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giovedì 7 aprile 2016

Impressioni d'inverno al lago di Canterno


Lago di Canterno, panorama

A sorpresa, nascosto tra i boschi di una strada provinciale, tra i territori di Fiuggi, Alatri, Trivigliano, Fumone e Ferentino, dove proprio non immagineresti di trovarlo, improvviso, abita il territorio il lago di Canterno. Prima un rivolo d'acqua, che dà l'impressione d'esser solo un ruscello alimentato dalle piogge invernali, poi zone umide più consistenti. E infine compare tutto, il piccolo prezioso lago. Riserva naturale regionale, incorniciato dai monti Ernici, è di origine carsica. 
Quello che colpisce, istantaneamente, è la natura riservata e silenziosa di questo luogo. 
E' intimo, appartato. Abbandonato dall'uomo. Affidato esclusivamente alla natura. Alla sua cura.
Poche volte ho trovato luoghi così solitari tanto vicini alla civiltà. Sarà l'inverno, sarà che sono tutti attratti dalle cure termali di Fiuggi o dal Castello di Fumone, ma qui pare passare veramente poca gente. Come se non lo conoscessero, come se fossimo i soli ad averlo scoperto per sfacciata fortuna. O i soli a cui è miracolosamente concesso viverlo. Questo, ovviamente, contribuisce ad aumentare il fascino del lago, già di per sé bellissimo. Lo rende quasi un miraggio nato dall'immaginazione nel freddo di un fine dicembre. Un regalo inaspettato. Reale o immaginario non conta.

Alberi sommersi dall'acqua nel lago di Canterno

La seconda sorpresa, dopo il lago in sé per sé, si nota quasi subito. Scendendo verso la riva, tra sentieri di terra e di foglie, eccola di fronte a noi: tra le acque del lago, come galleggianti, emergono parzialmente alberi sommersi; una piccola foresta con i tronchi sott'acqua. Bianchissimi svettano in contrasto netto con l'acqua azzurra nella quale si specchiano, riflettendo le forme arzigogolate dei loro rami spogli invernali.
Un paesaggio raro e affascinante. Regalatoci dalla forte instabilità del lago, che aumenta la sua portata fino a sommergere gli alberi circostanti, per poi ridurla nei periodi di secca e lasciare riaffiorare le radici all'aria, liberandole dalla prigionia dell'acqua.

Alberi sommersi dall'acqua nel lago di Canterno
Uno spettacolo magico e spettrale al tempo stesso. Di una bellezza malinconica e prepotente, esaltata dai colori freddi di una mattina invernale, che scolpiscono le cortecce degli alberi e incidono la maestosità dei tronchi rapiti dall'acqua. Custoditi per connubio d'amore o per gelosia. Uniti in un tutt'uno, nel bene o nel male. Con la promessa di una bella stagione che venga a sciogliere questa unione ora inevitabile dal predominio dell'acqua. 

Ma il lago di Canterno non è solo questo. E', indubbiamente, anche panorami preziosi. Con i monti innevati che lo circondano, i borghi che si intravedono sulle colline, e le piccole isole di terra che affiorano, anch'esse, dalle acque del lago. L'impressione è di trovarsi in un lago di alta montagna. Un paesaggio rarefatto dall'aria invernale. Illuminato da una luce fredda. Dura. Che tuttavia scolpisce con maestria ogni dettaglio di pietra e terra e acqua.
E poi gli elementi della natura, che qui ci sono tutti. I prati verdissimi alternati alla terra bruna, le pietre grigie che spiccano tra il panorama, i boschi e le colline d'intorno. Un paesaggio che invita a camminare, con lunghe passeggiate nei prati che circondano il lago, col vento fresco come unico compagno nella solitudine. Raccogliere qualche pietra da lanciare in acqua solo per incantarsi a vederne i cerchi che produce sulle superficie. Toccare con mano la terra, così materiale. Così viva. Scoprire cosa c'è oltre il bosco. Sempre un albero più in là. Ancora oltre. E pensare nel silenzio della natura.

