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mercoledì 22 novembre 2017

Tra favola e inferno: un autunno alla Riserva Naturale Monterano


Siamo nel territorio della Tuscia Romana, tra i Monti della Tolfa e i Monti Sabatini. E' qui che è stata istituita, nel 1988, la Riserva Naturale Monterano, a tutela di uno degli angoli più integri e suggestivi del Lazio. Si tratta di un ambiente ampio e variegato, di altissimo interesse naturalistico, sia a livello di flora che di fauna. Ed è qui, tra boschi, ruscelli, cascatelle e felci che l'autunno diventa magico. Forse è la stagione migliore per visitare la Riserva che, tinta da quelle generose pennellate di giallo, marrone e arancio che solo Madre Natura sa distribuire così bene, assume un aspetto da fiaba. Ma non solo.
Molti sono gli itinerari e i percorsi, ben segnalati e ben mantenuti, possibili per visitare la Riserva. Quello di cui vi racconterò oggi è l'inizio del percorso "rosso", che parte dal parcheggio della Diosilla, poco dopo la cittadina di Canale Monterano, a nord del lago di Bracciano, tra Roma e Viterbo. E' un percorso che inizia in discesa, con delle ripide e scivolose scalette di pietra, che vi conducono rapidamente nel cuore della Riserva. Scendere sotto il livello della strada è un po' come entrare dentro la Terra, in un viaggio alla scoperta di un mondo sotterraneo. Subito ci avvolge l'umido di una giornata di un novembre inoltrato; il rumore dell'acqua ci sprona a superare l'ostacolo degli alti gradini ricoperti di muschio; mano mano che scendiamo la luce diminuisce, trattenuta dal bosco fitto che ci sovrasta e chiude, geloso, la Riserva. Potrebbe somigliare ad una discesa agli inferi, anche per l'odore di zolfo che accompagna le manifestazioni vulcaniche tipiche di questa zona, visibilmente presenti nella schiuma naturale che costella le rive del torrente Biscione. Tuttavia è proprio questo torrentello, che scorre allegro e sottile, a strapparci dalla mente la titubanza iniziale e l'idea degli inferi, e trascinare rapidamente il nostro immaginario in uno scenario da favola. 

Torrente Biscione.
 
Scorre così: delicatamente, in un letto poco definito, quasi a non voler disturbare le pietre e il tappeto naturale di allegre foglie autunnali che ricoprono completamente la terra. Timido tra la boscaglia fitta e le radici di qualche albero. 
Come non immaginarsi qualche fata dei boschi, pettinarsi i lunghi capelli biondi seduta con grazia sulla riva del torrente, poco prima di sparire nel bosco?
Ponte di legno sul torrente Biscione.
Come non immaginarsela affacciata a questo ponticello di legno, sopra il torrente, intenta a contemplare il bosco? Cosa che facciamo anche noi, senza fretta, perdendoci definitivamente in questo mondo "sotterraneo", intimo, fatto di umido, di bosco, di tronchi ricoperti dal muschio, di felci, di rami e di foglie. Fatto di autunno.

Fatto di pensiero, di meditazione, ma anche di voglia di andare avanti nel percorso, presi dall'entusiasmo,
Bosco autunnale nella Riserva Monterano.
di scoprire dove siano nascoste le fate - perché in un luogo così, non ci sfiora neppure per un secondo l'idea che non possano esistere. Mentre l'umido rapisce le nostre narici, mentre le meraviglie d'autunno riempiono la vista e ci sorprendono per l'armoniosa bellezza, le immaginiamo - le fate - sedute su uno di questi tronchi, nel bosco. O a giocare a nascondino. 

Mentre seguiamo il corso del Torrente, alla nostra destra, il percorso continua e il bosco si fa più ampio, così come le radure, sempre più suggestive, disseminate di felci e da un tappeto sempre più grande e continuo di foglie gialle e dalle varie sfumature di marrone. Il bosco di tutte le favole della nostra infanzia non può che essere questo. Perfetto com'è. Con la sua bellezza attraente, e qualche ramo divelto che offre il giusto pizzico di inquietudine che, in ogni fiaba che si rispetti, caratterizza il bosco. Così meraviglioso eppure pieno di insidie: regno di fate e di lupi. Di sogni e di segreti. Di elfi e di nani. Di luce e di buio.

Bosco a Monterano.
 
Bosco a Monterano.
 
