti uniforma con il luogo. Non importa se sei sabbia, acqua o creatura vivente, esso ti attraversa. E ti cambia. 

Fiori tra le dune a Marina di Sorso.
Ti trovi tra le dune. Si susseguono una all'altra. Alcune più basse, altre compatte e alte. La sabbia è bianca e finissima. La macchia mediterranea fa la sua comparsa qua e là, colorandola di verde. La primavera completa il lavoro della natura, donando cespugli di fiori gialli o fucsia. Che privilegio essere qui in questa stagione, godersi questa spiaggia ancora deserta di gente e piena di fiori! 

Macchia mediterranea tra le dune a Marina di Sorso.
Fiori tra le dune a Marina di Sorso.
Chilometri e chilometri così: di dune e arbusti e fiori. Il mare che si vede solo se riesci a salire sulle dune più alte, quando si apre il panorama su tutta la lunghezza della spiaggia. Un paesaggio sempre uguale e sempre diverso, a seconda di come si combinano tutti gli elementi che lo compongono: i pini marittimi, i mirti, i ginepri, le  fioriture primaverili. E tu con la tua brama di scoprire in ogni punto quello migliore. Spostandoti ora su una duna, ora su un'altra. Scendendo, salendo, saltando, in una ricerca continua della totalità del luogo, destinata ovviamente a fallire. Ogni punto offre una nuova prospettiva, uno scorcio differente, una nuova emozione. Ma mai potrai conoscerlo tutto, questo luogo. Ampio, esteso, destinato a cambiare sempre col vento e con le stagioni. Corri tra le dune affamato di libertà, di scoperta, di bellezza. Di felicità.

Non è facile riprendere il cammino, lasciare questo luogo, ricordarsi che la meta non era questa. Ma lo fai. Solo che durante tutta la giornata ripensi all'anima di questo luogo. Un'anima fatta di vento, di libertà, di infinite possibilità. Di natura selvaggia, di mare, di sabbia. E vuoi tornare. Alla fine del giorno vuoi tornare proprio lì dove la giornata era iniziata, anzi: su un altro sentiero tra la pineta che porta a questa spiaggia. Una storia dello stesso libro; l'altra faccia della stessa medaglia. Per scoprire ancora qualche cosa di più. Per vedere che effetto fa alla luce del tramonto, per capire se un'altra parte della spiaggia può farti battere il cuore allo stesso modo.

Marina di Sorso, alberi sulla spiaggia.

E scopri, questa volta, una zona più fitta di alberi, piegati dal vento, abituati a lottare ma anche a resistere. Scopri la durezza della natura. La forza che ci vuole per farne parte. La luce più calda del tramonto che avvolge tutte le cose. Quello che provi adesso, a quest'ora del giorno, non è più bramosia ed emozione, ma una straordinaria sensazione di pace, di consapevolezza. Un respiro dell'anima. Presto sarà sera.





sabato 6 maggio 2017

Le dune della Sardegna del nord: la spiaggia di Rena Majore


E' proprio vero che le cose migliori capitano quando non te l'aspetti. E l'assenza di aspettative, che inevitabilmente crea un'attesa, permette di gioire senza preconcetti di una bella sorpresa. Ed è proprio così: a sorpresa, che mi imbatto nella spiaggia di Rena Majore, nella Sardegna settentrionale, poco dopo la cittadina di Santa Teresa di Gallura, procedendo con il mare alla mia destra. Assolutamente fuori programma, essendo la meta del mio itinerario la spiaggia di Li Cossi (di cui vi parlerò nel prossimo post), per puro caso mi giro verso il mare, lungo la strada, e la vedo. Si può dire sia un vero e proprio colpo di fulmine. Tra la pineta che lambisce la strada, un varco apre la vista su una duna di sabbia di un bianco accecante. Dietro, il mare turchese. Io incredula per una frazione di secondo. Come può essermi sfuggito un luogo così? Ma i fuori programma sono assolutamente benvenuti e salutati dal cuore che inizia a battermi più veloce. Non devo neppure deciderlo: è scontato che mi fermerò a visitare questa meraviglia, come un regalo inaspettato e perciò tanto più gradito. 
Apprendo da alcuni cartelli segnaletici che siamo della provincia di Aglientu. 
Non so come sia d'estate questo posto, ma ora, in aprile, è assolutamente deserto e selvaggio. Lascio senza problemi la macchina ai lati del sentiero sterrato, sotto l'ombra di un pino, e mi addentro della pineta odorosa. Un odore di resina e di mare, una promessa di benessere d'ombra e di allegria di cicale nelle estati senza tempo. 

