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venerdì 6 giugno 2014

Eraclea Minoa: la totalità degli elementi


Spiaggia di Eraclea Minoa
 
Capo Bianco

Chiudete gli occhi. Pensate ad un luogo. Ad una spiaggia.
Che caratteristiche deve avere perché ne sentiate l'anima?
Io penso ad una lunga spiaggia di sabbia chiara e morbida, accarezzata dalla luce di una giornata di fine estate. Ci aggiungo un mare trasparente, leggermente increspato affinché si senta più forte l'odore della salsedine. Il mare più vero. Vivo. Che mi sappia spiegare la libertà.
Ma ancora non basta. C'è altro. Una pineta. Una lunga pineta direttamente sul mare, che accarezza la costa per chilometri, parallela alla spiaggia. Con ombra benevola e verde generoso.
E poi una scogliera. Una sorpresa che si rivela solo alla fine della spiaggia. Solo per i tenaci. Quelli che hanno camminato e camminato per arrivare alla fine. Che poi non è affatto la fine. E' l'inizio di calette tra la roccia più bianca. Rivela sorprese.
E' tutto mi pare. 
Ma se aggiungiamo anche un fascino che proviene dall'antichità, dalla sacralità di un luogo che è stato dimora e scontro, per qualcuno, secoli fa, allora mi sembra d'aver inventato il luogo migliore della Terra. Dove non manca nulla.
Ma questo luogo non esce dalla mia fantasia. Esiste realmente. In Sicilia. Nella remota Sicilia meridionale, fatta di spazi e di silenzi. Di ombre e di luci.
Provincia di Agrigento. Eraclea Minoa. Un nome difficile da imparare, ma che vi resterà cucito nella mente dopo che sarete stati qui. Non c'è un paese, se non Cattolica Eraclea, ma a circa cinque chilometri, verso l'interno. Qui siamo in una località esclusivamente naturale. E antichissima. La spiaggia prende, infatti, il nome dalle rovine dell'antica città greca Heraclea Minoa, i cui resti guardano il mare dall'alto del promontorio bianchissimo che chiude la spiaggia. 

Dal basso, dopo aver camminato per tutta la spiaggia, lo vedrete. Il promontorio sul quale era costruita l'antica città. 
Si tratta di Capo Bianco, fatto di marne, il cui nome non è necessario spiegare da dove derivi.
 All'inizio appare così: di un bianco accecante tra cielo e mare. Dopo la spiaggia. Alla fine della pineta e del boschetto di eucalipti che la chiude. Avvicinatevi. Per scoprire il resto.

La prima sorpresa sono i fanghi. Quelli benefici per la pelle. Preziosi. La montagna, alla sua base, è fatta di questo. Non l'avrei notato, devo dire la verità, se non avessi visto gente camminare completamente ricoperta di fango. Aspettare che si secchi per poi risciacquarlo nell'acqua del mare, con un gesto antico e rituale. Purtroppo, però, molti non si accontentano dei pezzi di fango che si staccano naturalmente dalle pareti rocciose in seguito alla forza del mare e all'azione del vento. Tanti staccano con le proprie mani pezzi di fango dalla montagna, con il risultato di aver provocato pericolosi crolli e ridotto la forza della base del promontorio. 

Si cammina. Proprio sotto la roccia. Notandone le striature più scure che si alternano a quelle più chiare, con  un'affascinante combinazione geologica. 
La spiaggia è sottile. Tra il mare e la roccia. 
Per lo più camminerete in solitudine. Non tutti si spingono fin quaggiù.

E se andate ancora avanti troverete un passaggio segreto, tra la roccia che sembra chiudere definitivamente la spiaggia e invece lascia una piccola apertura da cui passano agevolmente solo i bambini o le persone di piccola statura. Se lo siete, potete passare dall'altra parte, in una piccola spiaggetta deserta, e poi continuare a camminare accanto al gigante di roccia, fino a scoprire dove finisce realmente. In un panorama quasi lunare, la roccia si fa sempre più bassa e levigata in morbide forme ondulate. Sulla sabbia frammenti di pietra.

