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mercoledì 20 novembre 2019

Tutti i colori dell'autunno abruzzese a Barrea


Il Parco Nazionale D'Abruzzo, Lazio e Molise certamente regala uno degli spettacoli più affascinanti a chi desidera godere la natura in autunno; quando, non solo permette di rigenerarsi dopo la calura estiva e prima del gelo invernale, ma anche di gioire alla scena del foliage: è il momento magico in cui i boschi vestono i colori caldi dal marrone al rosso, dall'arancione al giallo dalle più variegate sfumature. La natura è pronta per la sua più suggestiva rappresentazione: la stagione autunnale. E proprio nel Parco Nazionale, con questa atmosfera, andiamo alla scoperta di uno dei più particolari luoghi custoditi al suo interno: il borgo di Barrea e l'omonimo lago. Si tratta di un paesino medievale, arroccato su uno sperone roccioso a circa 1066 metri sul livello del mare, in provincia dell'Aquila.

Colori autunnali tingono gli altipiani abruzzesi.
Arrivarvi di questa stagione significa percorrere le strade che attraversano il Parco e subito stupirci della bellezza dei boschi, fitti come sentinelle orgogliose ai lati della strada, unico varco verso il mondo magico che lasciano percepire invitandoci all'autunno. Un bordeaux che si impadronisce del verde, un arancio che lotta giocosamente con il giallo per avere la meglio su quella immaginaria tavolozza di colori, perfettamente equilibrata dalla una natura artista e mescitrice di cicli di vita, morte e rinascita.

Colori autunnali tingono gli altipiani abruzzesi.
Esplorare i dintorni significa sorprendersi ancora di come - forse da un giorno all'altro -  la natura pittrice abbia aggiunto del rosso deciso nella conquista delle cime degli alberi a valle. L'autunno che avanza; l'autunno che accende il paesaggio della vivacità di una fiamma che ora distrugge per permettere di ricominciare poi. Un fuoco di vita. Un autunno che regala agli uomini i prodotti tipici della montagna di queste zone: funghi di bosco, tartufo, orapi (spinaci selvatici), zafferano, genziana.

Ma torniamo alla meta del nostro viaggio: Barrea e il suo splendido lago, di origine artificiale, nato in seguito allo sbarramento del fiume Sangro nel 1951. Oggi è meta turistica grazie alla bellezza delle sue sponde e della natura incontaminata che lo circonda.
Cavalli al pascolo nei pressi di Barrea.
Mentre una riva è più facilmente accessibile, grazie a moli attrezzati per l'affitto di canoe e windsurf per la pratica sportiva, un punto ristoro e la pista ciclabile, l'altra sponda è lasciata alla natura, agli escursionisti che si avventurano lungo i sentieri, al pascolo di animali allo stato brado: mandrie di cavalli e greggi che è facile incontrare sulle sponde del lago e nei suoi dintorni. Così come non inconsueto è rintracciare, nella fanghiglia morbida che costituisce le rive più prossime all'acqua del lago, le impronte dell'orso marsicano.

Panorama del lago di Barrea.
Particolare conformazione degli alberi sulle sponde del lago.

Da questa parte del lago si respira una particolare aria, così pura da aprire i polmoni in un respiro di sollievo e malinconia al tempo stesso. E' quello di una viva solitudine, non di quelle dolorose e forzate, ma di benessere teso all'ascolto attentissimo di tutto ciò che ci circonda e della profondità di noi stessi richiamata dalla natura. L'aria fresca della sera si accompagna ad un velo di luce fredda che cala sui colori caldi autunnali e accende di significati. Intanto, particolari alberi dalla conformazione barbuta che gli avvolge il tronco - forse a difesa -, sembrano giganti condannati all'immobilità da un antico incantesimo che li ha congelati in strane pose, da cui paiono potersi scrollare da un momento all'altro. Giganti immobili che celano vita al loro interno, e che il vento muove ingannando le nostre umane percezioni con indizi concreti. Un raggio di luce filtra, chiarificatore di mondi incantati a cui non abbiamo accesso.