Dune a Rena Majore.
Dune a Rena Majore.

Subito dopo la pineta, le dune. Alte. Alcune imponenti. Vive di vegetazione. Bianche. Morbide. Modellate solo dal vento. Senza traccia di passi umani. Talmente pure che sembra quasi una violazione della natura, camminarci sopra, rompere i solchi tracciati dal vento con le mie impronte estranee. Eppure lo faccio. Perché ora è diventata esigenza visitare questo luogo, capirlo, interiorizzarlo. Procedo stordita da tanta bellezza inaspettata. Di una accessibilità assoluta, eppure che pare essere solo una delle tante spiagge della Sardegna. E proprio da questo inizio a capire quale sia, il fascino tanto decantato di questa regione.
Le dune si susseguono una dopo l'altra, come una nascesse esattamente dove muore la precedente, in un continuo circolo di vita. Rami scuri si stagliano, a contrasto, sulla sabbia bianca. Qua e là, la macchia mediterranea interrompe il chiarore della sabbia, tingendola di chiazze di verde. I ginepri trovano qui il loro paradiso. E anche io. Camminare su queste dune incontaminate, col vento che le scombina e le ricombina proprio davanti a me, con i piedi affondati della morbidezza della sabbia, serve a capire il senso intero della vita. Mi sdraio, esausta, su una delle dune più alte, e per un po' resto così, con il cuore che batte, la mente piacevolmente confusa, il respiro profondo, a godere soltanto di questo luogo.
E poi riprendo il cammino, scendendo di corsa dalla duna per raggiungere la lunga spiaggia di sabbia circondata da rocce di granito. E il mare è una nuova sorpresa. Nonostante il vento increspi la superficie dell'acqua, è di un meraviglioso turchese trasparente. Rende felici.

Mare a Rena Majore.
 

 
Fiume che attraversa Rena Majore.
Fiume che attraversa Rena Majore.
E poi, tornando indietro, scelgo un sentiero alternativo a quello dell'andata, procedo d'istinto, tra le mille dune, per visitarne il più possibile. Per emozionarmi ancora. Ed ecco un fiumiciattolo attraversare la spiaggia. In inverno deve raggiungere la sua massima potenza, ma in questa stagione si prepara già all'arsura estiva, facendosi più modesto. E', comunque, anch'esso, parte dello spettacolo che la natura offre su questa spiaggia.
Così selvaggia, incontaminata, il cui unico padrone sembra essere il vento. 
Qual è l'anima di questo luogo? L'avete già sentita, forte com'è, attraverso le mie parole? E' un'anima di sabbia, di arbusti tenacemente attaccati ad essa. Un'anima d'acqua, perciò di vita. Un'anima fatta da una natura che qui è libera di esprimere tutta la sua potenza. Un'anima di libertà, di ampiezza e di vento che la scompiglia a suo piacere. Io trovo che qui sia racchiusa un po' tutta l'anima della Sardegna, di quella parte autentica della Sardegna fatta da spiagge incontaminate, di una meraviglia assoluta e lasciate allo stato selvaggio, con gli alberi, le dune, gli arbusti e le pinete chilometriche. Dove il vostro cuore non  potrà far altro che battere, forte, di emozione. 
Cosa state aspettando? La Sardegna vi aspetta. Rena Majore vi aspetta. Vi accoglierà tra le sue dune, finché sarete lì la sua anima sarà all'unisono con la vostra. Poi tornerà ad essere solo della natura. Meravigliosamente selvaggia.