E il bosco che ci attrae fin da bambini. Che ci impaurisce, ma al tempo stesso ci invita  inesorabilmente a camminare, sentendo soltanto il rumore dei nostri passi che calpestano le foglie affondando nella terra umida, e il rumore delle foglie che, invece, cadono dagli alberi al momento, appena strappate alla vita, ma non per questo meno suggestive, mentre si poggiano lievi al terreno.
E camminando notiamo funghi e ciclamini e felci e muschi e agrifogli. 
E poi, improvvisamente, ci ritroviamo fuori dal bosco, illuminati finalmente dalla luce del sole che ora ci scalda, ma ancora una volta ci sembra di essere, ora in modo diverso, dentro l'inferno. Il paesaggio si fa scarno e lunare. Un forte odore di zolfo ci invade. Il ribollire dell'acqua del torrente e le incrostazioni gialle sulle rocce, ci indicano di essere arrivati alla solfatara che descriveva l'itinerario. Qui, davanti ai nostri occhi, si manifesta la potenza del mondo sotterraneo fatto di fuoco. Nel nostro immaginario, ora le fate lasciano il posto alla suggestione dell'inferno dantesco e dei suoi fiumi.

 
Polla sulfurea.
Torrente dei pressi della solfatara.

Continuando il sentiero segnalato, arriveremmo alle rovine della antica Città di Monterano. Ma le giornate sono corte e ormai sta calando il sole. Rimandiamo la visita in primavera, e, giusto per tornare un po' all'anima fiabesca del luogo, che si alterna a quella più oscura, seguiamo invece per qualche metro il percorso del Biscione, sulla sinistra. Superata la zona sulfurea, il corso del Torrente si fa più pieno di acqua e nuovamente suggestivo. Questa volta lo possiamo osservare dall'alto, dal semplice sentiero rettilineo che lo sovrasta, tra alberi di castagni e boscaglia mista. Basta affacciarsi un po', per vedere, giù, il corso d'acqua. Ancora una volta incorniciato da terra ricoperta fittamente da foglie giallissime. Si forma una luce magica, incredibilmente blu, tra i rami e il torrente. Una luce irreale, da sogno. Che avvolge tutto, esalta l'anima fiabesca di questo luogo e pare rivelare nel suo massimo splendore anche l'essenza dell'autunno stesso. 

Torrente Biscione tra il bosco.
 
Godiamocelo, questo autunno qui. Il resto del percorso ci aspetta con la primavera... la Riserva Monterano non ha assolutamente finito di sorprenderci. A presto...





mercoledì 27 novembre 2013

Pantelleria: vento e terra


Sicilia. Quasi Africa. Pantelleria.
Per raggiungerla mi affido, ancora una volta, al traghetto della Siremar. Precisamente la tratta notturna, sicché una volta salpati, a largo, non ci sono più luci: il cielo è nero, il mare è un poco increspato, nero anch'esso. E si naviga così, sospesi nel buio. Tutta la notte.
Poi, all'alba, eccola. Finalmente. La sagoma dell'isola.
Il rosso inizia a tingere il cielo del nuovo giorno. Venere brilla alto nel cielo. E l'isola si rivela. 
E' grande, nera, montuosa. Promette avventure. 

Il nome Pantelleria deriva dall'arabo "Ben el Riah" ossia "figlia del vento" e mai nome fu più appropriato: un piacevole vento marino corre su tutta la superficie dell'isola, e passa leggero e fresco sul collo, come uno scialle di seta, dandomi il benvenuto. Accompagnandomi a scoprire le meraviglie di quest'isola. 
La prima, è che ci si sente liberi. Come il vento.
E con questa predisposizione d'animo, esploro.

E' sempre emozionante il primo giorno su un'isola, il primo contatto con il piccolo mondo che essa racchiude. E il mondo di Pantelleria è una sorpresa continua.
Quest'isola è aspra, selvaggia, misteriosa. O la si ama o la si odia. Non ho mai trovato nessuno che ne avesse un'opinione intermedia. Per me, è decisamente amore, un colpo di fulmine per la precisione. 
Una premessa però ci vuole: dimenticatevi la sabbia. Non c'è. Da nessuna parte di mare (solo al Lago di Venere). Se non amate le rocce e se non sapete nuotare (l'acqua è subito profonda), non è l'isola per voi.
Per tutti gli altri, seguitemi. 