Panorama del lago di Barrea.

Lasciamo per il momento la malìa del lago e dedichiamoci alla visita del grazioso paese di Barrea. E' di una tale tranquillità che sorprende e, proprio questo, aggiunge valore al luogo: grazie alla sua bellezza avrebbe potuto essere rovinato da un turismo di massa che invece, fortunatamente, qui non è ancora arrivato. Ritmi lenti; poche e rispettose persone; pulizia accurata; e dettagli che rendono particolare ogni portone, ogni casa in pietra di questo paese, su cui trovano collocazione: daini di legno intagliato, tendine ricamate con temi di montagna, fioriere, lampioni in ferro battuto, alci scolpite da sapienti mani artigiane ecc. 

Centro storico di Barrea.
Ogni ornamento contribuisce a rendere particolare e unica Barrea. Delizioso abbandonarsi curiosando tra le stradine del suo piccolo centro storico, intrecciate in salita fino a convergere nel punto più alto del paese: il Castello monumentale, datato tra il XI e il XII secolo, visitabile con un biglietto dal simbolico prezzo di 1 euro; purtroppo danneggiato dal terremoto, oggi è sede dei numerosi eventi culturali organizzati dal borgo, attivissimo da questo punto di vista. Dal castello si gode anche della più spettacolare vista panoramica sul sottostante lago di Barrea.

Entrata al castello di Barrea.

Mura di cinta del castello di Barrea.

Panorama del lago dal castello di Barrea.

Sicuramente una delle emozioni più intense che si possono provano durante il soggiorno a Barrea, è assistere al calar della notte proprio dalla parte più alta Castello del borgo. Da qui si vedono il torrione circolare, le mura di cinta con dietro le imponenti montagne e poi sotto tutto il paese, con le sue abitazioni in pietra che scendono verso il lago come a voler andare incontro all'acqua in un abbraccio. Suggestiva è la luce di fine giornata che tinge di blu le montagne e le acque del lago, uniformando il paesaggio e tranquillizzando il cuore. Ci si sente liberi e sicuri, qui. Respirando aria fresca di montagna mentre il fiume, alle nostre spalle, spande la sua voce per le vallate ormai oscure e il cielo striato di nuvole accompagna il nostro sognare... fino a che non sia notte. Popolata da creature del bosco e segreti sussurrati dai lupi. 

Tramonto sul lago di Barrea.

E' il momento, per noi uomini, di lasciare il bosco alla vita notturna dei suoi animali e alle leggende. Di ritirarci in uno dei caldi ristorantini tipici e gustare una calda zuppa, delle fettuccine ai funghi porcini o gli arrosticini locali. Riposare il corpo e abbandonare la mente, paghi delle meraviglie viste e pronti a ricominciare la mattina dopo, con il primo sole.
E', infatti, la prima mattina il momento migliore per visitare nuovamente il lago e apprezzare maggiormente, con la luce giovane, i colori autunnali dei boschi che lo circondano e il verde smeraldo intensissimo delle sue acque che riflettono il panorama intorno.

Lago di Barrea in autunno.
Lago di Barrea in autunno.

