lunedì 30 giugno 2014

Parco Urbano del Pineto: la magia della natura in città


Parco Urbano del Pineto

Nel cuore di Roma, tra i quartieri Trionfale, Primavalle e Aurelio, proprio dove mai lo immagineresti, sorge un'area naturalistica sorprendente. Fatta di bosco, di valli, di campagna. Adornata di fiori, muschi e di prati. Il suo nome è Parco Urbano del Pineto. E' una zona protetta, istituita nel 1987 e comprendente circa 250 ettari di terreno.
Per me è stata una scoperta folgorante. Ammetto che vivo vicino al Parco da molti anni. Eppure non ero consapevole della sua bellezza. Quel che appare dalla strada, la Pineta Sacchetti, non è che una pineta, appunto. E pare che tutto finisca lì. O almeno, così ho immaginato per molto, moltissimo tempo. E non ho mai frequentato neppure quella piccola area perché, fino a qualche anno fa, effettivamente era territorio di accampamenti nomadi e gente poco raccomandabile. Poi le cose sono lentamente cambiate, l'area è stata riqualificata e la pineta restituita agli abitanti dei quartieri limitrofi e ai visitatoti.
Quello che, però, mai avrei immaginato, è quanto il Parco si estenda al di là di quella pineta che sembra racchiuderlo tutto e invece non è che la sua infinitesimale parte. Subito alle sue spalle, infatti, si aprono sentieri che portano a scoprire una bella campagna, dove la vista si schiude meravigliosa fino alla cupola di San Pietro.  

La cupola di San Pietro, vista da Parco del Pineto


E' un paesaggio fatto di sentieri di terra ricavati tra la vegetazione. E cambia di stagione in stagione regalando ogni volta scenari diversi. Fatti di flora che si modifica a seconda dei mesi dell'anno e di colori che mutano a seconda delle ore e della luce. Il verde delle piante, il giallo del grano, il marrone della terra, i colori dei fiori sono mescolati con sapienza dalla natura. Malva, papaveri, mirti, ginestre, erica, finocchi selvatici e molte altre piante si alternano animando il Parco.
 
Primavera a Parco del Pineto
In primavera, dalla terra nascono le spighe. Dapprima sono piccole. Sbucano timide ed esili dal suolo. Crescono tra i fiori. Rispettose.
Nel giro di pochi giorni si fanno adolescenti e sfrontate. Invadono i campi e mirano al cielo. Verdissime. Spostate dal vento che porta fruscii e profumo. Di natura nel pieno del vigore. Di primavera. Di vita.



Estate a Parco del Pineto
Poi viene l'estate. Neanche te ne accorgi. Ma un giorno le vigorose spighe non sono più verdi, ma si fanno mature. Tinte di un giallo prezioso come l'oro.









Ma non si tratta solo delle spighe. Qui le stagioni si alternano insieme alle specie vegetali. Non conosco tutti i loro nomi, purtroppo, ma so quale magia è, vedere il paesaggio che cambia completamente aspetto di settimana in settimana. Tutto è programmato perfettamente da Madre Natura. Prima una specie di fiori, poi tocca ad un'altra, poi un'altra ancora. In una successione perfetta ma che non smette mai di stupire.

Fiori a Parco del Pineto

Fiori a Parco del Pineto






Specie vegetali a Parco del Pineto

Ma le sorprese non sono affatto finite. Perché oltre alla pineta, oltre alla campagna, c'è di più. Uno dei sentieri a ridosso della biblioteca Casa del Parco, che sorge proprio dentro il Parco, dove i pini terminano, conduce in un'area completamente diversa. Qui si apre un mondo nuovo. Più inaspettato ancora del primo. Ci troviamo immersi in un vero e proprio bosco, come se fossimo stati trasportati improvvisamente fuori città. Procediamo. Increduli.

 
Sughero. Parco del Pineto
Gli alberi si infittiscono, il sottobosco si arricchisce. Il silenzio si fa reale, l'ossigeno più puro, il respiro profondo. L'odore delle piante sostituisce quello dello smog. Intorno solo bosco. Scompare la città. Non si vedono più case, cemento, costruzioni. Niente di niente. E comincia la magia.
Fatta di sugheri, querce, lecci. Col sottobosco ricamato da ciclamini, funghi, felci, muschi.

Funghi



Parco Urbano del Pineto. Il bosco

E da questo sentiero se ne dipartono altri. E altre scoperte ci aspettano. 

Parco del Pineto
La prima è la presenza dell'acqua. Improvvisamente si sente scorrere e gorgogliare tra la vegetazione. C'è fresco, umido. Si sente di più la vita. E seguendo il rumore si arriva ad un minuscolo laghetto.
Se l'attraverserete, dalla parte opposta continuerà il percorso tra il bosco, che qui si fa ancora più fitto e col suolo quasi sempre umido: la luce del sole fa fatica a penetrare tra gli alberi fitti dalla chioma alta e l'acqua scorre in piccoli rivoli nel sottobosco.