Ed eccovi arrivati alla fine. 
Eraclea Minoa, la meravigliosa spiaggia con la pineta, si chiude con l'ultimo lembo di Capo Bianco. Il gigante termina con un cono a punta, tra mille striature di roccia bianca e beige. Dopo cambia tutto, continua il mare e vegetazione dunale, ma la magia si interrompe. Non siamo più qui. Non è più Eraclea Minoa, ma solo mare per chilometri e chilometri. 
E allora limitate qui. Godetevi la fine. Il punto più estremo. E scopritelo più umano e vicino di quanto non sia il promontorio, duro, che confina con la pineta. Qui, alla fine di tutto, la roccia imponente sembra ormai solo un ricciolo di panna montata a neve. E, qui, sarete veramente soli. Non passa quasi mai nessuno. La natura è tutta per voi. Voi siete per lei.
L'anima del luogo risplende di questa solitudine. La si può sentire urlare nel silenzio, la si può respirare con la salsedine, la si può riconoscere nella forza della roccia o nel vento che pare mescolare tutti questi elementi e restituirli direttamente alla nostra pelle. Anima con anima. La vostra. Quella del luogo. E poi la somma di entrambe.


Vi lascio raccontandovi di me. Di quando sono arrivata qui la prima volta. 
Giravo per la Sicilia, dormendo ogni giorno in una località diversa. Qui sono arrivata verso sera, gioendo per aver trovato una spiaggia così bella, affascinata dalla pineta e sicura di volermi fermare. 
La sera è cresciuta, divenendo presto una notte adolescente e poi matura. E io sulla spiaggia. Seduta. Qualche falò a rischiarare l'ambiente. Suono di chitarre lontane. Suono di giovinezza. Poi le stelle, nel cielo più scuro. Nessun paese d'intorno. Nessun'altra luce. Se non un chiarore latteo, un bagliore, dal lato destro della spiaggia. Interrogarmi curiosa. Chiedermi cosa fosse. Avrei scoperto solo il giorno dopo, con la luce del mattino, che si trattava di Capo Bianco. La roccia bianca riflette luce. Una meravigliosa scoperta che ho poi conservato negli anni.
Ma quella notte non restava che abbandonarmi al profumo dei pini e del mare, come può essere solo in una notte d'estate. Abbandonarmi a una natura sovrana. A un buio che mi proteggeva e mi faceva sentire parte del tutto. 
Perché la libertà più assoluta e la piccolezza di fronte alla natura sono esattamente la stessa cosa. 




mercoledì 27 novembre 2013

Pantelleria: vento e terra


Sicilia. Quasi Africa. Pantelleria.
Per raggiungerla mi affido, ancora una volta, al traghetto della Siremar. Precisamente la tratta notturna, sicché una volta salpati, a largo, non ci sono più luci: il cielo è nero, il mare è un poco increspato, nero anch'esso. E si naviga così, sospesi nel buio. Tutta la notte.
Poi, all'alba, eccola. Finalmente. La sagoma dell'isola.
Il rosso inizia a tingere il cielo del nuovo giorno. Venere brilla alto nel cielo. E l'isola si rivela. 
E' grande, nera, montuosa. Promette avventure. 

Il nome Pantelleria deriva dall'arabo "Ben el Riah" ossia "figlia del vento" e mai nome fu più appropriato: un piacevole vento marino corre su tutta la superficie dell'isola, e passa leggero e fresco sul collo, come uno scialle di seta, dandomi il benvenuto. Accompagnandomi a scoprire le meraviglie di quest'isola. 
La prima, è che ci si sente liberi. Come il vento.
E con questa predisposizione d'animo, esploro.

E' sempre emozionante il primo giorno su un'isola, il primo contatto con il piccolo mondo che essa racchiude. E il mondo di Pantelleria è una sorpresa continua.
Quest'isola è aspra, selvaggia, misteriosa. O la si ama o la si odia. Non ho mai trovato nessuno che ne avesse un'opinione intermedia. Per me, è decisamente amore, un colpo di fulmine per la precisione. 
Una premessa però ci vuole: dimenticatevi la sabbia. Non c'è. Da nessuna parte di mare (solo al Lago di Venere). Se non amate le rocce e se non sapete nuotare (l'acqua è subito profonda), non è l'isola per voi.
Per tutti gli altri, seguitemi. 

L'Arco dell'Elefante
Il luogo più famoso di Pantelleria è L'Elefante: un promontorio adagiato sul mare, che termina in acqua con un'enorme pietra ad arco. Dalla forma pare proprio un pachiderma pietrificato, intento con la proboscide a bere l'acqua del mare. Chi resisterà dal tuffarsi subito in acqua per nuotare sotto l'arco, noterà la straordinaria varietà di roccia vulcanica che compone questa baia. E la presenza di intessantissimo legno pietrificato, che ho trovato qui e mai da nessun'altra parte.   