Incantevole è passeggiare sulla ghiaia bianchissima delle rive del lago e sentirsi parte di un paesaggio così perfetto. Luminoso di una mattinata d'autunno, in cui il verde, l'arancio e il rosso sono tanto intensi da essere pura perfezione e gioia per il cuore. Con le montagne che si specchiano nel lago e ci invitano a scoprirle, sostiamo sulle sponde del lago di Barrea immaginando la giornata che sarà. Molte le escursioni che sono possibili a partire da qui, prime fra tutte: la Camosciara, così chiamata perché è casa di centinaia di camosci nonché di sentieri nella natura e cascate; e la Val Fondillo, una vallata circondata dalle montagne che offre la possibilità di trekking e panorami suggestivi. Ma questa è un'altra storia. 
Restiamo ancora fermi all'incanto di queste acque, ad un paesaggio illuminato dalla luce perfetta di una prima mattina d'autunno a Barrea. La giornata che immaginiamo sarà sicuramente densa di accadimenti e ricca di emozioni, ma in questo esatto momento la cosa più preziosa è proprio godere dell'attimo presente. Essere qui, sulle sponde del lago di Barrea, accarezzati dal sole d'autunno, dalla quiete che ci circonda, dalla notte che si è dileguata da poco e ancora il prato ne porta traccia nella rugiada. Godiamoci questo momento, abbandoniamoci ai colori d'autunno. Siamoci! Sentiamo. Respiriamo. 
Solo dopo aver impresso nella mente e nel cuore il panorama acceso di colori che abbiamo davanti, solo allora, possiamo ripartire qualunque sia la meta che ci aspetta.

Daini.
Boschi autunnali intorno a Barrea.

Con tutta probabilità ci imbatteremo in qualche daino curioso e attraverseremo ancora boschi fitti di alberi tinteggiati d'autunno. Respireremo buona aria di montagna e cammineremo ancora molto tra la natura. Il Parco Nazionale d'Abruzzo è tutto da scoprire ed è un patrimonio di incredibile bellezza. Ma le emozioni che ci hanno regalato  Barrea e il suo lago difficilmente saranno superabili. La principale è una sensazione di assoluta quiete e di serenità interiore che accompagna costantemente la scoperta di questi paesaggi. La natura incontaminata, eppure vicina alla civiltà, permette di staccare la spina dalla routine cittadina, di ricavare energie dalla pace e dalla genuinità dei luoghi, nonché - forse - di immaginare che un'altra vita - questa vita - sia possibile.
E' proprio questa l'anima di Barrea: il suo essere "isola felice", bella e curata, ricca di aria pura e di tranquillità, eppure reale, fruibile, facilmente raggiungibile e vivibile. E dunque viviamola, Barrea. Scopriamo senza fretta le sue viuzze, assaporiamo i prodotti tipici e i ritmi lenti, specchiamoci nelle acque della tranquillità del suo lago, passeggiamo  nei sentieri. E infine, quando viene di nuovo la sera, abbandoniamoci a quel pizzico di magia che ci offre la vista del paesino illuminato, con il lago e le montagne giganti presenze indovinate nella notte. Abbandoniamoci a quel sentore di quel "qualcosa in più",  che poi null'altro è che la grandezza della natura.

 

venerdì 12 ottobre 2018

Nel cuore delle Madonie: la fruibilità di Piano Zucchi


Nell'entroterra siciliano, nel comune di Isnello, a mille metri sul livello del mare e a 35 km da Cefalù, abita un luogo incantevole, vestito di prati e di faggi, pini, querce, abeti, sambuchi e lecci. Siamo a Piano Zucchi, cuore vivo del Parco delle Madonie. Un pianoro circondato dalle montagne, a cui si arriva dopo che la strada si inerpica con tornanti sempre più incalzanti, tra boschi e odori di resine e muschi e umido fresco. Un mondo intimo, vero, in cui ci si addentra quasi magicamente, abbandonati il clamore costiero, l'afa, il brusio dei bagnanti di una domenica di fine estate. Ogni curva di questa strada, è un metro in più dentro la verità delle montagne. Il refrigerio di un'aria genuina, respirabile, segna il passaggio tra i due mondi. E la luce. Lasciata alla costa quella accecante, fatta di raggi riflessi e moltiplicati dal mare, qui la luce è tutta diversa. Divisa dal bosco che la assorbe per primo e ce la restituisce, parsimonioso e saggio, in morbidi raggi  che lo attraversano. Una luce filtrata dagli alberi, rilassata, arresa all'ombra refrigerante dei boschi. 
E così, continuando a salire, il panorama muta e da collinare si fa sempre più montano e netto. Con il carattere preciso e un po' duro delle montagne. Non è raro trovare animali che pascolano ai bordi della strada: mucche, cavalli, pecore. Boschi e roccia. Aria pura e profumata di natura. Un crescendo, fino ad arrivare al Piano, tregua dopo tanto salire. Pausa per la nostra anima e riposo per il guidatore. Luogo dentro il luogo, fatto appositamente da Madre Natura per permetterci di sostare e, nell'attesa di ripartire, interiorizzare la maestosità di queste montagne. Viverle.