Panorama del lago di Canterno
 
A doverla descrivere, l'anima di questo lago, non esiterei a definirla intima e forte. Un luogo poco conosciuto, poco frequentato, lasciato alla saggezza della natura selvaggia. Un'anima che non ha timore di esprimersi, che si riversa nella bellezza di un paesaggio incontaminato, duro a tratti, ma sicuramente emozionante. Un luogo che basta a se stesso. Con un carattere definito, unico nel suo genere. Che non ha timore della sua solitudine, anzi ne fa punto di forza per potersi esprimere completamente.
E che vi aspetta. Se siete pronti a confrontarvi con voi stessi e con la natura, in una fredda giornata invernale.


domenica 18 maggio 2014

Torre Salsa: l'immensità del silenzio e dello spazio


Quello di cui vi parlo oggi, sarò sincera, è un luogo che conosco poco. Mi ha visto passare solo una giornata, ormai di parecchi anni fa. Ero infatti molto indecisa se inserire o meno la sua descrizione nel blog. Ma se il mio compito non è fornirvi indicazioni turistiche precise né dati scientifici, se lo scopo di questo blog è raccogliere qui tutti quei luoghi che lasciano qualcosa dentro, perché hanno un'anima ben precisa, allora Torre Salsa non poteva mancare.
Perché, seppure sono stata qui tanto poco, ricordo perfettamente tutte le sensazioni che il luogo sprigionava, con quel suo fascino solitario dalla perfetta bellezza. E, allora, perché no? Perché non dovrei parlarvi dell'anima di Torre Salsa? 


Si tratta di una Riserva Naturale Orientata, a Siculiana, in Sicilia, sotto la provincia di Agrigento. E' stata istituita nel 2000 ed è gestita dal WWF e, oltre ai sei chilometri di costa di cui vi parlerò io, comprende 761 ettari dall'enorme varietà biologica e geologica, che passa da terreni di proprietà del WWF ad ambienti fluviali, alle dune, fino a interessantissime stratificazioni rocciose. Ovviamente è un ambiente protetto per la flora e la fauna che ospita, non ultime le tartarughe Caretta Caretta che qui vengono a deporre le uova. 
Io purtroppo ho avuto l'occasione di visitare solamente la parte costiera: la lunga spiaggia dalle acque cristalline che chiude la riserva dal lato mare. Ma è bastato. A percepire le meraviglie che la natura ha concentrato in questo luogo. A sentire la sua anima vibrare forte.

Appena si entra nella riserva, dopo aver superato un breve sentiero interno, si arriva in una spiaggia di sabbia piuttosto affollata, perché qui si concentra la maggior parte dei visitatori. Ma basta spostare lo sguardo per rendersi conto che la spiaggia continua per chilometri e, poco più in là, è veramente solitaria. La gente si ferma tutta all'entrata. Chi ha la pazienza (e la gioia!) di camminare un po', troverà tratti di costa incontaminati e avrà l'occasione di rendersi conto della composizione geologica del territorio. 
Spostandosi sul lato destro, infatti, cominciano ad apparire, a ridosso della spiaggia, delle pareti rocciose fatte di marne e gessi cristallizzati. Le rocce prendono la forma che il capriccio del vento, della pioggia e del mare ha voluto conferigli. Solchi, punte, strati che non sono  mai uguali nel tempo.  
Già questa cornice rende la spiaggia degna di una visita, e privarvi di vedere questa parte è privarvi del senso stesso del luogo. 
Non siamo solo in un bel posto dove fare il bagno, ma siamo in un luogo in cui la natura ha coniugato così tanti elementi insieme, che considerare solo la trasparenza dell'acqua, seppur degna di nota, sarebbe veramente riduttivo. 

 










Ma se posso dire la mia, quello che veramente colpisce di questo luogo, è l'immensità dello spazio e il profondo silenzio.
Si cammina e si cammina, perché si ha voglia di esplorare, di sapere cosa c'è oltre, di arrivare sempre ad un punto che vediamo da lontano e ci attrae. E si cammina in questa spiaggia ampissima sentendo solo i propri piedi affondare nella sabbia, i gabbiani e il reflusso dell'acqua sulla riva. E questi pochi suoni rimbombano in un silenzio che oserei definire spirituale. Come se il luogo stesso richiedesse silenzio. Per aprire la nostra mente, per concentrare la nostra attenzione su quello che vediamo: sulle rocce, sulla sabbia, sul mare. Per assimilare meglio l'anima del luogo. Per comprenderlo, per rispettarlo e, infine, interiorizzarlo.