E' facile notare come, in tutta l'isola, le rocce, formate dalla lava raffreddata velocemente a contatto con l'aria, abbiano forme strane che il nostro cervello associa a facce umane o ad animali o creature mostruose, quasi che veramente siano gli stessi abitanti del passato, e le loro paure, ad essere stati pietrificati insieme alle colate laviche.

Balata dei Turchi
Dal punto di vista geologico, un altro imperdibile sito è la Balata dei Turchi: una cala vulcanica, di zolfo, di ossidiana lucidissima e lava, con grotte di sabbia fossilizzata. Oltre a fornirci una chiara indicazione sull'antica  dominazione dell'isola, la Balata dei Turchi offre un mare pulito, con il fondale che presenta grandi pietroni rocciosi, sui quali è abbondante la crescita di vegetazione marina.
Ovviamente, anche qui, non troverete sabbia. Bisogna adattarsi sulla roccia e stare molto attenti nell'entrare in acqua, perché la roccia è piuttosto appuntita e scivolosa.
In compenso sarete ripagati da un fondale ricco di pesci e, soprattutto, caratterizzato dalle stesse rocce vulcaniche che compongono la baia.

Laghetto delle Ondine
Non posso fare a meno di parlavi anche del Laghetto delle Ondine, così chiamato perché si forma tra le rocce, quando c'è mare grosso, dal riflusso delle acque.
 E' il luogo perfetto quando vorrete godervi un bel bagno e il mare sarà troppo mosso per farlo altrove. Qui potrete esplorare il fondale senza i pericoli del mare aperto.
Ma, se invece il mare lo consente e sapete nuotare bene, è molto bello il bagno oltre il Laghetto: uno strapiombo sommerso, profondissimo e illuminato solo in parte dai raggi trasversali del sole. 




Ma Pantelleria non è solo mare. Ha un entroterra verdissimo, dominato dalla Montagna Grande, che riserva interessanti sorprese, forse più che la costa.

Uva di Pantelleria
Prendendo la strada interna, che taglia per il centro dell'isola, appare infatti, a sorpresa, una lunga valle coltivata, attraversata dalla strada rettilinea. Siamo nel Mueggen, la zona più fertile di Pantelleria. 
Un ulteriore mondo a parte, nel mondo dell'isola. Al centro dell'isola.
La zona è coltivata soprattutto a vigneti. 
L'uva dorata, cresciuta al sole e con la buona terra lavica, arriva in grappoli generosi fino al margine della strada carrabile. 
E' l'uva con cui si farà il Passito di Pantelleria, il Moscato e lo Zibibbo. Ed è l'uva più buona che abbia mai assaggiato in vita mia.


Dammusi
Ma, oltre alla campagna, c'è anche una terra ricca di storia.
I Dammusi, innanzitutto. 
Sono le case tradizionali dell'isola, fatte in pietra lavica murata a secco, e oggi in parte recuperati e trasformati in vere e proprie abitazioni moderne, coperte da una cupola usata per raccogliere l'acqua piovana da convogliare nelle cisterne. 

Poi i monumenti funerari chiamati Sesi: costruzioni preistoriche con pietre a secco disposte a cupola, divisi  all'interno in celle funerarie. 
E la stele funeraria preistorica, in contrada Rekale.

Stele funeraria
Sese











Giardino arabo
Notevoli i giardini panteschi, fatti anch'essi con la pietra lavica murata a secco, con la duplice funzione: proteggere le piante dal vento e trattenere l'umidità necessaria per la coltivazione di aranci e limoni. Di chiara ispirazione araba, i giardini non sono i soli segni di questa antica dominazione: le contrade conservano, infatti, i nomi arabi: Bukkuram, Khamma, Rekale, Scauri, Tracino.


