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lunedì 18 novembre 2013

L'anima delle isole


Le isole. Soprattutto quelle piccole. Difficili da raggiungere e irresistibilmente attraenti. Tutte diverse, ma accomunate da una sola, imprescindibile, condizione: essere isola. E come tale circondata dal mare, limitata, a sé stante. E con una personalità spiccatissima. 
L'isola, proprio in quanto tale, è diversa. E' una terra speciale, emersa, lambita dal mare. 
E' sempre un mondo. Ha sempre un'anima.
Dicevo, nel post precedente, che su un'isola ci si innamora dell'isolamento, del senso di libertà tanto più forte, quanto più, paradossalmente, ci si trova in un luogo ristretto. Perché l'umanissima dimensione ridotta di spazio, offre la possibilità di conoscere tutto il territorio, di farlo tuo. E allora hai confini certi entro i quali comporre il tuo mondo. Tutto è vicino, su un'isola, e non ci si può allontanare mai troppo e mai definitivamente da qualcosa, o da se stessi.
Sì: l’isola dà certezza. L’isola è sempre la tua isola. 
E l'hai scelta. Perché non ci si trova per caso su un'isola: non ci si può capitare, passare, sostare. E' sempre la destinazione di un viaggio, pensato. 
Cosa si cerca, dunque, su un'isola? Cosa ci spinge a salire su quel traghetto, spesso unica possibilità di arrivarvici?
La lontananza, prima di tutto. 
Scrive Lidia Ravera:  

"E' la lontananza, la chiave di questa ottusa felicità. 
Sono, finalmente "lontana". 
Da che cosa esattamente non lo so, ma mi pare che non abbia importanza. Dalla terraferma. Dalla città. Dalla realtà. 
Non lo so. Mi sento lontana e basta" ("A Stromboli", Laterza Editore, pagina 37).

In questa lontananza ci sentiamo liberi. Non più legati a schemi, ruoli, maschere che siamo soliti indossare. Con noi stessi, ma liberi da noi stessi. Liberi anche di sognare.
E nel distacco dalla quotidianità, recuperiamo le proporzioni delle cose. Lontani dal rumore, nella pace di un'isola, capiamo cosa è veramente importante. Quello che resta, lo è. Quello che ci segue anche lì. 
Si cerca, dunque, la verità. L'essenza delle cose, spogliate di complicazioni e fronzoli.
L'isola mette a nudo.
Sono ridotte all'osso anche le convenzioni sociali. Non ci si chiama col titolo di studio, raramente ci si dà del Lei, si salutano tutti indistintamente. 
E non si deve per forza "fare" qualcosa, si può semplicemente "essere". Passare il tempo a guardare il panorama, basta. Appaga.  
Si cerca, infatti, sicuramente anche la bellezza. Nel senso di pienezza emotiva che può regalare la meravigliosa natura, dominante, in un'isola. 
Un tramonto, una mareggiata, una spiaggia. Si sente se stessi attraverso la natura, ci si sente parte di essa.
Sull'isola è più facile essere umani. 
E si cerca l'assoluzione per non essere perfetti. 
Qui comandano le forze della natura, il mare soprattutto. L'uomo allora può rilassarsi: non può scegliere, non può affannarsi di cambiare le cose. Tutto va come deve e noi possiamo occuparci soltanto di essere, semplicemente, uomini. 
Perché:

"E' riposante accettare il limite" (Lidia Ravera, "A Stromboli", Editore Laterza, pagina 51).

E, accettando questo limite, i ritmi calano, il tempo rallenta e le giornate diventano infinite. Tutte uguali, rassicuranti; eppure diversissime, se per diversità si considera il colore del cielo al tramonto, le condizioni del mare, l'intensità del vento. 
Partecipare allo scorrere del tempo, su questo piccolo territorio, diventa allora il senso della giornata, e forse della vita stessa.
E dopo:  

"E' difficile andarsene perché il tempo trascorso sull'isola, poco o molto che sia, ti modifica.
Modifica le tue percezioni.
Ti abitui al piccolo, al misurabile, all'unico" (Lidia Ravera, "A Stromboli", Editore Laterza, pagina 57).