Piano Zucchi.

La piccola piana è accogliente. Fruibile. Protetta dalle montagne circostanti come uno scrigno che racchiude prezioso tesoro. Noi vi siamo dentro. 
C’è un bel prato erboso a fine estate, qui. E’ esattamente il prato dove correre felici della nostra infanzia. Rimanda immediatamente l’immaginario alle giornate spensierate, senza fine, alle corse con il vento tra i capelli e una risata genuina nata su bocca sincera. In altri tempi e in altri luoghi. Non importa più. L’entusiamo ci invade anche adesso. Per questo spazio tutto nostro. Libero. Ampio, ma limitato. Fatto a nostra misura da natura generosa. Creatore di fantasie d’infanzia e di adulto benessere. Quanta perfezione in un prato erboso, circondato dal bosco! Essere qui è farne parte. Del prato, delle Madonie, della natura tutta. L’armonia che sentiamo crescere dentro è la sua. Ci invade, ci rasserena, ci corteggia. Invita alla pace. Ma non certo alla staticità. Ed è così, con il cuore tranquillo e un entusiasmo sincero, che esploriamo questo luogo incantevole. Il sottobosco intorno alla piana è curato. Giochiamo tra i tronchi degli alberi, allegri, osserviamo il prato da lì, spettatori di una magia che già accade nella nostra mente. Ritrovo di lupi, di fate o di streghe. Questo prato. Teatro di favole antiche; la radura tra il bosco è piazza di creature magiche, di segreti e incantesimi. Rivivono ora, esattamente mentre le immaginiamo. Animano il bel prato di Piano Zucchi, che diventa in un attimo, e per un solo lunghissimo momento, quello di antiche leggende ammalianti. 

Funghi sul prato della piana.
Non è più propriamente estate, qui. In montagna. Ma non è ancora autunno, secondo il tempo astronomico.
Il passaggio tra le due stagioni è evidente sotto i nostri occhi. Calpestiamo una terra dove le prime piogge sono state ostetriche di funghi di ogni tipo, che tingono l’ambiente dei colori d’autunno. Arancione, rosso, marrone. Creature spugnose, spuntate orgogliosamente tra l’erba verde e le foglie già secche. In una eterna lotta tra la vita e la morte. In una composizione perfetta, creata dalla natura. Con foglie e ricami di terra soltanto.
Orchidea selvatica.
E poi un’orchidea selvatica, improvvisa, attaccata tenacemente all’estate. Che ricorda, con delicata e spontanea bellezza, che invece in autunno ancora non siamo. Accanto, una pianta invidiosa vorrebbe imitarne la forma, ma non ha grazia e colore.
Ci emoziona la scoperta, metro dopo metro, di così tanta vita nel terreno. La terra fertile ci regala i suoi prodotti. Con stupore fanciullesco e animo lieve li scoviamo tra foglie e fili d'erba. Sono i fiori delicati di una favola bella. Sono i funghi attraenti e traditori: case di gnomi, cerchi di streghe, veleno e magia di un bruco che fuma.

Funghi.
Funghi.

L’anima di questo luogo è la genuinità di un prato di montagna, di una semplice perfetta bellezza. E' la tranquillità di un luogo fuori dal mondo che corre e dal tempo comune. Dove il passaggio delle stagioni non è così scontato e doloroso; dove sembra possibile vivere per sempre. La sua anima è protezione, intimità, benessere. Familiarità. E’ anima fatta di prato, di aria, di leggerezza, del profilo delle montagne che lo racchiudono. Di odori di natura purissima, di un ruscello che scorre lontano. Di chiaroscuri di luce, disegnati sul prato da rami di alberi mossi dal vento. Della fruibilità di un luogo, umanamente accessibile, vivibile nel pieno dei sensi. Di storie inventate o reali, racconti su prato verdissimo.