Non saprei parlarvi delle specie vegetali e animali, degli ambienti di questa riserva. Non conosco la sua storia né i progetti che il WWF sta attuando per proteggerla. Quello che vi posso raccontare io, nel mio piccolo, è la sua anima forte, che vi avvolge facilmente e non altrettanto facilmente vi lascia. 
Avrete la sensazione che il luogo dialoghi con voi proprio col suo silenzio. Lo sentirete. 
Avrete a disposizione tutto lo spazio che volete. Davanti a voi. Sabbia sotto i piedi, cielo sopra la testa. E vi sentirete immersi nella riserva, vagabondi in un piccolo mondo nel Mondo. Immenso. Da condividere solo col vento.






martedì 4 febbraio 2014

Mljet: l'isola nell'isola


La più meridionale tra le isole maggiori della Dalmazia è Mljet. Ed è anche la più incontaminata. Coperta per buona parte del territorio da un parco nazionale e priva di veri e propri paesi, è l'isola perfetta per gli amanti della solitudine e della pace più assoluta. I più la visitano in giornata, partendo da Dubrovnik, da Lastovo, da Korcula o dalla Penisola di Sabbioncello.
Chi rimane alloggia in una delle contrade come Polace, fatte per lo più da un pugno di case disposte lungo il litorale (disponibili all'affitto), un piccolo market, un panettiere, un tabaccaio, un ristorantino (dove gustare dell'ottimo prosciutto dalmata), un affitta biciclette e poco altro. L'isola è abbastanza cara. Essendo poco frequentata dal turismo di massa, infatti, tendono a sfruttare al massimo i pochi visitatori che ci sono. Dopotutto vivere in un'isola selvaggia e coperta di foreste, comporta la difficoltà non poter lavorare alternativamente allo sfruttamento turistico nella stagione estiva. E, ammettiamolo: soggiornare su un'isola selvaggia e coperta di foreste, varrà pure spendere qualche soldo in più rispetto ai luoghi turistici e superaffollati. 
Io ci sono stata per un solo giorno. E me ne sono pentita. Perché il mare di Mljet è quello dal fondale più intatto che abbia visto in Croazia e l'isola meritava sicuramente di essere scoperta anche al di là del parco nazionale. Tra l'altro è veramente faticoso, in un solo giorno, visitare il parco, almeno per me che arrivavo da Dubrovnik, con poche ore a disposizione prima dell'ultimo aliscafo, e che, sopravvalutando la mia resistenza fisica, ho affittato la bicicletta per coprire i circa quattro chilometri (in salita!) che separano Polace dai laghi salmastri, principale attrazione del parco. 


Si tratta di due laghi, comunicanti con il mare, circondati da fitti boschi. Qui si trovano il silenzio e la pace assoluta. Sembra veramente di essere in un mondo a parte.
Il lago più piccolo non ho fatto in tempo a visitarlo. Quello più grande però, da solo, vale il viaggio.

E' un lago circondato interamente da pini, più o meno fitti. 
Una strada consente di effettuarne tutto il giro (piacevolmente all'ombra degli alberi) e scegliere il punto in cui si preferisce scendere sulle sponde. 
Ovunque l'odore dei pini accompagna la passeggiata, insieme al frinire delle cicale. 

Ex convento benedettino
Ma la vera particolarità del lago è che al suo interno ospita un'altra piccola isola:  St. Mary - l'isola nell'isola, appunto - su cui è costruito un ex convento benedettino. Una barchetta effettua il collegamento con l'isola e permette di visitarla e immaginare, per qualche ora, come doveva essere la vita dei frati che vivevano qui. Al centro di un lago, verdissimo, circondato da boschi. In un'isoletta, su un'isola,  il cui perimetro si compie a piedi in pochi minuti, e dalle cui sponde si vedono nuotare branchi di pesci coloratissimi. Fuori dal mondo. In un altro mondo. Dove la pace si respira insieme all'aria. Dove la meditazione arriva spontanea, naturale come il paesaggio che ci circonda. Un luogo spirituale, che non può che essere anche l'anima di Mljet.

Affacciatevi dai resti della terrazza del convento. Sarete circondati dal lago e dalle colline verdi che ne disegnano il contorno. La vista può spaziare. Riposare nel blu e nel verde. Sedetevi sui sedili in pietra. Senza fretta. Immaginatevi qui da giorni, anni, secoli. Non vi rassicura il pensiero, se pur momentaneo e fittizio, di abitare questo piccolo paradiso? 