mercoledì 26 novembre 2014

Cefalù da fuori Cefalù: la collina di Sant'Elia


Ricomincio da qui. Da questo luogo che per me è Luogo per eccellenza. Dall'anima del mio luogo dell'anima. Cefalù. Ancora una volta. Sempre.
Questa volta visto da fuori. Da lontano. Quando la  rocca spicca, predominante nel paesaggio, eppure si è distanti e il paese si immagina soltanto. Diventa sogno, idea, possibilità mai del tutto possibili. Magia. O meglio malìa. Si indovina la vita che vi scorre, ci attrae e ci spaventa, al sicuro nell'isolamento che godiamo da lontano. Il paese è tutto nostro, inventanto a misura di desideri perduti nel tempo. Senza difetti. O con difetti estremamente attraenti.
E bellezza. Bellezza perfetta che mai smette di stancarci nella sua contemplazione. Sempre uguale e sempre diversa.

Inizio dalla collina di Sant'Elia. Proprio quella che fa parte del paesaggio del paese; quella collina verde, poco fuori l'abitato, che fà da sfondo alla vostra passeggiata per le vie cefaludesi e per il lungomare, visibile praticamente ovunque dal paese. Proprio la prima delle alture che incorniciano Cefalù e costituiscono lo sfondo naturale in cui è adagiato insieme alla rocca.
Salite, se avete tempo, sulla cima di questa collina. E' un'esperienza indimenticabile.
La strada, sterrata, arriva fino a un certo punto. Poi si lascia la macchina e si va a piedi. Tra ciuffi di erba alta scossi dal vento che qui corre senza alcun freno. Tra piccole costruzioni in pietra abbandonate. Tra rovi e tronchi e solitudine. Non c'è mai nessuno qui. Siete soli a fare i conti con voi stessi. Vi sentirete inquieti. Non siamo - noi uomini - più abituati ad essere così soli nella natura. Nessuna presenza umana. Fa un po' paura. Il cuore batte man mano che si avanza tra l'erba alta. 

La punta della rocca di Cefalù appare dalla collina di Sant'Elia

Poi eccola. Improvvisa. Appare.
La punta della rocca di Cefalù che riconoscete subito familiare. Amica. Anche se siete abituati, voi frequentatori del paese, a vederla sopra di voi, non sotto. Ma in un lampo si stravolge ogni prospettiva, perché siete più in alto di lei. Più in alto di tutto. E se fate qualche passo ancora, incerto, ma imprescindibile ormai, piano piano si svela tutta e poi appare il paese con il suo abitato e il mare tutt'intorno. Sotto di voi. E vi pare di volare. Di dominare tutto. Di capire tutto. Che sensazione meravigliosa e inusuale di completezza!
E ora, di fronte allo spazio aperto, non vi sembra più d'essere soli e vulnerabili, ma dominatori della vita del paese. Di vederne la totalità e che questo sia uno spettacolo che va in scena per voi soltanto. Qui siete in presenza di tutto eppure siete soli. Siete i privilegiati a cui si rivela quest'anima d'aria e di luce. Di roccia, di radici e di mare. Basta la vista aperta a tenervi compagnia, a rasserenare l'anima, a farvi orgogliosi d'aver scoperto il luogo. Quasi fosse un segreto che a voi soltanto si rivela. Qui vi pare di avere tutto chiaro. Di avere le chiavi del senso della natura e della vita. Di essere leggeri. Di diventare vento. Senza bisogno d'altro che dell'anima potente, dal carattere forte, di questo luogo. Un'anima che urla. Che vuol essere unica. Che si impone, prepotente, su tutto. Inevitabile.

Cefalù vista da Sant'Elia

E il paese, circondato dal mare, è tutto lì sotto. Immobile e vivo al tempo stesso. Come se il tempo e lo spazio fossero racchiusi qui, adesso, in un solo sguardo che abbraccia tutto dall'alto e lo  trasforma in sogno.