L'Arco dell'Elefante
Il luogo più famoso di Pantelleria è L'Elefante: un promontorio adagiato sul mare, che termina in acqua con un'enorme pietra ad arco. Dalla forma pare proprio un pachiderma pietrificato, intento con la proboscide a bere l'acqua del mare. Chi resisterà dal tuffarsi subito in acqua per nuotare sotto l'arco, noterà la straordinaria varietà di roccia vulcanica che compone questa baia. E la presenza di intessantissimo legno pietrificato, che ho trovato qui e mai da nessun'altra parte.   

E' facile notare come, in tutta l'isola, le rocce, formate dalla lava raffreddata velocemente a contatto con l'aria, abbiano forme strane che il nostro cervello associa a facce umane o ad animali o creature mostruose, quasi che veramente siano gli stessi abitanti del passato, e le loro paure, ad essere stati pietrificati insieme alle colate laviche.

Balata dei Turchi
Dal punto di vista geologico, un altro imperdibile sito è la Balata dei Turchi: una cala vulcanica, di zolfo, di ossidiana lucidissima e lava, con grotte di sabbia fossilizzata. Oltre a fornirci una chiara indicazione sull'antica  dominazione dell'isola, la Balata dei Turchi offre un mare pulito, con il fondale che presenta grandi pietroni rocciosi, sui quali è abbondante la crescita di vegetazione marina.
Ovviamente, anche qui, non troverete sabbia. Bisogna adattarsi sulla roccia e stare molto attenti nell'entrare in acqua, perché la roccia è piuttosto appuntita e scivolosa.
In compenso sarete ripagati da un fondale ricco di pesci e, soprattutto, caratterizzato dalle stesse rocce vulcaniche che compongono la baia.

Laghetto delle Ondine
Non posso fare a meno di parlavi anche del Laghetto delle Ondine, così chiamato perché si forma tra le rocce, quando c'è mare grosso, dal riflusso delle acque.
 E' il luogo perfetto quando vorrete godervi un bel bagno e il mare sarà troppo mosso per farlo altrove. Qui potrete esplorare il fondale senza i pericoli del mare aperto.
Ma, se invece il mare lo consente e sapete nuotare bene, è molto bello il bagno oltre il Laghetto: uno strapiombo sommerso, profondissimo e illuminato solo in parte dai raggi trasversali del sole. 




Ma Pantelleria non è solo mare. Ha un entroterra verdissimo, dominato dalla Montagna Grande, che riserva interessanti sorprese, forse più che la costa.

Uva di Pantelleria
Prendendo la strada interna, che taglia per il centro dell'isola, appare infatti, a sorpresa, una lunga valle coltivata, attraversata dalla strada rettilinea. Siamo nel Mueggen, la zona più fertile di Pantelleria. 
Un ulteriore mondo a parte, nel mondo dell'isola. Al centro dell'isola.
La zona è coltivata soprattutto a vigneti. 
L'uva dorata, cresciuta al sole e con la buona terra lavica, arriva in grappoli generosi fino al margine della strada carrabile. 
E' l'uva con cui si farà il Passito di Pantelleria, il Moscato e lo Zibibbo. Ed è l'uva più buona che abbia mai assaggiato in vita mia.


Dammusi
Ma, oltre alla campagna, c'è anche una terra ricca di storia.
I Dammusi, innanzitutto. 
Sono le case tradizionali dell'isola, fatte in pietra lavica murata a secco, e oggi in parte recuperati e trasformati in vere e proprie abitazioni moderne, coperte da una cupola usata per raccogliere l'acqua piovana da convogliare nelle cisterne. 

Poi i monumenti funerari chiamati Sesi: costruzioni preistoriche con pietre a secco disposte a cupola, divisi  all'interno in celle funerarie. 
E la stele funeraria preistorica, in contrada Rekale.

Stele funeraria
Sese











Giardino arabo
Notevoli i giardini panteschi, fatti anch'essi con la pietra lavica murata a secco, con la duplice funzione: proteggere le piante dal vento e trattenere l'umidità necessaria per la coltivazione di aranci e limoni. Di chiara ispirazione araba, i giardini non sono i soli segni di questa antica dominazione: le contrade conservano, infatti, i nomi arabi: Bukkuram, Khamma, Rekale, Scauri, Tracino.