Siete sorpresi dalle tante peculiarità di Pantelleria?
Bé, non è ancora tutto. 
Non si può parlare dell'isola trascurando l'attività vulcanica che si cela sotto la sua terra. 
Sorgenti d'acqua calda sottomarine sono presenti sia a Nikà, sia a cala Gadir. 
Le fumarole escono da più punti della montagna. 
La Grotta di Benikulà (detto anche Bagno Asciutto) è una spaccatura nella roccia che forma una piccola caverna. Qui la roccia emana un caldissimo vapore naturale. Ci vuole un po' di coraggio a entrarvi, ma poi ci si abitua al vapore, alla roccia calda, all'odore forte, e si inizia a respirare profondamente, insieme alla terra, per purificare le vie respiratorie e la pelle. 
Sembra si scendere al centro della Terra. Si esce rigenerati, con la sensazione di non aver mai respirato veramente, prima.
La Grotta di Sàtaria ha, invece, sorgenti d'acqua termale naturale, calda, raccolta in vasche di pietra usate per la cura dei reumatismi.

Grotte di Sàtaria
  

E infine l'ultimo gioiello di Pantelleria: come una pietra incastonata tra le montagne, appare il Lago di Venere.
Siamo in una valle, nei resti di una caldera vulcanica. La pace è totale, non arriva nessun rumore se non lo sciacquettio dell'acqua e il cinguettio degli uccellini. Volano intorno libellule coloratissime. L'acqua è calda, calmissima e densa. La densità dell'acqua tiene a galla senza fatica. E rilassa.
Nella sponda sud del lago, è evidente l'attività vulcanica: sorgenti d'acqua calda e fanghi termali ricchi di zolfo la fanno da protagonisti. E non è raro vedere i visitatori immersi nell'acqua calda, poi cospargersi dei fanghi del fondale e camminare intorno alle rive del lago, aspettando che il fango si secchi totalmente, prima di risciacquarlo. L'effetto sarà una pelle liscissima, mondata da tutte le impurità, e un animo sereno, purificato anch'esso dalla assoluta pace del luogo e dalla ritualità dei fanghi.

Lago di Venere


Qual è, dunque, l'anima di Pantelleria? 
Ognuno si sarà fatto la propria opinione leggendo questo post, dopotutto sono così tanti gli elementi caratteristici di Pantelleria che non sarà difficile averne una. Ma per me non ci sono dubbi, due elementi riassumono l'essenza di Pantelleria, sono la sua anima: il vento e la terra.
Il vento che attraversa costantemente l'isola, la accarezza d'estate e la percuote d'inverno, è sicuramente parte di essa e di quello che è.
E poi la terra: verde e nera, vulcanica, dura, così intensamente presente. Le pietre, i dammusi, le coltivazioni della vite, le manifestazioni vulcaniche, cosa sono, se non figlie della terra? O dell'uomo che ama questa terra? 
La meravigliosa terra dell'isola di Pantelleria.



giovedì 21 novembre 2013

Il fascino dantesco di Vulcano


L'isola di Vulcano

Siamo ancora una volta alle isole Eolie.
Vulcano è l'isola più vicina alle coste siciliane e la prima che incontrerete durante la navigazione, partendo da Milazzo. Naturalmente si può raggiungere anche dalle altre isole Eolie, così come ho fatto io.
Secondo la mitologia greca, proprio a Vulcano si trovavano le Fucine di Efesto, il dio del fuoco, chiamato dai romani Vulcano, da cui l'isola prende appunto il nome.
Uno dei vulcani da cui è formata l'isola è ancora attivo, e la sua presenza è evidentissima in tutto il territorio.

Varietà rocciosa lungo un tratto di costa
Un'esperienza che mi sento di consigliarvi è quella di affidarvi a un locale che vi porti in barca a compiere il periplo dell'isola. 
Dal mare potrete infatti apprezzare  l'interessante composizione geologica di Vulcano. 
Le rocce, spesso a picco sul mare, hanno dei colori che vanno dal rosa, al rosso, al giallo al nero e al verde, a seconda degli elementi di cui sono composte. Un paradiso per i geologi! Ma anche per gli occhi di qualunque visitatore.
Osserverete valli selvagge e isolate, immerse nel più assoluto silenzio.
Farete quasi sicuramente sosta a Cala Gelso, vicino al faro, in una spiaggia dalle sabbie nere, dove vi sentirete piacevolmente immersi in un bel clima vacanziero e isolati dal mondo al tempo stesso.
 
Acque cristalline di Vulcano
Inoltre potrete fare il bagno in punti altrimenti non accessibili. In alcuni tratti della costa, l'acqua è davvero invitante: limpida  e di uno splendido colore turchese.
Il fondale è ricco di fauna e flora marina, purtroppo non mancano le meduse, ma con un po' d'attenzione riuscirete a schivarle e a godervi un meraviglioso bagno.