E quando tornerete a pensieri più terreni, non perdetevi il suggestivo bagno nelle acque del lago. 
E, se vi metterà appetito, sull'isolotto c'è anche un ristorantino pronto ad accogliervi. Tornati poi sulle rive del lago grande, nell'isola madre, potrete continuare la vostra esplorazione delle sponde del lago e scoprire i piccoli torrentelli formati dalle correnti. Molti si divertono qui con le canoe e i kayak.
Ricordate che l'ingresso al parco è a pagamento, ma chi soggiorna sull'isola pagherà solo il primo ingresso e poi potrà entrare liberamente quante volte e quanti giorni vuole. Ovviamente è una zona interdetta ai mezzi a motore. Questo preserva il silenzio e l'assoluto dominio della natura.

Tornati a Polace, dopo un solo giorno o dopo un più lungo soggiorno, in attesa che l'aliscafo vi porti lontano da Mljet, potete fermarvi nelle baie della contrada per un ultimo bagno. O godervi la vita dai ritmi lenti e rilassati, dove l'indispensabile è veramente limitato.


Spero un giorno di tornare a Mljet. Di potervi raccontare di più. Di scoprire l'isola nella sua interezza. Per me è rimasto un luogo affascinante ma ancora misterioso. Di cui serbo nel cuore i boschi, l'odore della vegetazione, la spiritualità dell'ex convento, la presenza così particolare di un'isola dentro l'isola, i rumori della natura, la serenità e il meraviglioso senso di sperduto isolamento. Ma so che c'è ancora tanto da scoprire. Ho guardato con rimpianto, andandomene, quelle frecce di legno che sostituivano i classici cartelli stradali indicando la direzione da prendere per i tanti altri luoghi che l'isola offre. Non so quando e se potrò tornare a Mljet. Se andate prima voi, portatemi in regalo, per favore, un po' di parole che sprigionino il sapore delle zone a me sconosciute. Le atmosfere del poco che ho visto, invece, spero di avervele trasmesse io attraverso questo post. Ora però tocca a voi, perchè viverle, quelle atmosfere, è tutta un'altra cosa.




mercoledì 8 gennaio 2014

La pace della Valle dell'Anapo


Sicilia. Provincia di Siracusa. Valle del fiume Anapo.
Il luogo giusto per ritemprare la mente. 
Un piccolo paradiso di natura incontaminata.
Accessibile.
Trattasi di una riserva naturale, visitabile tramite 13 km di sentiero, in buone condizioni, che ricalca la linea ormai dismessa della ferrovia Siracusa-Vizzini-Ragusa. Vi troverete infatti, in dei tratti, a camminare proprio dentro le ex-gallerie ferroviarie. E, usciti dai tunnel, sotto di voi, a valle, scorrerà il fiume Anapo, originando veri e propri canyon tra la roccia calcarea. Sopra di voi, invece, avrete la montagna scavata per ospitare una delle più antiche necropoli siciliane: Pantalica, dichiarata patrimonio dell'umanità dall'Unesco nel 2005.
Non c'è che dire: siamo in un luogo pregno di storia e dalla natura generosa.
Un connubio da non sottovalutare.

Il rumore dell'acqua sarà una costante che accompagnerà la vostra passeggiata. E scendere vicino al letto del fiume sarà semplicissimo, basterà prendere i sentieri minori che portano in breve a valle. Qui troverete laghetti dalle acque invitanti, corredati da piacevoli cascatelle e circondati da una fitta vegetazione.
Secondo questa descrizione, immagino che il paragone con Cava Grande del Cassibile, di cui vi ho parlato nel post precedente, venga spontaneo. L'ambiente naturale è effettivamente molto simile. Visitare l'Anapo tuttavia è molto più semplice, è vero. Non c'è nessuna montagna da scalare e il sentiero è quasi tutto rettilineo e ben tenuto, organizzato anche con delle aree di sosta. Però qui vige il divieto di balneazione per salvaguardare la riproduzione della trota, che deposita le uova a partire dall'autunno, e, comunque, i laghetti non sono tutti così profondi da essere propriamente adatti al nuoto. Inoltre manca quel "sapore della conquista" che conferisce a Cava Grande quel valore aggiunto che qui, forse, manca.
Nondimeno il posto è di una bellezza ammaliante. L'ambiente fluviale è umido e fresco e i colori, in alcuni tratti, incantevoli. Ci sono scorci da cui poter trarre veri e propri dipinti.