Siete sorpresi dalle tante peculiarità di Pantelleria?
Bé, non è ancora tutto. 
Non si può parlare dell'isola trascurando l'attività vulcanica che si cela sotto la sua terra. 
Sorgenti d'acqua calda sottomarine sono presenti sia a Nikà, sia a cala Gadir. 
Le fumarole escono da più punti della montagna. 
La Grotta di Benikulà (detto anche Bagno Asciutto) è una spaccatura nella roccia che forma una piccola caverna. Qui la roccia emana un caldissimo vapore naturale. Ci vuole un po' di coraggio a entrarvi, ma poi ci si abitua al vapore, alla roccia calda, all'odore forte, e si inizia a respirare profondamente, insieme alla terra, per purificare le vie respiratorie e la pelle. 
Sembra si scendere al centro della Terra. Si esce rigenerati, con la sensazione di non aver mai respirato veramente, prima.
La Grotta di Sàtaria ha, invece, sorgenti d'acqua termale naturale, calda, raccolta in vasche di pietra usate per la cura dei reumatismi.

Grotte di Sàtaria
  

E infine l'ultimo gioiello di Pantelleria: come una pietra incastonata tra le montagne, appare il Lago di Venere.
Siamo in una valle, nei resti di una caldera vulcanica. La pace è totale, non arriva nessun rumore se non lo sciacquettio dell'acqua e il cinguettio degli uccellini. Volano intorno libellule coloratissime. L'acqua è calda, calmissima e densa. La densità dell'acqua tiene a galla senza fatica. E rilassa.
Nella sponda sud del lago, è evidente l'attività vulcanica: sorgenti d'acqua calda e fanghi termali ricchi di zolfo la fanno da protagonisti. E non è raro vedere i visitatori immersi nell'acqua calda, poi cospargersi dei fanghi del fondale e camminare intorno alle rive del lago, aspettando che il fango si secchi totalmente, prima di risciacquarlo. L'effetto sarà una pelle liscissima, mondata da tutte le impurità, e un animo sereno, purificato anch'esso dalla assoluta pace del luogo e dalla ritualità dei fanghi.

Lago di Venere


Qual è, dunque, l'anima di Pantelleria? 
Ognuno si sarà fatto la propria opinione leggendo questo post, dopotutto sono così tanti gli elementi caratteristici di Pantelleria che non sarà difficile averne una. Ma per me non ci sono dubbi, due elementi riassumono l'essenza di Pantelleria, sono la sua anima: il vento e la terra.
Il vento che attraversa costantemente l'isola, la accarezza d'estate e la percuote d'inverno, è sicuramente parte di essa e di quello che è.
E poi la terra: verde e nera, vulcanica, dura, così intensamente presente. Le pietre, i dammusi, le coltivazioni della vite, le manifestazioni vulcaniche, cosa sono, se non figlie della terra? O dell'uomo che ama questa terra? 
La meravigliosa terra dell'isola di Pantelleria.



giovedì 21 novembre 2013

Il fascino dantesco di Vulcano


L'isola di Vulcano

Siamo ancora una volta alle isole Eolie.
Vulcano è l'isola più vicina alle coste siciliane e la prima che incontrerete durante la navigazione, partendo da Milazzo. Naturalmente si può raggiungere anche dalle altre isole Eolie, così come ho fatto io.
Secondo la mitologia greca, proprio a Vulcano si trovavano le Fucine di Efesto, il dio del fuoco, chiamato dai romani Vulcano, da cui l'isola prende appunto il nome.
Uno dei vulcani da cui è formata l'isola è ancora attivo, e la sua presenza è evidentissima in tutto il territorio.

Varietà rocciosa lungo un tratto di costa
Un'esperienza che mi sento di consigliarvi è quella di affidarvi a un locale che vi porti in barca a compiere il periplo dell'isola. 
Dal mare potrete infatti apprezzare  l'interessante composizione geologica di Vulcano. 
Le rocce, spesso a picco sul mare, hanno dei colori che vanno dal rosa, al rosso, al giallo al nero e al verde, a seconda degli elementi di cui sono composte. Un paradiso per i geologi! Ma anche per gli occhi di qualunque visitatore.
Osserverete valli selvagge e isolate, immerse nel più assoluto silenzio.
Farete quasi sicuramente sosta a Cala Gelso, vicino al faro, in una spiaggia dalle sabbie nere, dove vi sentirete piacevolmente immersi in un bel clima vacanziero e isolati dal mondo al tempo stesso.
 
Acque cristalline di Vulcano
Inoltre potrete fare il bagno in punti altrimenti non accessibili. In alcuni tratti della costa, l'acqua è davvero invitante: limpida  e di uno splendido colore turchese.
Il fondale è ricco di fauna e flora marina, purtroppo non mancano le meduse, ma con un po' d'attenzione riuscirete a schivarle e a godervi un meraviglioso bagno.