L'abitato di Cefalù visto dalla collina di Sant'Elia





venerdì 6 giugno 2014

Eraclea Minoa: la totalità degli elementi


Spiaggia di Eraclea Minoa
 
Capo Bianco

Chiudete gli occhi. Pensate ad un luogo. Ad una spiaggia.
Che caratteristiche deve avere perché ne sentiate l'anima?
Io penso ad una lunga spiaggia di sabbia chiara e morbida, accarezzata dalla luce di una giornata di fine estate. Ci aggiungo un mare trasparente, leggermente increspato affinché si senta più forte l'odore della salsedine. Il mare più vero. Vivo. Che mi sappia spiegare la libertà.
Ma ancora non basta. C'è altro. Una pineta. Una lunga pineta direttamente sul mare, che accarezza la costa per chilometri, parallela alla spiaggia. Con ombra benevola e verde generoso.
E poi una scogliera. Una sorpresa che si rivela solo alla fine della spiaggia. Solo per i tenaci. Quelli che hanno camminato e camminato per arrivare alla fine. Che poi non è affatto la fine. E' l'inizio di calette tra la roccia più bianca. Rivela sorprese.
E' tutto mi pare. 
Ma se aggiungiamo anche un fascino che proviene dall'antichità, dalla sacralità di un luogo che è stato dimora e scontro, per qualcuno, secoli fa, allora mi sembra d'aver inventato il luogo migliore della Terra. Dove non manca nulla.
Ma questo luogo non esce dalla mia fantasia. Esiste realmente. In Sicilia. Nella remota Sicilia meridionale, fatta di spazi e di silenzi. Di ombre e di luci.
Provincia di Agrigento. Eraclea Minoa. Un nome difficile da imparare, ma che vi resterà cucito nella mente dopo che sarete stati qui. Non c'è un paese, se non Cattolica Eraclea, ma a circa cinque chilometri, verso l'interno. Qui siamo in una località esclusivamente naturale. E antichissima. La spiaggia prende, infatti, il nome dalle rovine dell'antica città greca Heraclea Minoa, i cui resti guardano il mare dall'alto del promontorio bianchissimo che chiude la spiaggia. 

Dal basso, dopo aver camminato per tutta la spiaggia, lo vedrete. Il promontorio sul quale era costruita l'antica città. 
Si tratta di Capo Bianco, fatto di marne, il cui nome non è necessario spiegare da dove derivi.
 All'inizio appare così: di un bianco accecante tra cielo e mare. Dopo la spiaggia. Alla fine della pineta e del boschetto di eucalipti che la chiude. Avvicinatevi. Per scoprire il resto.

La prima sorpresa sono i fanghi. Quelli benefici per la pelle. Preziosi. La montagna, alla sua base, è fatta di questo. Non l'avrei notato, devo dire la verità, se non avessi visto gente camminare completamente ricoperta di fango. Aspettare che si secchi per poi risciacquarlo nell'acqua del mare, con un gesto antico e rituale. Purtroppo, però, molti non si accontentano dei pezzi di fango che si staccano naturalmente dalle pareti rocciose in seguito alla forza del mare e all'azione del vento. Tanti staccano con le proprie mani pezzi di fango dalla montagna, con il risultato di aver provocato pericolosi crolli e ridotto la forza della base del promontorio. 

Si cammina. Proprio sotto la roccia. Notandone le striature più scure che si alternano a quelle più chiare, con  un'affascinante combinazione geologica. 
La spiaggia è sottile. Tra il mare e la roccia. 
Per lo più camminerete in solitudine. Non tutti si spingono fin quaggiù.

E se andate ancora avanti troverete un passaggio segreto, tra la roccia che sembra chiudere definitivamente la spiaggia e invece lascia una piccola apertura da cui passano agevolmente solo i bambini o le persone di piccola statura. Se lo siete, potete passare dall'altra parte, in una piccola spiaggetta deserta, e poi continuare a camminare accanto al gigante di roccia, fino a scoprire dove finisce realmente. In un panorama quasi lunare, la roccia si fa sempre più bassa e levigata in morbide forme ondulate. Sulla sabbia frammenti di pietra.