Nebbia a Piano Zucchi.


Ad un certo punto del giorno, sale la nebbia, qui. Improvvisa e leggera, copre gli abeti come scialle di seta. Nasconde, la nebbia. Eppure rivela. Permette di concentrarci solo su quello che è vicino a noi. Non esiste più lo spazio circostante. Solo noi e la sagoma, essenziale, delle cose che ci sono più prossime. Ci permette di conoscerne la forma pura, mondata dai colori, dalle proporzioni. Di conoscere meglio noi stessi. Tutto il resto non esiste più. Se lo pensiamo, lo possiamo inventare come vogliamo. Permette di inventarci il mondo, la nebbia. Apre alle possibilità. 
Affascinante ed elegante, così come viene, altrettanto velocemente poi si dipana. E ci lascia  al respiro del mondo reale, che ora guardiamo con occhi nuovi.


E anche quando, qui, a Piano Zucchi, vi coglierà un temporale improvviso, estivo, non avrete alcun timore né fretta. Al riparo dentro la macchina, l’anima si distende totalmente, ascolta la pioggia, sottile tra gli abeti, e la magia diventa privilegio che si rivela a noi soltanto. Noi che questo luogo lo viviamo anche con la pioggia, quando sono andate via anche le guardie forestali più fedeli. Ora è totalmente nostro, con tutti i suoi segreti di bosco. Rivelato. Nostro rifugio per l’anima. Rimarrà qualcosa di noi qui, in eterno…




mercoledì 22 novembre 2017

Tra favola e inferno: un autunno alla Riserva Naturale Monterano


Siamo nel territorio della Tuscia Romana, tra i Monti della Tolfa e i Monti Sabatini. E' qui che è stata istituita, nel 1988, la Riserva Naturale Monterano, a tutela di uno degli angoli più integri e suggestivi del Lazio. Si tratta di un ambiente ampio e variegato, di altissimo interesse naturalistico, sia a livello di flora che di fauna. Ed è qui, tra boschi, ruscelli, cascatelle e felci che l'autunno diventa magico. Forse è la stagione migliore per visitare la Riserva che, tinta da quelle generose pennellate di giallo, marrone e arancio che solo Madre Natura sa distribuire così bene, assume un aspetto da fiaba. Ma non solo.
Molti sono gli itinerari e i percorsi, ben segnalati e ben mantenuti, possibili per visitare la Riserva. Quello di cui vi racconterò oggi è l'inizio del percorso "rosso", che parte dal parcheggio della Diosilla, poco dopo la cittadina di Canale Monterano, a nord del lago di Bracciano, tra Roma e Viterbo. E' un percorso che inizia in discesa, con delle ripide e scivolose scalette di pietra, che vi conducono rapidamente nel cuore della Riserva. Scendere sotto il livello della strada è un po' come entrare dentro la Terra, in un viaggio alla scoperta di un mondo sotterraneo. Subito ci avvolge l'umido di una giornata di un novembre inoltrato; il rumore dell'acqua ci sprona a superare l'ostacolo degli alti gradini ricoperti di muschio; mano mano che scendiamo la luce diminuisce, trattenuta dal bosco fitto che ci sovrasta e chiude, geloso, la Riserva. Potrebbe somigliare ad una discesa agli inferi, anche per l'odore di zolfo che accompagna le manifestazioni vulcaniche tipiche di questa zona, visibilmente presenti nella schiuma naturale che costella le rive del torrente Biscione. Tuttavia è proprio questo torrentello, che scorre allegro e sottile, a strapparci dalla mente la titubanza iniziale e l'idea degli inferi, e trascinare rapidamente il nostro immaginario in uno scenario da favola. 

Torrente Biscione.
 