Grotta
Anche la presenza delle grotte marine non è da sottovalutare. In alcune, conosciute solo dai pescatori del luogo, è addirittura possibile addentrarsi e, dopo aver nuotato nel buio più totale, farsi guidare da un puntino di luce che ne indica l'uscita dal versante opposto della montagna. Naturalmente non dovete mai avventurarvi da soli alla ricerca di queste grotte: è molto pericoloso senza una guida preparata!


A questo punto avrete sicuramente intuito la bellezza di Vulcano, forse starete addirittura pensando di includerla tra le mete preferite per le vostre prossime vacanze, ma ancora non siamo arrivati al cuore di questo post. 
L'anima di Vulcano è stata ancora solamente accennata.
Chi attracca direttamente sull'isola, senza compiere il periplo, al Porto Levante, se la trova subito davanti. Per questo "vi ho fatto fare il giro in barca": per prepararvi a poco a poco, anticipandovi la natura vulcanica del luogo. Perché, una volta attraccati, quello che vi troverete davanti sarà impressionante. 
A destra avrete Vulcanello, una penisola che prende il nome da un vulcano ormai spento, ora ricoperto da vegetazione e composto da rocce laviche, collegato da un istmo all'isola. A sinistra il vulcano vero e proprio, quello ancora in attività, verdeggiante e fumoso. Davanti a voi grosse rocce di zolfo dalle strane forme.
E proprio l'odore di zolfo vi darà il il benvenuto sull'isola.

Laghetto dei fanghi caldi




Fatti quattro passi, vedrete subito i famosi e suggestivi laghetti con i fanghi sulfurei di Vulcano. Questo è un luogo affascinante e infernale al tempo stesso: ci sono rocce rosa, nere e gialle; fumarole calde che escono dalla terra; odore pungente di zolfo; acque che ribollono; fanghi composti da così tanti elementi da possedere una straordinaria varietà cromatica. C'è una scultura in pietra lavica, circondata da zolle di zolfo, che raffigura un uomo curvo, dall'espressione sofferente. E, infine, c'è la gente che si immerge in queste acque.

Scultura in pietra lavica
Fanghi










Sembra di essere in un girone dantesco. L'atmosfera è irreale. Il paesaggio alieno. Si ha la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di inquietantemente rituale, eppure affascinante.
In realtà i fanghi sono terapeutici, noti per la cura di reumatismi, artrosi e malattie della pelle.
E credo che sia proprio qui, il senso profondo dell'isola.
Lo zolfo, le fumarole, l'acqua che ribolle: siamo di fronte alle più antiche manifestazioni della Terra, in pieno contatto con un vulcano attivo, con le viscere della terra. Proviamo timore, come se ci trovassimo di fronte a qualcosa di sacro, e  proviamo attrazione ancestrale.
E da tutti questi fenomeni, con cui l'isola manifesta la sua anima vulcanica, traiamo benefici.
Le persone si avviano al laghetto, verso quelle acque dall'odore tanto sgradevole, e appaiono come i dannati di Dante, in mezzo a fanghi dai colori infernali. 
Invece vengono purificati dal contatto con gli elementi primordiali della terra. 
Questo arido inferno di zolfo e calore, medica i loro malanni. Si trasforma in paradiso.
L'anima di Vulcano, è il vulcano stesso. E tutte le sue incredibili manifestazioni, generosamente sotto i nostri occhi. Accessibili. Curative. Spaventose e benefiche al tempo stesso.

Se volete continuare la visita dell'isola, accanto ai laghetti si trova la lunga spiaggia dalle sabbie nere, dove sono presenti fumarole sottomarine calde. Per questo motivo occorre entrare in acqua con le scarpine e usare molta cautela. 
Il paese è poco lontano da qui ed è un piccolo villaggio dall'atmosfera giovanile e bohémien, dove potrete passeggiare piacevolmente curiosando nei negozietti.
Però ricordate: il souvenir più duraturo sarà l'odore di zolfo! Dopo esservi immersi in queste acque, potete dire addio al vostro costume: per quanto lo possiate lavare, l'odore non andrà più via. 
Coraggio: in fondo è l'odore dell'isola che avete amato.
L'odore della sua anima vulcanica.


mercoledì 20 novembre 2013

Pomice e ossidiana: benvenuti a Lipari!