Grotta
Anche la presenza delle grotte marine non è da sottovalutare. In alcune, conosciute solo dai pescatori del luogo, è addirittura possibile addentrarsi e, dopo aver nuotato nel buio più totale, farsi guidare da un puntino di luce che ne indica l'uscita dal versante opposto della montagna. Naturalmente non dovete mai avventurarvi da soli alla ricerca di queste grotte: è molto pericoloso senza una guida preparata!


A questo punto avrete sicuramente intuito la bellezza di Vulcano, forse starete addirittura pensando di includerla tra le mete preferite per le vostre prossime vacanze, ma ancora non siamo arrivati al cuore di questo post. 
L'anima di Vulcano è stata ancora solamente accennata.
Chi attracca direttamente sull'isola, senza compiere il periplo, al Porto Levante, se la trova subito davanti. Per questo "vi ho fatto fare il giro in barca": per prepararvi a poco a poco, anticipandovi la natura vulcanica del luogo. Perché, una volta attraccati, quello che vi troverete davanti sarà impressionante. 
A destra avrete Vulcanello, una penisola che prende il nome da un vulcano ormai spento, ora ricoperto da vegetazione e composto da rocce laviche, collegato da un istmo all'isola. A sinistra il vulcano vero e proprio, quello ancora in attività, verdeggiante e fumoso. Davanti a voi grosse rocce di zolfo dalle strane forme.
E proprio l'odore di zolfo vi darà il il benvenuto sull'isola.

Laghetto dei fanghi caldi




Fatti quattro passi, vedrete subito i famosi e suggestivi laghetti con i fanghi sulfurei di Vulcano. Questo è un luogo affascinante e infernale al tempo stesso: ci sono rocce rosa, nere e gialle; fumarole calde che escono dalla terra; odore pungente di zolfo; acque che ribollono; fanghi composti da così tanti elementi da possedere una straordinaria varietà cromatica. C'è una scultura in pietra lavica, circondata da zolle di zolfo, che raffigura un uomo curvo, dall'espressione sofferente. E, infine, c'è la gente che si immerge in queste acque.

Scultura in pietra lavica
Fanghi










Sembra di essere in un girone dantesco. L'atmosfera è irreale. Il paesaggio alieno. Si ha la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di inquietantemente rituale, eppure affascinante.
In realtà i fanghi sono terapeutici, noti per la cura di reumatismi, artrosi e malattie della pelle.
E credo che sia proprio qui, il senso profondo dell'isola.
Lo zolfo, le fumarole, l'acqua che ribolle: siamo di fronte alle più antiche manifestazioni della Terra, in pieno contatto con un vulcano attivo, con le viscere della terra. Proviamo timore, come se ci trovassimo di fronte a qualcosa di sacro, e  proviamo attrazione ancestrale.
E da tutti questi fenomeni, con cui l'isola manifesta la sua anima vulcanica, traiamo benefici.
Le persone si avviano al laghetto, verso quelle acque dall'odore tanto sgradevole, e appaiono come i dannati di Dante, in mezzo a fanghi dai colori infernali. 
Invece vengono purificati dal contatto con gli elementi primordiali della terra. 
Questo arido inferno di zolfo e calore, medica i loro malanni. Si trasforma in paradiso.
L'anima di Vulcano, è il vulcano stesso. E tutte le sue incredibili manifestazioni, generosamente sotto i nostri occhi. Accessibili. Curative. Spaventose e benefiche al tempo stesso.

Se volete continuare la visita dell'isola, accanto ai laghetti si trova la lunga spiaggia dalle sabbie nere, dove sono presenti fumarole sottomarine calde. Per questo motivo occorre entrare in acqua con le scarpine e usare molta cautela. 
Il paese è poco lontano da qui ed è un piccolo villaggio dall'atmosfera giovanile e bohémien, dove potrete passeggiare piacevolmente curiosando nei negozietti.
Però ricordate: il souvenir più duraturo sarà l'odore di zolfo! Dopo esservi immersi in queste acque, potete dire addio al vostro costume: per quanto lo possiate lavare, l'odore non andrà più via. 
Coraggio: in fondo è l'odore dell'isola che avete amato.
L'odore della sua anima vulcanica.