Scorre così: delicatamente, in un letto poco definito, quasi a non voler disturbare le pietre e il tappeto naturale di allegre foglie autunnali che ricoprono completamente la terra. Timido tra la boscaglia fitta e le radici di qualche albero. 
Come non immaginarsi qualche fata dei boschi, pettinarsi i lunghi capelli biondi seduta con grazia sulla riva del torrente, poco prima di sparire nel bosco?
Ponte di legno sul torrente Biscione.
Come non immaginarsela affacciata a questo ponticello di legno, sopra il torrente, intenta a contemplare il bosco? Cosa che facciamo anche noi, senza fretta, perdendoci definitivamente in questo mondo "sotterraneo", intimo, fatto di umido, di bosco, di tronchi ricoperti dal muschio, di felci, di rami e di foglie. Fatto di autunno.

Fatto di pensiero, di meditazione, ma anche di voglia di andare avanti nel percorso, presi dall'entusiasmo,
Bosco autunnale nella Riserva Monterano.
di scoprire dove siano nascoste le fate - perché in un luogo così, non ci sfiora neppure per un secondo l'idea che non possano esistere. Mentre l'umido rapisce le nostre narici, mentre le meraviglie d'autunno riempiono la vista e ci sorprendono per l'armoniosa bellezza, le immaginiamo - le fate - sedute su uno di questi tronchi, nel bosco. O a giocare a nascondino. 

Mentre seguiamo il corso del Torrente, alla nostra destra, il percorso continua e il bosco si fa più ampio, così come le radure, sempre più suggestive, disseminate di felci e da un tappeto sempre più grande e continuo di foglie gialle e dalle varie sfumature di marrone. Il bosco di tutte le favole della nostra infanzia non può che essere questo. Perfetto com'è. Con la sua bellezza attraente, e qualche ramo divelto che offre il giusto pizzico di inquietudine che, in ogni fiaba che si rispetti, caratterizza il bosco. Così meraviglioso eppure pieno di insidie: regno di fate e di lupi. Di sogni e di segreti. Di elfi e di nani. Di luce e di buio.

Bosco a Monterano.
 
Bosco a Monterano.
 
E il bosco che ci attrae fin da bambini. Che ci impaurisce, ma al tempo stesso ci invita  inesorabilmente a camminare, sentendo soltanto il rumore dei nostri passi che calpestano le foglie affondando nella terra umida, e il rumore delle foglie che, invece, cadono dagli alberi al momento, appena strappate alla vita, ma non per questo meno suggestive, mentre si poggiano lievi al terreno.
E camminando notiamo funghi e ciclamini e felci e muschi e agrifogli. 
E poi, improvvisamente, ci ritroviamo fuori dal bosco, illuminati finalmente dalla luce del sole che ora ci scalda, ma ancora una volta ci sembra di essere, ora in modo diverso, dentro l'inferno. Il paesaggio si fa scarno e lunare. Un forte odore di zolfo ci invade. Il ribollire dell'acqua del torrente e le incrostazioni gialle sulle rocce, ci indicano di essere arrivati alla solfatara che descriveva l'itinerario. Qui, davanti ai nostri occhi, si manifesta la potenza del mondo sotterraneo fatto di fuoco. Nel nostro immaginario, ora le fate lasciano il posto alla suggestione dell'inferno dantesco e dei suoi fiumi.

 
Polla sulfurea.
Torrente dei pressi della solfatara.

Continuando il sentiero segnalato, arriveremmo alle rovine della antica Città di Monterano. Ma le giornate sono corte e ormai sta calando il sole. Rimandiamo la visita in primavera, e, giusto per tornare un po' all'anima fiabesca del luogo, che si alterna a quella più oscura, seguiamo invece per qualche metro il percorso del Biscione, sulla sinistra. Superata la zona sulfurea, il corso del Torrente si fa più pieno di acqua e nuovamente suggestivo. Questa volta lo possiamo osservare dall'alto, dal semplice sentiero rettilineo che lo sovrasta, tra alberi di castagni e boscaglia mista. Basta affacciarsi un po', per vedere, giù, il corso d'acqua. Ancora una volta incorniciato da terra ricoperta fittamente da foglie giallissime. Si forma una luce magica, incredibilmente blu, tra i rami e il torrente. Una luce irreale, da sogno. Che avvolge tutto, esalta l'anima fiabesca di questo luogo e pare rivelare nel suo massimo splendore anche l'essenza dell'autunno stesso. 