La Valle dell'Anapo non è un luogo ad altissima frequentazione turistica, forse perché i visitatori vengono scoraggiati dal divieto di balneazione (fino a qualche anno fa limitato solamente in alcuni periodi, e ora divenuto permanente) oppure perché è distante circa 35 km dalla più frequentata costa. Forse, però, proprio questa mancanza di flusso turistico, lo rende tanto rilassante e pacifico. Si ha veramente l'impressione di trovarsi in luogo incontaminato. Una sorpresa trovarlo tanto silenzioso. 
Non è difficile, qui, rimanere soli. Con la natura.
Allora ci si siede sotto un albero che affonda le sue radici direttamente nell'acqua. E si gode del paesaggio: i ciottoli trasparenti che compongono il letto del fiume, l'acqua verde smeraldo, la vegetazione intorno che segue l'ansa dell'Anapo, le montagne che incorniciano la valle.

 


La cosa più sorprendente è il senso di pace che si gode. L'anima di questo luogo è il silenzio rumorosissimo della natura. L'irreale silenzio, pausa dal rumore prodotto dall'uomo, interrotto solo dalla natura che lo abita: l'acqua che scorre, le fronde degli alberi che ondeggiano, la fauna.
Così irreale questa sensazione, da trattare il fiume con timore reverenziale. Immergere le mani nelle sue acque. Piano. Temendo che svanisca. L'incantesimo. Che dietro di noi appaia una folla di turisti pronti a invadere le sponde del fiume.
A meno di non essere molto sfortunati, posso assicurarvi che non è così. La Riserva l'ho visitata parecchie volte, in agosto, e sempre in solitudine o al massimo incontrando tre o quattro turisti rispettosi, con cui discutere delle bellezze della Valle.
In questo modo si ha la possibilità di far proprio il luogo. Ci si rilassa. Si gioca a immaginarsi un po' parte di esso. 
E si accetta lo scorrere lento del tempo. Senza fretta. Si resta e si osserva.
E allora si notano i particolari. Le libellule che, per riposarsi dal volo, si posano su fili d'erba, proprio mentre le nuvole si riflettono nelle acque del lago sotto di loro.
O i granchi nascosti tra le coloratissime alghe fluviali, tra i luccichii riflessi della luce.



La Valle dell'Anapo è un luogo che ho trovato di una semplicità perfetta. Non stupisce con effetti speciali, ma con una bellezza naturale pulita e genuina. Vi muoverete tra la vegetazione, da un laghetto all'altro. Passerete tra muschi e rocce da cui sgorga l'acqua, per rivoli e per boschetti.
Ma, soprattutto, vivrete una pace che, oggi come oggi, è davvero rara da trovare così a portata di mano.
Vi pare poco?




giovedì 14 novembre 2013

La potenza di Stromboli


Sarò sincera: a Stromboli ho trascorso solo mezza giornata.
Ma sarò altrettanto sincera nel dirvi che basta mezz'ora sull'isola, per avere percezione della potenza della sua anima. Sì: Stromboli è potente, non mi viene in mente un altro aggettivo che meglio possa descrivere la più lontana delle Isole Eolie dalla Sicilia, ma la più nota in tutto il Mondo.
E ama i colori forti: il rosso del fuoco e il nero della lava.
Saprete sicuramente che lo Stromboli è un vulcano attivo e, quindi, è un cosiddetto "vulcano buono", perché sfogandosi quotidianamente non dovrebbe arrivare a esplosioni devastanti (seppure a volte dei problemi ci sono stati).
Quello che forse non conoscete, è il rispetto che suscita questo vulcano nei visitatori e nei locali: è "Iddu" (Lui) che decide le sorti dell'isola, nel bene e nel male. Gli strombolani sono tanto consapevoli della sua presenza, da personificarlo e parlarne in termini umani: "Iddu parla" sono soliti dire, infatti, quando i boati delle eruzioni si diffondono su tutta l'isola.
Qui non è l'uomo a comandare sulla natura, ma è la natura a farla da padrone e l'uomo non può far altro che offrirle un profondo rispetto e una fiducia incondizionata, simile a quella che si ripone nella religione. 