Ed eccovi arrivati alla fine. 
Eraclea Minoa, la meravigliosa spiaggia con la pineta, si chiude con l'ultimo lembo di Capo Bianco. Il gigante termina con un cono a punta, tra mille striature di roccia bianca e beige. Dopo cambia tutto, continua il mare e vegetazione dunale, ma la magia si interrompe. Non siamo più qui. Non è più Eraclea Minoa, ma solo mare per chilometri e chilometri. 
E allora limitate qui. Godetevi la fine. Il punto più estremo. E scopritelo più umano e vicino di quanto non sia il promontorio, duro, che confina con la pineta. Qui, alla fine di tutto, la roccia imponente sembra ormai solo un ricciolo di panna montata a neve. E, qui, sarete veramente soli. Non passa quasi mai nessuno. La natura è tutta per voi. Voi siete per lei.
L'anima del luogo risplende di questa solitudine. La si può sentire urlare nel silenzio, la si può respirare con la salsedine, la si può riconoscere nella forza della roccia o nel vento che pare mescolare tutti questi elementi e restituirli direttamente alla nostra pelle. Anima con anima. La vostra. Quella del luogo. E poi la somma di entrambe.


Vi lascio raccontandovi di me. Di quando sono arrivata qui la prima volta. 
Giravo per la Sicilia, dormendo ogni giorno in una località diversa. Qui sono arrivata verso sera, gioendo per aver trovato una spiaggia così bella, affascinata dalla pineta e sicura di volermi fermare. 
La sera è cresciuta, divenendo presto una notte adolescente e poi matura. E io sulla spiaggia. Seduta. Qualche falò a rischiarare l'ambiente. Suono di chitarre lontane. Suono di giovinezza. Poi le stelle, nel cielo più scuro. Nessun paese d'intorno. Nessun'altra luce. Se non un chiarore latteo, un bagliore, dal lato destro della spiaggia. Interrogarmi curiosa. Chiedermi cosa fosse. Avrei scoperto solo il giorno dopo, con la luce del mattino, che si trattava di Capo Bianco. La roccia bianca riflette luce. Una meravigliosa scoperta che ho poi conservato negli anni.
Ma quella notte non restava che abbandonarmi al profumo dei pini e del mare, come può essere solo in una notte d'estate. Abbandonarmi a una natura sovrana. A un buio che mi proteggeva e mi faceva sentire parte del tutto. 
Perché la libertà più assoluta e la piccolezza di fronte alla natura sono esattamente la stessa cosa. 




venerdì 27 dicembre 2013

Inverno a Cefalù


L'inverno è la stagione in cui preferisco Cefalù. 
Può darsi sia per il fascino del proibito. Frammenti di tempo rubati alla vita quotidiana. Scappare a Cefalù senza la legittimazione della vacanza. Lontano dal caldo dell'estate, dal prolungamento delle vacanze a settembre, dell'anticipo delle vacanze a maggio.
No, in inverno c'è solo la voglia. E il bisogno.
Un irrefrenabile bisogno di mare e di luce, proprio quando ce n'è maggiore carenza. Proprio mentre tutti gli altri sono in città e nessuno più pensa all'estate passata né ancora a quella futura. 
E' proprio in questo momento che, stare qui, diventa privilegio.

Cammino. Nel primo pomeriggio, quando il sole pallido di gennaio si fa rasente al mare e il vento tira più forte. Il lungomare senza gli stabilimenti è bellissimo. E' un regalo che mi concedo fuori stagione. L'odore del mare lo accompagna.
La spiaggia ha dune di sabbia intatte, modellate dal vento.
Il mare è mosso. Si formano pozze d'acqua lungo la battigia.  

 








Ci si riflette il profilo del Duomo. 
Un dipinto di acqua e di luce.
Accennato da pennellate blu e gialle. 
I colori densi e l'aria, invece, leggera.

Il mare d'inverno attrae inesorabilmente. Dimentico l'interno del paese e mi concentro tutta sul mare, sulla luce, sui colori. Su quello che mi è così tanto mancato nei mesi precedenti e di cui ora faccio il pieno. Spremo il giorno. Non voglio perderne neanche un minuto.
E poi, piano piano, nel tardo pomeriggio, sale una nebbiolina rosata. Il profilo del paese si dissolve, avvolto in una coltre di sogno.