Torrente Biscione tra il bosco.
 
Godiamocelo, questo autunno qui. Il resto del percorso ci aspetta con la primavera... la Riserva Monterano non ha assolutamente finito di sorprenderci. A presto...





domenica 8 gennaio 2017

Di nuovo al Parco di Veio: itinerario mole di Calstelnuovo di Porto



Eccomi di nuovo qui: al Parco di Veio. Come vi ho raccontato nel post precedente, il territorio di quest'area protetta è veramente molto vasto e dopo il primo approccio seguendo l'itinerario da Formello, la tentazione di tornare a Veio si è fatta quasi subito insistente. Un paio di domeniche dopo, con l'autunno ormai inoltrato, eccomi alla scoperta dell'itinerario per le mole di Castelnuovo di Porto. Siamo un po' più distanti da Roma, leggermente più a nord, e qui le indicazioni degli itinerari sono ancora più labili della volta precedente. Occorre sicuramente superare il laghetto di pesca sportiva, su via Pian Braccone Francalancia, parcheggiare l'auto e poi, ancora una volta, seguire solo il proprio istinto e il rumore dell'acqua. Forse sbaglierete strada, come è successo a me, più e più volte, e vi chiederete quale delle diramazioni prendere, in cerca di queste mole poco conosciute, che sembrano essere da nessuna parte, ma una volta imboccato il sentiero giusto, le vostre fatiche saranno ripagate. Qui ci si immerge in un mondo fatato. Intimo e suggestivo. Ritroviamo sicuramente tutti gli elementi tipici del Parco di Veio: i corsi d'acqua, i prati, i boschi dagli accesi colori autunnali, la natura sovrana. Tuttavia qui la composizione di questi elementi trova una originale e particolarissima via di espressione, che la distingue nettamente dall'itinerario di Formello. Se quello regalava ampi spazi, libertà, se era tutto esteriore e si mostrava apertamente, propenso verso l'esterno, qui le cose sono differenti. L'anima di questo luogo è intima, segreta, celata. Tutta da scoprire. Un'anima timida. Meno fruibile, sicuramente. Chiusa un po' in se stessa. Forse addirittura gelosa della sua bellezza e disposta a svelarsi solo a chi sa osare, a chi sa guardare, o a chi vuole a tutti i costi farlo. Innanzitutto il percorso è tutto dall'alto, su una strada inizialmente cementata e poi fatta di terra, che costeggia il corso d'acqua sottostante, protetto e celato dal bosco. Bisogna avere pazienza. E ogni volta che si trova un varco, scendere per cercare maggior contatto col luogo. Ma si viene ripagati totalmente: una volta dentro è come farne parte, di questo luogo elitario e magico. Di una bellezza schiva e vera che ti avvolge.
La prima tappa possibile, scendendo, rivela un corso del fiume sicuramente più ampio di come si immaginava, intravedendolo, dall'alto. Circondato da vegetazione e da alberi. Fatto da tante piccole isole di pietra e di prato, in mezzo a un'acqua che trascina romanticamente foglie gialle, cadute dagli alberi ormai in parte già spogli. Sedersi su rive di pietre levigate dall'acqua. Ammirare il paesaggio. Ascoltare il rumore dell'allegra corrente. Sentire il luogo. La sua magia.




E poi riprendere il cammino. Risalendo per percorrere l'unica strada possibile, in alto, che ci stacca nuovamente dal pieno contatto con il corso d'acqua, ma forse proprio per questo lo fa apparire più misterioso, più desiderato. Ogni tappa, qui, è una piccola ma totale conquista di un pezzetto del luogo. 

