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venerdì 15 febbraio 2019

Il fascino spettrale della Caldara di Manziana


Ricompreso all'interno del Parco Naturale di Bracciano - Martignano, della regione Lazio, il suggestivo Monumento Naturale della Caldara di Manziana si estende per circa 90 ettari nel territorio di Manziana - appunto -, in provincia di Roma. L'area protetta, istituita nel 1988, comprende diversi ambienti di elevatissimo interesse naturalistico e geologico. Vi si arriva a piedi, seguendo il percorso tracciato all'interno del bosco di Macchia Grande, oppure direttamente con la macchina, percorrendo Via della Caldara e parcheggiando a pochi metri dall'area protetta.
Comunque decidiate di giungervi, siate pronti al vero viaggio: quello interiore! Questo luogo vi trasformerà dentro, se non altro per il tempo che vi rimarrete, incantati dal fascino spettrale della Caldara. Vi saprà trattenere all'interno del suo cratere circolare come se foste entrati in un cerchio magico - e forse è esattamente così. Un "altro" dall'esterno capace di imprigionare e trascinare rapidissimamente dentro il suo universo. A parte. 

Panorama della Caldara di Manziana.

Già camminando verso la Caldara, guidati dalla segnaletica e dall'odore solfureo, ma anche e soprattutto da un sesto senso che inesorabilmente vi attira nella direzione giusta, noterete le prime avvisaglie di un ambiente particolarissimo. Diverso. Saprete subito che qualcosa sta mutando nel paesaggio, qualcosa di anomalo che tratteggia i confini tra la normalità e l'eccezionalità. Il prato, che non è ancora torbiera, appare già piegato in ciuffi che si incrociano a destra e a sinistra, alternandosi in un ricamo naturale destinato ad allertare i nostri sensi non abituati al disegno vegetale di trama e ordito. Immaginiamo il divertimento di un vento burlone e inventato. Sospettiamo che invece non sia opera sua. Crediamo nel soprannaturale per più di un istante. E andiamo avanti.

Bosco di betulle bianche.
L'impatto visivo, entrando nel vivo dell'area protetta, è tutto sul bianco dei tronchi del bosco di betulle che circonda la caldara vera e propria. Le betulle bianche a queste latitudini e con queste temperature, non dovrebbero crescere. Sono alberi tipici di climi più freddi. Qui una assoluta eccezionalità. Un sovvertire le regole che, in questo luogo, sta diventando l'unica regola. Tutto è diverso.  Qui. Tutto è eccezione.
E così, il bosco naturale del tutto innaturale in questo clima, è il più esterno degli ambienti di questo luogo. Quello che circonda e protegge, quasi nasconde la Caldara. Le betulle appaiono come una visione. Sentinelle che vegliano sui segreti del luogo delimitando il perimetro: il confine tra esterno ed interno, qui nettissimo. Fuori, vige la normalità; dentro, tutto cambia e si seguono regole differenti. Le "non regole" che  tipizzano  questo luogo e lo differenziano.
 
Bosco di betulle bianche.
 
A guardarle, le betulle, così bianche e con i rami spogli e spezzati, non possono che ricordare fantasmi. Spettri guardiani sulla soglia dell'inferno. Vinti anch'essi. E in effetti questa zona era consacrata al dio dell'oltretomba Manth, probabilmente proprio a causa dell'ambiente spettrale e dei fenomeni vulcanici a cui l'area è strettamente legata e che oggi non sono che i residui del vulcanismo sabatino di un tempo. 
 
Particolare di una polla sulfurea.
All'interno dell'ambiente paludoso della Caldara, sono facilmente osservabili fenomeni vulcanici: polle d'acqua, odore sulfureo, geyser naturali dovuti a sorgenti con emissione di anidride carbonica. Il fango della palude si colora di giallo e di rosso a traccia dei minerali che la terra sprigiona.
 
 
Palude con fenomeni vulcanici.