Rocce rosse. Parco del Pineto
Ma non è l'unica novità del paesaggio. Ben presto, infatti, vi renderete conto di camminare su sentieri di sabbia. Vera e propria sabbia, evidente residuo della presenza di mari in questa zona, nella preistoria.
Fino ad arrivare a conformazioni rocciose rossastre, piuttosto particolari, argillose, che formano delle vere e proprie dune e ricordano i canyon.












Continuando a camminare, tra salite e discese, tra sentieri e boschi, si arriva infine ad una valle che a me piace chiamare "Valle dell'Eden".
Qui siamo del cuore del parco. Nell'isolamento assoluto. La città è lontanissima dalla nostra vista, dal nostro udito e soprattutto dai nostri pensieri. Una valle isolata, scavata dentro il parco, protetta dal bosco. Ci si sente orgogliosi di averla scoperta. Solo natura intorno. E ogni tanto qualcuno che passa, gente tranquilla, che passeggia con i cani in religioso silenzio o che cerca verdura. Ci si saluta, con queste persone. Perché ci si sente abitanti di un piccolo mondo, privilegiati dalla scoperta di questo luogo segreto. Ci si sente di condividere qualcosa di prezioso, uniti dall'amore per la natura. Ci si riconosce simili.


Valle interna. Parco Urbano del Pineto

Se poi si risale la valle dal lato sinistro, si arriva ad un'altra valle, più piccola e meno isolata della prima, ma sicuramente anch'essa suggestiva, che confina con l'entrata del Parco dalla zona di Trionfale. In primavera le sue spallette si riempiono di milioni e milioni di bellissimi fiori viola. Uno spettacolo di vita e profumi.

Valle. Parco Urbano del Pineto




Parco Urbano del Pineto. Fioritura primaverile

Ovviamente, con una natura così generosa, non manca una fauna altrettanto varia e ricca.

Mantide religiosa. Parco Urbano del Pineto





Il Parco è popolato da cinghiali, volpi, topi, bisce, moscardini, rane, insetti di ogni genere. Sono loro il popolo sovrano del Parco. Gli dobbiamo rispetto. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
 

Cosa dire, infine, a conclusione di questo post? Non mi è facile trasmettere tutta l'anima del Parco con le parole. Perché di anime ne ha molte. Tante sfaccettature di una sola medaglia che è la grandezza della natura.
Il valore aggiunto, qui, è la varietà di ambienti all'interno del Parco. E la sorpresa di scoprire paesaggi completamente differenti ogni volta. Qui si può guardare la natura trasformarsi, stupirsi ogni volta di piante che c'erano e poi lasciano il posto ad altre. Il paesaggio muta sotto i nostri occhi e il disegno di Madre Natura si svela generosamente. Ci sentiamo invasi dalla vita. Dal benessere. Da un vento che porta gli odori della campagna e poi del bosco. Ci sentiamo liberi. Selvaggi un po' anche noi. Ed è una magia che avviene, miracolosamente, proprio dentro la città. Non serve andare lontano. Nessuna gita fuori porta è necessaria. Basta addentrarsi nel Parco del Pineto, bastano pochi minuti, affinché la natura sia nostra e noi suoi.




venerdì 6 giugno 2014

Eraclea Minoa: la totalità degli elementi


Spiaggia di Eraclea Minoa
 
Capo Bianco

Chiudete gli occhi. Pensate ad un luogo. Ad una spiaggia.
Che caratteristiche deve avere perché ne sentiate l'anima?
Io penso ad una lunga spiaggia di sabbia chiara e morbida, accarezzata dalla luce di una giornata di fine estate. Ci aggiungo un mare trasparente, leggermente increspato affinché si senta più forte l'odore della salsedine. Il mare più vero. Vivo. Che mi sappia spiegare la libertà.
Ma ancora non basta. C'è altro. Una pineta. Una lunga pineta direttamente sul mare, che accarezza la costa per chilometri, parallela alla spiaggia. Con ombra benevola e verde generoso.
E poi una scogliera. Una sorpresa che si rivela solo alla fine della spiaggia. Solo per i tenaci. Quelli che hanno camminato e camminato per arrivare alla fine. Che poi non è affatto la fine. E' l'inizio di calette tra la roccia più bianca. Rivela sorprese.
E' tutto mi pare. 
Ma se aggiungiamo anche un fascino che proviene dall'antichità, dalla sacralità di un luogo che è stato dimora e scontro, per qualcuno, secoli fa, allora mi sembra d'aver inventato il luogo migliore della Terra. Dove non manca nulla.
Ma questo luogo non esce dalla mia fantasia. Esiste realmente. In Sicilia. Nella remota Sicilia meridionale, fatta di spazi e di silenzi. Di ombre e di luci.
Provincia di Agrigento. Eraclea Minoa. Un nome difficile da imparare, ma che vi resterà cucito nella mente dopo che sarete stati qui. Non c'è un paese, se non Cattolica Eraclea, ma a circa cinque chilometri, verso l'interno. Qui siamo in una località esclusivamente naturale. E antichissima. La spiaggia prende, infatti, il nome dalle rovine dell'antica città greca Heraclea Minoa, i cui resti guardano il mare dall'alto del promontorio bianchissimo che chiude la spiaggia. 

