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domenica 15 dicembre 2013

Autunno a Cefalù



Autunno. 
Cefalù si fa più umida e silenziosa. Più vera.
Se ne sono andati il clamore di agosto, i colori accesi, lo stordimento dei sensi. Settembre porta calma nell'animo, ragionamento. Porta le prime piogge, il vento fresco, e una luce che è meno generosa, meno sfrontata di quella estiva, ma più preziosa ed elegante. La stiamo a guardare, questa luce ancora calda, la godiamo di più perché sta cambiando e sappiamo che presto verrà l'inverno.
In questa stagione l'anima di Cefalù, un'anima di mare e di luce, torna in tutto il suo splendore, non più soffocata dalla calura estiva, non più mormorata tra gli schiamazzi dei bagnanti.
Il tempo si spezza, le giornate sono più corte, le mareggiare più frequenti. Il vento porta nuvole imponenti, a ricamare il cielo sopra il paese.
E, all'improvviso, piove. Una pioggia tanto evocata per dar tregua al caldo di agosto. Una pioggia sollievo per la natura e per l'uomo. E questa prima pioggia lava via la frenesia estiva. Ci si rilassa. Ci si siede ad aspettare. Perché passa. Passa in breve, a dire la verità. Ma ti modifica dentro. Non hai più voglia di tuffi, di sole, di momenti leggeri e scanzonati, di uscire e uscire ancora. Hai voglia proprio di quello che c'è in questo momento: pace, serenità.

E luce. Una luce quasi irreale. Pulita.
Che monda la sabbia, disegna meglio i contorni delle case, illumina il cielo. Fa sembrare tutto più ampio.
Una luce essenziale, che nell'essenzialità fa vedere meglio le cose. E illumina l'orizzonte sgombro, non più tremolante sotto la calura estiva, permettendo di spaziare con lo sguardo fino a Capo Gallo, fino alle Eolie, nei giorni migliori.

E, questa stessa luce, se rimaniamo a guardarla, si trasforma in un tramonto che tinge il cielo di colori pastello dal giallo all'arancio, al rosso al lilla, al viola, al blu e al grigio. Un dipinto riflesso nel mare su cui ondeggiano, placide, le ultime barche dei villeggianti.
Delle "interminabili e sontuose agonie dei tramonti autunnali", ci parla anche Angelo Culotta in "Il paese di dentro": 
"Sfoggiavano la loro impareggiabile maestria pittorica, usando una tavolozza di raffinate tinte, stese a piene mani sulla fascia di mare fino all'orizzonte, sul cielo denso di nuvole barocche, sulla massa imponente della rocca e sul chiaro-scuro dell'abitato sottostante" (p.21).



Comunque non sono rare, in autunno, anche le giornate prettamente calde e soleggiate. Dopotutto siamo in Sicilia e qui l'autunno è generoso. C'è chi fa il bagno fino a novembre, anche se l'acqua è ormai fresca, per un "arrivederci" al mare tra schiuma, vento e il corpo, leggero, abbandonato all'acqua ancora una volta. C'è chi passeggia sul lungomare sbracciato, con i piedi nella sabbia ancora calda.
Ma non è lo stesso mare e non è lo stesso caldo. Tutto è ritemprato dall'autunno. Dal ragionamento.
Appena ci si affaccia sul lungomare, uscendo dal paese, la luce autunnale ci investe e il vento ci accoglie. E ci si sente sereni e appagati, niente ci spaventa. 
Si respira con le narici aperte, a pieni polmoni, i battiti del cuore rallentano e si vorrebbe che questa sensazione di equilibrio tra corpo e anima, questo benessere, durasse per sempre. Che fosse sempre autunno. Perché l'autunno in Sicilia è sul serio un capolavoro di equilibrio. Con l'aria fresca ma non fredda, con la pioggia forte ma non duratura, con il sole caldo ma non bollente, con il vento intenso ma non fastidioso, con il mare agitato ma non in burrasca, con la luce accesa ma non abbagliante.

Ed è tempo di capùna (in italiano: caponi).
Quando questo pesce si inizia ad avvistare nel mare di Cefalù, è segno dell'arrivo dell'autunno. Infatti i pesci, di forma allungata, dalla livrea grigia con riflessi blu e il ventre giallo, in questa stagione si avvicinano alle coste per la deposizione delle uova.
Ecco allora apparire le rosse reti dei pescatori che preparano alla marina le barche per la pesca. I caponi si vanno a rifugiare sotto i sugheri di cui viene cosparsa l'acqua e rimangono intrappolati nelle reti, assecondando l'antica tecnica di pesca che si chiama "caluoma". Successivamente, per i vicoli si sentirà "vanniare" i pescivendoli, vantando la freschezza del pesce per richiamare le massaie e incoraggiarle all'acquisto. 
Ma oltre alla pesca, non possiamo dimenticare che l'autunno è tempo di vino novello e olive da cogliere per fare l'olio nuovo o da mangiare schiacciate o da conservare in salamoia. Ed è tempo di mosto in cui intingere gli sfinci (dolci fritti in olio e cosparsi di zucchero).

Anche il cielo serale, in autunno diviene più cristallino. Le nuvole squarciano il blu elettrico del cielo, rendendolo meno finto, meno invitante alla notte, ma più intimo e sincero.
Dell'estate restano soltanto le cose vere: quello che inizia in estate e continua a settembre ha il sapore delle cose che dovevano essere temporenee e diventano definitive, che resistono passato l'abbaglio della luce estiva. La vacanza diventa ricordo. Cefalù resta.