Sorgenti sulfuree nella palude.

Camminare nella palude, con le suole delle scarpe che sprofondano in una terra vivissima, che si mescola e rimescola e in questo eterno movimento attira dentro di sé, è come essere trascinati nel mondo degli inferi. Le narici si nutrono di un'aria densa di minerali, che odora di sottosuolo. La vista spazia sul paesaggio spettrale, chiuso in sé stesso e non abitato da anime umane. Le sorgenti che sgorgano regalando alla vista un po' del mondo sotterraneo, potrebbero ricordare benissimo il rumore dello Stige. Siamo all'inferno. E scopriamo che ci stiamo anche bene. La sensazione è quella di essere avvolti dal luogo, all'interno del suo cerchio magico che ci incastra e nello stesso tempo ci protegge: finché vi resteremo saremo coperti dalla magia spettrale di questo luogo che ci attrae fascinoso di vita e di morte al tempo stesso. Legato così indissolubilmente al sottosuolo, eppure luogo di vita, di acqua e di minerali. Di alberi così come di graminacee che decomponendosi danno vita al terzo degli ambienti della Caldara: la torbiera.
E così, dinanzi al bosco di betulle bianche, alla torbiera e infine alla palude ci troviamo immersi e completamente catalizzati da un paesaggio inusuale; fatto come a matriosca, dove questi tre ambienti sono contenuti uno dentro l'altro. E' un paesaggio che ci penetra dentro con la sua anima affascinante e inquieta. Tenebrosa e ammaliante. Un paesaggio che ci risucchia, che ci corteggia spaventosamente e ci invade la nostra, di anima.
 
Gli ambienti della Caldara: bosco, torbiera e palude.
 
Torbiera e palude della Caldara di Manziana.
 
La palude della Caldara di Manziana.
 
E nel silenzio tangibile di questo luogo, interrotto solo dal gorgogliare delle acque, è facile individuare presenze fatte poco di più che d'aria. Nel miscuglio tra palude e torba, tra i rami contorti di betulle fantasma che qui non dovrebbero essere, ecco salire dei vapori riflessi che assomigliano a qualcos'altro. Ci giriamo sospetti indovinando presenze. Soli e mai soli in questo luogo la cui anima è fatta di contrasti, di inquietudini, di fascino e di mistero. Un'anima bianca come i tronchi delle betulle, un'anima nera come la sua stessa palude. Un luogo unico, dove suolo e sottosuolo si intrecciano in una lotta che assomiglia a quella tra la vita e la morte, tra il reale e l'irreale e che non è nessuno dei due. 
La Caldara di Manziana è "Altro". Semplicemente.
 





mercoledì 22 novembre 2017

Tra favola e inferno: un autunno alla Riserva Naturale Monterano


Siamo nel territorio della Tuscia Romana, tra i Monti della Tolfa e i Monti Sabatini. E' qui che è stata istituita, nel 1988, la Riserva Naturale Monterano, a tutela di uno degli angoli più integri e suggestivi del Lazio. Si tratta di un ambiente ampio e variegato, di altissimo interesse naturalistico, sia a livello di flora che di fauna. Ed è qui, tra boschi, ruscelli, cascatelle e felci che l'autunno diventa magico. Forse è la stagione migliore per visitare la Riserva che, tinta da quelle generose pennellate di giallo, marrone e arancio che solo Madre Natura sa distribuire così bene, assume un aspetto da fiaba. Ma non solo.
Molti sono gli itinerari e i percorsi, ben segnalati e ben mantenuti, possibili per visitare la Riserva. Quello di cui vi racconterò oggi è l'inizio del percorso "rosso", che parte dal parcheggio della Diosilla, poco dopo la cittadina di Canale Monterano, a nord del lago di Bracciano, tra Roma e Viterbo. E' un percorso che inizia in discesa, con delle ripide e scivolose scalette di pietra, che vi conducono rapidamente nel cuore della Riserva. Scendere sotto il livello della strada è un po' come entrare dentro la Terra, in un viaggio alla scoperta di un mondo sotterraneo. Subito ci avvolge l'umido di una giornata di un novembre inoltrato; il rumore dell'acqua ci sprona a superare l'ostacolo degli alti gradini ricoperti di muschio; mano mano che scendiamo la luce diminuisce, trattenuta dal bosco fitto che ci sovrasta e chiude, geloso, la Riserva. Potrebbe somigliare ad una discesa agli inferi, anche per l'odore di zolfo che accompagna le manifestazioni vulcaniche tipiche di questa zona, visibilmente presenti nella schiuma naturale che costella le rive del torrente Biscione. Tuttavia è proprio questo torrentello, che scorre allegro e sottile, a strapparci dalla mente la titubanza iniziale e l'idea degli inferi, e trascinare rapidamente il nostro immaginario in uno scenario da favola. 