Stromboli, vista da Strombolicchio




Dal mare l'isola si presenta come un unico cono vulcanico, nero, materico, solcato dal vento, avvolto dalle nubi di fumo sulla sua cima, accanto al cratere. Poi, man mano che la barca si avvicina, si notano le casette e la chiesa, timidamente adagiate sulla montagna. 
Si attracca accanto alla lunga spiaggia di sabbia lavica, nerissima, e il cuore batte forte, semplicemente per l'essere a Stromboli. Poi ci si inizia a guardare intorno e si notano i primi segni della presenza del vulcano: ovunque ci sono cartelli che indicano le vie di fuga in caso di eruzione, terremoto o maremoto. E si ha timore, eppure attrazione incontrollabile, atavica, verso il fuoco, la lava, la fine e l'inizio di ogni cosa.
Il paese è sopra il livello del mare, per raggiungerlo ci sono le viuzze, tutte in salita, che partono dalla spiaggia e arrivano al cuore del paese, nella piazza di San Vincenzo, centro della vita sociale e culturale dell'isola. Quello che colpisce è che in un'isola così piccola ci sia tanto fermento culturale e tanta arte: la libreria, il centro culturale e vari negozi di ammirabile artigianato, abitano le viuzze intorno la piazza.
E la sera si organizza sempre qualcosa: che siano proiezioni di film (immancabile "Stromboli - Terra di Dio"), l'ammaliante "festa del fuoco" o una scalata organizzata al vulcano, gli strombolani amano riunirsi e celebrare la notte. Una notte che fino a qualche anno fa era piena di stelle, perché a Stromboli mancava l'elettricità e, di sera, si camminava per le strade buie, guidati solo dalla luce di una candela, della luna, o dall'istinto. Una notte che anche illuminata, ha conservato il fascino millenario, profumata com'è di fiori, di lava e di silenzio.
E la cosa più bella, quando cala la notte, è farsi portare da una barca davanti la "Sciara del fuoco", un pendio nella parte dell'isola opposta al centro abitato, dove cola la lava e rotolano le rocce incandescenti, finendo nel mare dopo uno scivolo di settecento metri. 
Di notte si spia il vulcano, sperando di non essere visti. 
Le barche spengono il motore, e resti così: in mezzo al mare, nel silenzio più assoluto, nel buio, ad aspettare il rombo che precede gli zampilli di lava e roccia incandescente. Il vento coccola il tuo volto, la luna è alta nel cielo e delinea la sagoma del vulcano, una volta abituati gli occhi. Sul costone dello Stromboli compaiono piccole luci in fila indiana: sono le torce di quelli che tentano la scalata al cratere.
L'odore del mare è avvolgente. Poi il rumore rompe il silenzio e la quiete perfetta dell'attimo prima, e il fuoco rosso squarcia il nero della notte. Uno spettacolo dove la vita e la morte sono fuse in un'unica cosa.

Stromboli è un'isola dura, misteriosa, lontana. E' un paradiso che può nascondere l'inferno. E' un luogo "vivo", dove la natura incute pace e timore al tempo stesso, dove la solitudine può essere profonda, ma i legami sono intensi e duraturi.


 Scultura in pietra a Stromboli

Chi conosce l'isola molto meglio di me, è sicuramente Lidia Ravera, che vi soggiorna spesso e anche per lunghi periodi. Il suo libro "A Stromboli" (Editori Laterza, 2010) è un piccolo capolavoro che mette a nudo l'anima dell'isola e l'amore viscerale della scrittrice per questa terra.
E sono sicura che le sue parole sono la migliore conclusione di questo post.

Così la Ravera descrive la sua prima volta a Stromboli: 
"Sono rimasta sedotta dal luogo al primo impatto. Me ne sono accorta nel solo modo che conosco, e che so riconoscere: un allertarsi ansioso di tutti i sensi. Udito, odorato, sguardo, tatto, gusto. Mi è successo altre volte. Non molte" (pagina 54)
Stromboli, panorama
 
 E ancora:  

"Mi è sembrata un'eccellente idea fermarmi sotto il vulcano. 
Al culmine della mia carriera di irrequieta. 
Dato che nulla è permanente, nemmeno una casa, nemmeno le cose, nemmeno la vita umana. 
Mi esercito alla provvisorietà. Cerco un senso di impermanenza" (pagina 23).

In ultimo, la sua indimenticabile descrizione della notte passata sul vulcano, accanto al cratere:
"Sedevo, quindi, con venti ragazzi francesi e olandesi e svizzeri, sul bordo che sovrasta il cratere. Li ascoltavo ridere e parlare, eppure mi sentivo, riuscivo a sentirmi, perfettamente sola, sentivo la perfezione della solitudine. Guardavo meravigliata quel lago di fuoco, quella tazza accesa e fumigante, aspiravo l'odore acre e definitivo dello zolfo. Guardavo le stelle oscurate dalla bandana di vapore che sventola fra la cresta della montagna incendiata e il cielo. Ascoltavo i colpi secchi delle esplosioni non visibili e l'eco che li seguiva, prima che la fucina del fuoco lanciasse i suoi razzi fuori, a spegnersi nel vento" (pagina 25).