Ti abitui cioè al tuo universo a portata di mano, alla consapevolezza di quello che hai, alla tua vera natura. A essere qualcuno senza essere nessuno. Alla solitudine con te stesso. 
Ti abitui alla conoscenza rassicurante di un territorio che puoi osservare, ma non dominare. 
Alla certezza nell'incertezza. 
Ai colori, ai profumi, ai suoni. All'emotività. 
E ami l'isola. Profondamente.
O almeno, io l'ho amata, anzi: le ho amate.
Sicuramente il mio è un punto di vista da visitatrice. Non metto in discussione la difficoltà e i limiti del vivere tutto l'anno su una piccola isola. Non mi stupisce che alcuni nativi vogliano, o debbano, andarsene. 
Eppure ci sono stati anche quelli che su un'isola ci si sono trasferiti. Mollando lavoro, carriera, a volte anche la famiglia. In cerca di una vita più umana, più spirituale. In cerca di pace, di interiorità.
In cerca di un'alternativa.
E ci sono quelli, come me, che non ne hanno il coraggio e si limitano a concedersi brevi periodi, rigenerativi, da "isolani".
Ma, a qualunque di queste categorie apparteniate, qualunque sia la vostra scelta di vita, a un'isola, sappiatelo, non si rimane mai indifferenti.

Per fortuna.


venerdì 15 novembre 2013

Favignana: un'anima nella roccia e un'anima nel mare


Favignana è, per me, l’isola che non c’è.
Non perché sia la più incredibilmente bella né la più amena, ma solo perché è stata la prima: è stato con lei che mi sono innamorata del sogno dell’isolamento, del piccolo mondo a sé circondato dal mare, del senso di libertà tanto più forte, quanto più, paradossalmente, ci si trova in un territorio ristretto; è stato dalle sue coste che, con una curiosità senza rimpianti, ho guardato le luci – così distanti, così tante – della terraferma che poi, in realtà, era l’isola madre: la Sicilia.
E mi sono lasciata andare all’isola, pazza di felicità per l’umanissima dimensione ridotta di spazio, per il territorio da vivere palmo a palmo e fare mio – tutto –, per quei confini certi entro i quali comporre il mio mondo.
Sì: l’isola dà certezza. L’isola è sempre la tua isola.
Ed è difficile, tuttavia lo farò, indicare un luogo o l’altro, perché di Favignana ho amato più di ogni altra cosa girovagare senza meta, scoprire ogni scoglio, ogni scorcio; girare e rigirare lungo la strada principale che costeggia l’isola e la divide, psicologicamente, in due realtà ancora più piccole: la parte prima del tunnel e la parte dopo il tunnel che attraversa il Monte Santa Caterina e collega la Piana al Bosco. Queste sono le due pianure (rispettivamente ad est e ad ovest del monte) che formano le "ali" di Favignana. Si dice, infatti, che la forma dell'isola ricordi quella di una farfalla con le ali spiegate. 

Porticciolo di Favignana. Sullo sfondo il Monte Santa Caterina
A Favignana, la maggiore delle isole Egadi, di arriva facilmente partendo da Trapani, con l'aliscafo o il traghetto, o da Levanzo e Marettimo. 
Il paese che ricordo io, ormai sette anni fa, è un piccolo mondo fuori dal tempo, dai ritmi rilassati, con pochi locali e pochi negozi, raccolto e amabilmente spartano e informale. Dicono che sia cambiato.
Pare che ora l'isola sia di moda, e siano prolificati locali chic dagli ambienti raffinati e il turismo ricco. Me l'hanno raccontato, perciò non posso testimoniarlo con i miei occhi, ma, se fosse vero, sarei contenta di aver conosciuto "il prima" e non tornerei a Favignana per timore di una delusione.
Ad ogni modo, se è cambiato il tipo di turismo, i luoghi in sé per sé non possono esserlo. Dunque potrei citarvi la bellezza di Cala Rotonda o la trasparenza del mare a Cala Azzurra; la meravigliosa vista su Favignana e sulle altre Egadi che si gode dalle rovine del castello in cima al Monte Santa Caterina; l'ottimo cous cous che si mangia qui; ma il mio compito non è stendere una guida turistica dell'isola (ce ne sono già molte validissime), bensì parlarvi dell'anima di Favignana, anzi delle sue due anime: quella della roccia e quella del mare.
Entrambe legano a doppio filo la bellezza dell'isola e il duro lavoro degli isolani.
La roccia è stata per molti secoli la base dell'economia di Favignana. Si estraeva la  Calcarenite (più conosciuta con l'improprio nome di "tufo") dalle numerose cave disseminate sull'isola. I cavatori scavavano vere e proprie gallerie e caverne sotterranee, sostenute da pilastri di "tufo", che, intaccati, consentivano di arrampicarsi per procedere verso l'alto, con un lavoro durissimo ed estenuante. Oggi queste cave, dismesse, sono in parte visitabili; appaiono come cunicoli lunghi anche centinai di metri, che diventano subito stretti e bui e scoraggiano un ulteriore addentramento. 
Allora pare di rivedere quegli uomini che faticavano al buio, sotto la terra, arrampicati sulla roccia, e si capisce che l'anima dell'isola non può che essere anche la loro. Eppure questa amara considerazione non pregiudica la bellezza dei luoghi, bensì le dà un valore aggiunto.