Torrente Biscione.
 
Scorre così: delicatamente, in un letto poco definito, quasi a non voler disturbare le pietre e il tappeto naturale di allegre foglie autunnali che ricoprono completamente la terra. Timido tra la boscaglia fitta e le radici di qualche albero. 
Come non immaginarsi qualche fata dei boschi, pettinarsi i lunghi capelli biondi seduta con grazia sulla riva del torrente, poco prima di sparire nel bosco?
Ponte di legno sul torrente Biscione.
Come non immaginarsela affacciata a questo ponticello di legno, sopra il torrente, intenta a contemplare il bosco? Cosa che facciamo anche noi, senza fretta, perdendoci definitivamente in questo mondo "sotterraneo", intimo, fatto di umido, di bosco, di tronchi ricoperti dal muschio, di felci, di rami e di foglie. Fatto di autunno.

Fatto di pensiero, di meditazione, ma anche di voglia di andare avanti nel percorso, presi dall'entusiasmo,
Bosco autunnale nella Riserva Monterano.
di scoprire dove siano nascoste le fate - perché in un luogo così, non ci sfiora neppure per un secondo l'idea che non possano esistere. Mentre l'umido rapisce le nostre narici, mentre le meraviglie d'autunno riempiono la vista e ci sorprendono per l'armoniosa bellezza, le immaginiamo - le fate - sedute su uno di questi tronchi, nel bosco. O a giocare a nascondino. 

Mentre seguiamo il corso del Torrente, alla nostra destra, il percorso continua e il bosco si fa più ampio, così come le radure, sempre più suggestive, disseminate di felci e da un tappeto sempre più grande e continuo di foglie gialle e dalle varie sfumature di marrone. Il bosco di tutte le favole della nostra infanzia non può che essere questo. Perfetto com'è. Con la sua bellezza attraente, e qualche ramo divelto che offre il giusto pizzico di inquietudine che, in ogni fiaba che si rispetti, caratterizza il bosco. Così meraviglioso eppure pieno di insidie: regno di fate e di lupi. Di sogni e di segreti. Di elfi e di nani. Di luce e di buio.

Bosco a Monterano.
 
Bosco a Monterano.
 
E il bosco che ci attrae fin da bambini. Che ci impaurisce, ma al tempo stesso ci invita  inesorabilmente a camminare, sentendo soltanto il rumore dei nostri passi che calpestano le foglie affondando nella terra umida, e il rumore delle foglie che, invece, cadono dagli alberi al momento, appena strappate alla vita, ma non per questo meno suggestive, mentre si poggiano lievi al terreno.
E camminando notiamo funghi e ciclamini e felci e muschi e agrifogli. 
E poi, improvvisamente, ci ritroviamo fuori dal bosco, illuminati finalmente dalla luce del sole che ora ci scalda, ma ancora una volta ci sembra di essere, ora in modo diverso, dentro l'inferno. Il paesaggio si fa scarno e lunare. Un forte odore di zolfo ci invade. Il ribollire dell'acqua del torrente e le incrostazioni gialle sulle rocce, ci indicano di essere arrivati alla solfatara che descriveva l'itinerario. Qui, davanti ai nostri occhi, si manifesta la potenza del mondo sotterraneo fatto di fuoco. Nel nostro immaginario, ora le fate lasciano il posto alla suggestione dell'inferno dantesco e dei suoi fiumi.