Dal basso, dopo aver camminato per tutta la spiaggia, lo vedrete. Il promontorio sul quale era costruita l'antica città. 
Si tratta di Capo Bianco, fatto di marne, il cui nome non è necessario spiegare da dove derivi.
 All'inizio appare così: di un bianco accecante tra cielo e mare. Dopo la spiaggia. Alla fine della pineta e del boschetto di eucalipti che la chiude. Avvicinatevi. Per scoprire il resto.

La prima sorpresa sono i fanghi. Quelli benefici per la pelle. Preziosi. La montagna, alla sua base, è fatta di questo. Non l'avrei notato, devo dire la verità, se non avessi visto gente camminare completamente ricoperta di fango. Aspettare che si secchi per poi risciacquarlo nell'acqua del mare, con un gesto antico e rituale. Purtroppo, però, molti non si accontentano dei pezzi di fango che si staccano naturalmente dalle pareti rocciose in seguito alla forza del mare e all'azione del vento. Tanti staccano con le proprie mani pezzi di fango dalla montagna, con il risultato di aver provocato pericolosi crolli e ridotto la forza della base del promontorio. 

Si cammina. Proprio sotto la roccia. Notandone le striature più scure che si alternano a quelle più chiare, con  un'affascinante combinazione geologica. 
La spiaggia è sottile. Tra il mare e la roccia. 
Per lo più camminerete in solitudine. Non tutti si spingono fin quaggiù.

E se andate ancora avanti troverete un passaggio segreto, tra la roccia che sembra chiudere definitivamente la spiaggia e invece lascia una piccola apertura da cui passano agevolmente solo i bambini o le persone di piccola statura. Se lo siete, potete passare dall'altra parte, in una piccola spiaggetta deserta, e poi continuare a camminare accanto al gigante di roccia, fino a scoprire dove finisce realmente. In un panorama quasi lunare, la roccia si fa sempre più bassa e levigata in morbide forme ondulate. Sulla sabbia frammenti di pietra.

Ed eccovi arrivati alla fine. 
Eraclea Minoa, la meravigliosa spiaggia con la pineta, si chiude con l'ultimo lembo di Capo Bianco. Il gigante termina con un cono a punta, tra mille striature di roccia bianca e beige. Dopo cambia tutto, continua il mare e vegetazione dunale, ma la magia si interrompe. Non siamo più qui. Non è più Eraclea Minoa, ma solo mare per chilometri e chilometri. 
E allora limitate qui. Godetevi la fine. Il punto più estremo. E scopritelo più umano e vicino di quanto non sia il promontorio, duro, che confina con la pineta. Qui, alla fine di tutto, la roccia imponente sembra ormai solo un ricciolo di panna montata a neve. E, qui, sarete veramente soli. Non passa quasi mai nessuno. La natura è tutta per voi. Voi siete per lei.
L'anima del luogo risplende di questa solitudine. La si può sentire urlare nel silenzio, la si può respirare con la salsedine, la si può riconoscere nella forza della roccia o nel vento che pare mescolare tutti questi elementi e restituirli direttamente alla nostra pelle. Anima con anima. La vostra. Quella del luogo. E poi la somma di entrambe.


Vi lascio raccontandovi di me. Di quando sono arrivata qui la prima volta. 
Giravo per la Sicilia, dormendo ogni giorno in una località diversa. Qui sono arrivata verso sera, gioendo per aver trovato una spiaggia così bella, affascinata dalla pineta e sicura di volermi fermare. 
La sera è cresciuta, divenendo presto una notte adolescente e poi matura. E io sulla spiaggia. Seduta. Qualche falò a rischiarare l'ambiente. Suono di chitarre lontane. Suono di giovinezza. Poi le stelle, nel cielo più scuro. Nessun paese d'intorno. Nessun'altra luce. Se non un chiarore latteo, un bagliore, dal lato destro della spiaggia. Interrogarmi curiosa. Chiedermi cosa fosse. Avrei scoperto solo il giorno dopo, con la luce del mattino, che si trattava di Capo Bianco. La roccia bianca riflette luce. Una meravigliosa scoperta che ho poi conservato negli anni.
Ma quella notte non restava che abbandonarmi al profumo dei pini e del mare, come può essere solo in una notte d'estate. Abbandonarmi a una natura sovrana. A un buio che mi proteggeva e mi faceva sentire parte del tutto. 
Perché la libertà più assoluta e la piccolezza di fronte alla natura sono esattamente la stessa cosa.