Tratto di costa vicino al Bue Marino
Una delle più belle cave si trova al Bue Marino. Questa è una cala rocciosa con un mare strepitoso, color verde smeraldo, interrotto da zone di azzurro intenso. 
Qui non c'è spiaggia, per fare in bagno occorre tuffarsi in acqua, difatti è uno dei punti più apprezzati dagli amanti dello snorkeling, anche per la generosa presenza di pesci e stelle marine. 

Cava di calcarenite
Ma l'aspetto più affascinante del Bue Marino è, come accennavo, la presenza di spettacolari e ampie grotte di calcarenite, direttamente sul livello del mare. Queste presentano interessanti stratificazioni esterne e sono la cornice di un territorio comunque geologicamente molto interessante, in cui è facile constatare la presenza di conchiglie fossili molto ben conservate nella roccia, seppure si trovino proprio in una delle zone più frequentate dal turismo.
Conchiglia fossile










Un'altra imperdibile spiaggia, questa mista di roccia e sabbia, è Cala Rossa (pare che si chiami così in seguito al sangue versato nella battaglia tra romani e cartaginesi durante la prima Guerra Punica). E' uno spettacolo di colonne di "tufo" a strapiombo su un mare turchese. Anche qui le grotte sono piuttosto ampie, lunghe, divise in veri e propri cunicoli, e contribuiscono alla bellezza e alla particolarità di questa spiaggia, unica al mondo.

Cala Rossa
 
La luce che filtra dalle pareti di roccia, all'interno delle grotte, attribuisce un'aria mistica al luogo, e induce un profondo rispetto per i tanti che vi hanno lavorato. Se si chiudono gli occhi, sembra ancora di sentire il rumore degli strumenti artigianali, che scavano la roccia, e le voci di tutti quegli uomini dimenticati.
 
Interno delle grotte


Invece le cave all'aperto, oggi sono state trasformate in orti e giardini, chiamati Giardini Ipogei, dove coltivare la terra sfruttando la luce del sole, ma anche le mura delle cave che proteggono dal vento. E non è raro vedere crescervi fichi, mandorli, peri e aranci.


Ma Favignana non è solo questo: dicevamo che ha anche un'anima prettamente legata  al mare. Oltre alla bellezza delle sue coste, non possiamo dimenticare, infatti, la vita che girava intorno alla Tonnara Florio, una delle più grandi del Mediterraneo, oggi non più in uso ma visitabile a pagamento. Qui venivano trattati e conservati i grandi tonni rossi catturati durante la tradizionale, ma cruenta, tecnica di pesca della mattanza, comandata dal Rais, in auge fino al 2007. 
Oggi tutto questo non c'è più, ma ciò non toglie che gli isolani si sentano ancora legati alla tradizione della pesca del tonno. Molte famiglie, di generazione in generazione, hanno lavorato duramente nella tonnara, e sono ancora vivi i ricordi di chi ci ha lavorato personalmente o di chi ha un parente prossimo che l'ha fatto. I loro racconti fanno ormai parte della collettività, della cultura e della storia dell'isola.
E i prodotti ittici tipici sono ancora essenzialmente quelli derivati dalla lavorazione del tonno. Gustosissima la bottarga, le uova della femmina di tonno, con cui si condiscono spaghetti dal sapore deciso.

La Tonnara Florio



E, infine, Favignana è sogno e poesia. 
Provate un suggestivo giro notturno dell'isola in macchina: parrà che cielo e terra si tocchino, l'unica luce sarà quella della luna e gli odori della campagna, attraverso i finestrini aperti, giungeranno ai vostri sensi. E vi parrà di non essere soli, che dalla terra e dal mare salgano ombre a tenervi compagnia, e che l'isola sia viva, pregna di storia, e respiri insieme a voi.