 
Polla sulfurea.
Torrente dei pressi della solfatara.

Continuando il sentiero segnalato, arriveremmo alle rovine della antica Città di Monterano. Ma le giornate sono corte e ormai sta calando il sole. Rimandiamo la visita in primavera, e, giusto per tornare un po' all'anima fiabesca del luogo, che si alterna a quella più oscura, seguiamo invece per qualche metro il percorso del Biscione, sulla sinistra. Superata la zona sulfurea, il corso del Torrente si fa più pieno di acqua e nuovamente suggestivo. Questa volta lo possiamo osservare dall'alto, dal semplice sentiero rettilineo che lo sovrasta, tra alberi di castagni e boscaglia mista. Basta affacciarsi un po', per vedere, giù, il corso d'acqua. Ancora una volta incorniciato da terra ricoperta fittamente da foglie giallissime. Si forma una luce magica, incredibilmente blu, tra i rami e il torrente. Una luce irreale, da sogno. Che avvolge tutto, esalta l'anima fiabesca di questo luogo e pare rivelare nel suo massimo splendore anche l'essenza dell'autunno stesso. 

Torrente Biscione tra il bosco.
 
Godiamocelo, questo autunno qui. Il resto del percorso ci aspetta con la primavera... la Riserva Monterano non ha assolutamente finito di sorprenderci. A presto...





giovedì 21 novembre 2013

Il fascino dantesco di Vulcano


L'isola di Vulcano

Siamo ancora una volta alle isole Eolie.
Vulcano è l'isola più vicina alle coste siciliane e la prima che incontrerete durante la navigazione, partendo da Milazzo. Naturalmente si può raggiungere anche dalle altre isole Eolie, così come ho fatto io.
Secondo la mitologia greca, proprio a Vulcano si trovavano le Fucine di Efesto, il dio del fuoco, chiamato dai romani Vulcano, da cui l'isola prende appunto il nome.
Uno dei vulcani da cui è formata l'isola è ancora attivo, e la sua presenza è evidentissima in tutto il territorio.

Varietà rocciosa lungo un tratto di costa
Un'esperienza che mi sento di consigliarvi è quella di affidarvi a un locale che vi porti in barca a compiere il periplo dell'isola. 
Dal mare potrete infatti apprezzare  l'interessante composizione geologica di Vulcano. 
Le rocce, spesso a picco sul mare, hanno dei colori che vanno dal rosa, al rosso, al giallo al nero e al verde, a seconda degli elementi di cui sono composte. Un paradiso per i geologi! Ma anche per gli occhi di qualunque visitatore.
Osserverete valli selvagge e isolate, immerse nel più assoluto silenzio.
Farete quasi sicuramente sosta a Cala Gelso, vicino al faro, in una spiaggia dalle sabbie nere, dove vi sentirete piacevolmente immersi in un bel clima vacanziero e isolati dal mondo al tempo stesso.
 
Acque cristalline di Vulcano
Inoltre potrete fare il bagno in punti altrimenti non accessibili. In alcuni tratti della costa, l'acqua è davvero invitante: limpida  e di uno splendido colore turchese.
Il fondale è ricco di fauna e flora marina, purtroppo non mancano le meduse, ma con un po' d'attenzione riuscirete a schivarle e a godervi un meraviglioso bagno.




Grotta
Anche la presenza delle grotte marine non è da sottovalutare. In alcune, conosciute solo dai pescatori del luogo, è addirittura possibile addentrarsi e, dopo aver nuotato nel buio più totale, farsi guidare da un puntino di luce che ne indica l'uscita dal versante opposto della montagna. Naturalmente non dovete mai avventurarvi da soli alla ricerca di queste grotte: è molto pericoloso senza una guida preparata!