Non è indifferente a questo paesaggio nemmeno Steno Vazzana che, in "Cefalù fuori le mura", ed. Dell'Arnia, Roma, 1982, scrive:
"Anche il cielo coperto e le mareggiate invernali filtrano e rifrangono la luce d'occidente, sempre ugualmente opportuna alla bellezza del paesaggio, sia che si illanguidisca nelle gradazioni di grigio, sia che si accenda di appassionanti riflessi violacei".
Sono proprio questi tramonti, che in inverno sorprendono il visitatore. Siano essi, appunto, quelli dai riflessi violacei, quando la nebbiolina rosa si posa sopra l'abitato e sfuma le onde del mare rendendole color magenta, fino a che il paese non sembri scomparire e riapparire come una visione, sospeso tra cielo e mare...       

                                                                         

 ... O siano quelli, a mio avviso ancora più sorprendenti, delle giornate di pioggia. Quando all'improvviso, nel grigio del cielo, si aprono squarci di bianco e blu, e dalle nubi filtra una luce dorata intensissima, che si posa soltanto sul paese, e il mare riflette il colore blu elettrico del cielo. Tramonti come questi, non possono essere accompagnati da sufficienti parole.
Sono pura perfezione.
Penso che il senso della vita sia racchiuso in questi momenti. Seduta su una panchina del lungomare, a gennaio, a godere del meraviglioso spettacolo della natura. A innamorarsi di questa luce. E sentire struggere il cuore, per tale perfezione. Così meravigliosa da essere insostenibile. Con il paese tinto da tale luce dorata, quasi divina, e il blu tutt'attorno.



Spettacoli così, si possono godere solo in inverno.
Cefalù, in questa stagione, vuol dire ampi spazi, libertà, l'anima libera di andare. La tua. Che si unisce a quella del luogo, per urlare insieme al mare in tempesta. Sì, in inverno l'anima di Cefalù è nella sua pienezza. E' ovunque. Prepotente. Assoluta. Percepibile con tutti e cinque i sensi: nell'odore avvolgente del mare, nei colori freddi invernali, eppure coinvolgenti, nel rumore del mare in tempesta che arriva fin nei vicoli più interni del paese, nel sapore di salsedine che ti resta sulle labbra dopo una passeggiata a lungomare, nella sabbia fredda sotto i piedi.

Il cielo è immenso (o forse qui si riesce a guardare il cielo). 







Gli alberi spogli del lungomare incorniciano il paese con i loro rami secchi.


 
Cosa volere di più?

Dal mio libro "Il tempo della casa del pino", ecco una descrizione delle sensazioni che suscita  una sera d'inverno, a Cefalù:
"Prima di andare a casa, nonostante faccia freddo, restiamo seduti cinque minuti su una panchina. Salvo si fuma la sua sigaretta, io guardo ancora il mare. Non c'è più luce ma non è ancora buio. E' un momento magico: tornate le barche a riva, ritirate le rosse reti dei pescatori, è il momento di salutare il giorno e di fermarsi a riposare. Pian piano scivoliamo verso la bellezza della sera. Il pensiero si dilata e si fa più profondo. Tutto diventa pacato, gli uomini si fanno delicate presenze e la natura riprende il sopravvento. 
Siamo anime silenziose di fronte al cielo blu e alle prime luci accese delle case del paese; ci sembra di aver vissuto altre mille volte questi momenti.
Sono immagini della memoria, evocative di quelle sere che ci portiamo dentro, o forse della "sera" della nostra stessa vita, quando, smessa la fatica del giorno, prima della notte, è il momento in cui si riesce a sentire il respiro della terra.
Passato l'attimo, l'attimo che separa il giorno dalla notte, è come se il tempo riprendesse a scorrere e noi a vivere. Ci incamminiamo alla luce dei lampioni che proiettano le nostre ombre sull'asfalto".

Cos'è, dunque, l'inverno, se non riposo, pensiero, sospensione?
Ed è incantevole, questo inverno, qui.
Serbatelo dunque nel cuore, riposatevi ammirandolo, ma siate pronti a ricominciare a sorprendervi.
Presto sarà di nuovo primavera...