Camminate, in autunno. Ritrovate la pace di Cefalù, respiratene l'anima a pieni polmoni: il suo mare che diventa pescoso, ampio, la pulizia del suo cielo, la luce scomposta in così tanti colori.
Respirate la verità delle cose.
Presto sarà inverno...


lunedì 18 novembre 2013

L'anima delle isole


Le isole. Soprattutto quelle piccole. Difficili da raggiungere e irresistibilmente attraenti. Tutte diverse, ma accomunate da una sola, imprescindibile, condizione: essere isola. E come tale circondata dal mare, limitata, a sé stante. E con una personalità spiccatissima. 
L'isola, proprio in quanto tale, è diversa. E' una terra speciale, emersa, lambita dal mare. 
E' sempre un mondo. Ha sempre un'anima.
Dicevo, nel post precedente, che su un'isola ci si innamora dell'isolamento, del senso di libertà tanto più forte, quanto più, paradossalmente, ci si trova in un luogo ristretto. Perché l'umanissima dimensione ridotta di spazio, offre la possibilità di conoscere tutto il territorio, di farlo tuo. E allora hai confini certi entro i quali comporre il tuo mondo. Tutto è vicino, su un'isola, e non ci si può allontanare mai troppo e mai definitivamente da qualcosa, o da se stessi.
Sì: l’isola dà certezza. L’isola è sempre la tua isola. 
E l'hai scelta. Perché non ci si trova per caso su un'isola: non ci si può capitare, passare, sostare. E' sempre la destinazione di un viaggio, pensato. 
Cosa si cerca, dunque, su un'isola? Cosa ci spinge a salire su quel traghetto, spesso unica possibilità di arrivarvici?
La lontananza, prima di tutto. 
Scrive Lidia Ravera:  

"E' la lontananza, la chiave di questa ottusa felicità. 
Sono, finalmente "lontana". 
Da che cosa esattamente non lo so, ma mi pare che non abbia importanza. Dalla terraferma. Dalla città. Dalla realtà. 
Non lo so. Mi sento lontana e basta" ("A Stromboli", Laterza Editore, pagina 37).

In questa lontananza ci sentiamo liberi. Non più legati a schemi, ruoli, maschere che siamo soliti indossare. Con noi stessi, ma liberi da noi stessi. Liberi anche di sognare.
E nel distacco dalla quotidianità, recuperiamo le proporzioni delle cose. Lontani dal rumore, nella pace di un'isola, capiamo cosa è veramente importante. Quello che resta, lo è. Quello che ci segue anche lì. 
Si cerca, dunque, la verità. L'essenza delle cose, spogliate di complicazioni e fronzoli.
L'isola mette a nudo.
Sono ridotte all'osso anche le convenzioni sociali. Non ci si chiama col titolo di studio, raramente ci si dà del Lei, si salutano tutti indistintamente. 
E non si deve per forza "fare" qualcosa, si può semplicemente "essere". Passare il tempo a guardare il panorama, basta. Appaga.  
Si cerca, infatti, sicuramente anche la bellezza. Nel senso di pienezza emotiva che può regalare la meravigliosa natura, dominante, in un'isola. 
Un tramonto, una mareggiata, una spiaggia. Si sente se stessi attraverso la natura, ci si sente parte di essa.
Sull'isola è più facile essere umani. 
E si cerca l'assoluzione per non essere perfetti. 
Qui comandano le forze della natura, il mare soprattutto. L'uomo allora può rilassarsi: non può scegliere, non può affannarsi di cambiare le cose. Tutto va come deve e noi possiamo occuparci soltanto di essere, semplicemente, uomini. 
Perché:

"E' riposante accettare il limite" (Lidia Ravera, "A Stromboli", Editore Laterza, pagina 51).

E, accettando questo limite, i ritmi calano, il tempo rallenta e le giornate diventano infinite. Tutte uguali, rassicuranti; eppure diversissime, se per diversità si considera il colore del cielo al tramonto, le condizioni del mare, l'intensità del vento. 
Partecipare allo scorrere del tempo, su questo piccolo territorio, diventa allora il senso della giornata, e forse della vita stessa.
E dopo:  

"E' difficile andarsene perché il tempo trascorso sull'isola, poco o molto che sia, ti modifica.
Modifica le tue percezioni.
Ti abitui al piccolo, al misurabile, all'unico" (Lidia Ravera, "A Stromboli", Editore Laterza, pagina 57).

Ti abitui cioè al tuo universo a portata di mano, alla consapevolezza di quello che hai, alla tua vera natura. A essere qualcuno senza essere nessuno. Alla solitudine con te stesso. 
Ti abitui alla conoscenza rassicurante di un territorio che puoi osservare, ma non dominare. 
Alla certezza nell'incertezza. 
Ai colori, ai profumi, ai suoni. All'emotività. 
E ami l'isola. Profondamente.
O almeno, io l'ho amata, anzi: le ho amate.
Sicuramente il mio è un punto di vista da visitatrice. Non metto in discussione la difficoltà e i limiti del vivere tutto l'anno su una piccola isola. Non mi stupisce che alcuni nativi vogliano, o debbano, andarsene. 
Eppure ci sono stati anche quelli che su un'isola ci si sono trasferiti. Mollando lavoro, carriera, a volte anche la famiglia. In cerca di una vita più umana, più spirituale. In cerca di pace, di interiorità.
In cerca di un'alternativa.
E ci sono quelli, come me, che non ne hanno il coraggio e si limitano a concedersi brevi periodi, rigenerativi, da "isolani".
Ma, a qualunque di queste categorie apparteniate, qualunque sia la vostra scelta di vita, a un'isola, sappiatelo, non si rimane mai indifferenti.

Per fortuna.