A questo punto avrete sicuramente intuito la bellezza di Vulcano, forse starete addirittura pensando di includerla tra le mete preferite per le vostre prossime vacanze, ma ancora non siamo arrivati al cuore di questo post. 
L'anima di Vulcano è stata ancora solamente accennata.
Chi attracca direttamente sull'isola, senza compiere il periplo, al Porto Levante, se la trova subito davanti. Per questo "vi ho fatto fare il giro in barca": per prepararvi a poco a poco, anticipandovi la natura vulcanica del luogo. Perché, una volta attraccati, quello che vi troverete davanti sarà impressionante. 
A destra avrete Vulcanello, una penisola che prende il nome da un vulcano ormai spento, ora ricoperto da vegetazione e composto da rocce laviche, collegato da un istmo all'isola. A sinistra il vulcano vero e proprio, quello ancora in attività, verdeggiante e fumoso. Davanti a voi grosse rocce di zolfo dalle strane forme.
E proprio l'odore di zolfo vi darà il il benvenuto sull'isola.

Laghetto dei fanghi caldi




Fatti quattro passi, vedrete subito i famosi e suggestivi laghetti con i fanghi sulfurei di Vulcano. Questo è un luogo affascinante e infernale al tempo stesso: ci sono rocce rosa, nere e gialle; fumarole calde che escono dalla terra; odore pungente di zolfo; acque che ribollono; fanghi composti da così tanti elementi da possedere una straordinaria varietà cromatica. C'è una scultura in pietra lavica, circondata da zolle di zolfo, che raffigura un uomo curvo, dall'espressione sofferente. E, infine, c'è la gente che si immerge in queste acque.

Scultura in pietra lavica
Fanghi










Sembra di essere in un girone dantesco. L'atmosfera è irreale. Il paesaggio alieno. Si ha la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di inquietantemente rituale, eppure affascinante.
In realtà i fanghi sono terapeutici, noti per la cura di reumatismi, artrosi e malattie della pelle.
E credo che sia proprio qui, il senso profondo dell'isola.
Lo zolfo, le fumarole, l'acqua che ribolle: siamo di fronte alle più antiche manifestazioni della Terra, in pieno contatto con un vulcano attivo, con le viscere della terra. Proviamo timore, come se ci trovassimo di fronte a qualcosa di sacro, e  proviamo attrazione ancestrale.
E da tutti questi fenomeni, con cui l'isola manifesta la sua anima vulcanica, traiamo benefici.
Le persone si avviano al laghetto, verso quelle acque dall'odore tanto sgradevole, e appaiono come i dannati di Dante, in mezzo a fanghi dai colori infernali. 
Invece vengono purificati dal contatto con gli elementi primordiali della terra. 
Questo arido inferno di zolfo e calore, medica i loro malanni. Si trasforma in paradiso.
L'anima di Vulcano, è il vulcano stesso. E tutte le sue incredibili manifestazioni, generosamente sotto i nostri occhi. Accessibili. Curative. Spaventose e benefiche al tempo stesso.

Se volete continuare la visita dell'isola, accanto ai laghetti si trova la lunga spiaggia dalle sabbie nere, dove sono presenti fumarole sottomarine calde. Per questo motivo occorre entrare in acqua con le scarpine e usare molta cautela. 
Il paese è poco lontano da qui ed è un piccolo villaggio dall'atmosfera giovanile e bohémien, dove potrete passeggiare piacevolmente curiosando nei negozietti.
Però ricordate: il souvenir più duraturo sarà l'odore di zolfo! Dopo esservi immersi in queste acque, potete dire addio al vostro costume: per quanto lo possiate lavare, l'odore non andrà più via. 
Coraggio: in fondo è l'odore dell'isola che avete amato.
L'odore della sua anima vulcanica.