Panorama da Pianoconte

Lipari è l'isola dei contrasti. 
Tra il paese e la zona di Canneto, molto turistiche, e le frazioni solitarie: Acquacalda, Quattropani, Pianoconte.
Tra panorami naturali incontaminati e paesaggi decisamente industriali.
Tra  la vita antica dei pescatori e quella moderna dell'industria e del turismo.
Ma soprattutto, tra la pomice e l'ossidiana. 
Il bianco e il nero. Il leggero e il pesante. Il levigato e il tagliente.
Lipari è proprio così: queste due rocce rappresentano le facce della sua duplice anima.
Una chiara ma delicata, l'altra scura ma affascinante. 
Entrambe provenienti dalla stessa origine, spesso coesistenti negli stessi luoghi.

Cava di pomice
In questo senso, la più particolare spiaggia dell'isola è quella di Porticello. 
Si trova esattamente sotto la vecchia cava di pomice, oggi non più in uso, del Monte Pilato. 
Diversi pontili e i resti delle industrie di estrazione, qui coabitano con un bel mare azzurro e soprattuto con l'impressionante pendio di pomice bianca, formato negli anni dagli scarti delle lavorazioni della cava, che oggi arriva proprio a ridosso della spiaggia.
Devo dire la verità: la spiaggia è piccola ed è un po' strano questo paesaggio metà naturale metà industriale. 

La spiaggia di Porticello
Tuttavia, la presenza della pomice offre uno scenario decisamente caratteristico. 
E' irresistibile la tentazione di arrampicarsi sul pendio e lasciarsi scivolare, oppure camminare a piedi nudi su questo soffice tappeto.
La spiaggia, invece, è cosparsa da pezzettini di ossidiana (sia tagliente sia in ciottoli più levigati). Non a caso, la principale colata d'ossidiana di Lipari si trova esattamente dopo la cava di pomice. Nero e bianco. Diversi. Vicini. Complementari.
Un tempo, quando la cava era in attività, la polvere di pomice era talmente tanta che arrivava in molti altri punti dell'isola. C'era una lunga spiaggia chiamata "Spiaggia Bianca" (oggi Ex Spiagge Bianche) proprio per la presenza della pomice, che ne ricopriva tutta la superficie. Era depositata anche sul fondo marino, rendendo il luogo molto suggestivo: una "sabbia" di pomice bianca e finissina, e un'acqua ancora più azzurra dal contrasto con il fondale bianchissimo.
Oggi non è più così, la cava è stata chiusa nel 2005 per motivi ambientali, e la pomice è stata man mano portata via dal mare e dal vento. 
Ne resta testimonianza solo nelle cartoline. E nella spiaggia di Porticello, ovviamente.

Ossidiana
In compenso si possono visitare le zone della cava abbandonata che costeggiano la strada principale. Sarà una passeggiata su polvere e ciottoli bianchi, intervallati da scaglie (più o meno grandi) di ossidiana, in uno strano paesaggio lunare, dove regna un silenzio irreale e il senso di estraniazione è pressoché totale.
 



Valle Muria
Ma Lipari non ha ancora finito di stupirci, e di lasciarci a volte anche un po' interdetti. Come si addice, appunto, all'isola dei contrasti.
Purtroppo, a meno di non avere una barca a disposizione, non potrete accedere ai punti di mare più belli. Le spiagge migliori non sono raggiungibili a piedi.
Ma se volete arricchire la conoscenza geologica dell'isola, coraggio: bisogna percorrere il sentiero per Valle Muria, la spiaggia più selvaggia e meno frequentata (tra quelle accessibili) di Lipari. Il sentiero è stancate, ma fattibile. E, quando arriverete alla spiaggia, rimarrete sbalorditi dai blocchi di pietra che la formano, dalle pareti gialle di zolfo e dalle rocce vulcaniche rosse e rosa.
Suggestivo è il giusto aggettivo per descrivere il tripudio di colori di questo luogo.
Ma state molto attenti, perché se capitate qui in un pomeriggio estivo, sappiate che non avete scampo: non c'è alcuna possibilità di ripararsi dal sole cocente, non c'è ombra da nessuna parte e il calore delle rocce è impressionante.


Panorama dal Belvedere Quattrocchi
Vi lascio con uno dei più bei panorami dell'isola: quello che si gode dal Belvedere Quattrocchi. 
Indiscutibile.
L'isola appare blu, profonda, stagliata sul mare.
Ma dopo il tramonto, mano mano che la luce cala, diventa una sagoma nel cielo.
E mette a tacere i contrasti di Lipari.
Rasserena, finalmente, la sua anima inquieta.