Mole di Castelnuovo di Porto.
Le stesse mole, che danno il nome all'itinerario, non sono esattamente così evidenti come ci si potrebbe aspettare. Anch'esse vanno cercate, scoperte, conquistate con la buona volontà e la tenacia. Quando il rumore dell'acqua si fa più insistente all'udito, cercate di aprirvi un varco alla vista in mezzo agli alberi, e guardate in basso. Eccole, le cascate che stavate cercando. Tra felci e muschi, trascinano anch'esse le foglie autunnali e contribuiscono ad accrescere il fascino del panorama boschivo. Ma non è ancora questo, a mio avviso, il punto più bello del nostro percorso. Camminando su un sentiero che ora è fatto di terra coperta da un tappeto di foglie secche, in un silenzio irreale rotto soltanto dal rumore dei nostri passi, ecco che sotto la chioma di un albero ritroviamo il corso d'acqua, ridotto qui a piccolo rivolo, ma attorniato da uno spazio più esteso, dove, finalmente, è possibile camminare per un pò a livello dell'acqua. Sicché scendiamo, con attenzione, sulle rive di questo ruscelletto, e qui veniamo inghiottiti totalmente dalla verità del luogo. Qui raggiungiamo la profondità della sua anima. E' come se, finalmente, divenuto più fruibile - per noi che l'abbiamo voluto, per noi che siamo stati tenaci -, ci si rivelasse.


Il torrente scorre con piccoli salti, tra rocce, muschi ed edera arrampicata. Dietro, il bosco fitto. E le fate. E le favole antiche. Questo luogo fiabesco ora ci cattura totalmente col suo fascino che da schivo si fa totalizzante. Nessuna via di mezzo è possibile qui: o si resta distaccati o si diventa creatura di bosco, anche fosse per mezz'ora soltanto.
La magia infatti dura per il tempo che rimaniamo lì, prima di risalire e di tornare così alla nostra realtà, lasciando che il luogo torni invece alla solitudine dei suoi segreti, chiuso, celato nuovamente alla nostra comprensione, col bosco che lo protegge anche alla vista.

E così torniamo indietro, verso la nostra auto, verso la fine di questa giornata. Ci accompagna lungo la strada sempre un bel panorama di alberi autunnali, ma la sensazione è che la verità di questo luogo sia tutta là sotto, oltre i fitti alberi che ammiriamo, ora, con la consapevolezza di avergli rubato, seppur per pochissimo tempo, il segreto dell'anima del luogo che proteggono.
Arrivederci Parco di Veio, alla prossima volta. Alla prossima magia.
 

giovedì 15 dicembre 2016

L'esperienza del Parco di Veio: itinerario Mola di Formello


Mucche pascolano in libertà lungo il torrente Crèmera

Quante volte a Roma, nei pressi della via Cassia o della via Flaminia, vi sarete imbattuti anche voi, come me, nel cartello indicante il Parco di Veio. Fatto da quei due simboli: la statua in terracotta del dio Apollo e il riccio, a promessa di un luogo ricco di storia e natura. Un cartello tanto presente eppure labile: il parco pare stare ovunque e da nessuna parte al tempo stesso. Già. Perché non aspettatevi cancelli, recinzioni, entrate o precise indicazioni di dove inizi e dove finisca. Più che altro è un territorio. E come tale vi circonda. Con i suoi quasi 15.000 ettari, attraversa ben nove comuni: Formello, Campagnano, Castelnuovo di Porto, Magliano, Mazzano, Morlupo, Riano, Sacrofano e la stessa Roma. E qui dovete cercarlo, andando alla scoperta del parco attraverso i sentieri di terra che attraversano i boschi, i prati, lambendo torrenti e passando per i campi che spesso non hanno neppure nome, non regolati dall'uomo ma dalla natura soltanto. Si visita così, il Parco di Veio. Senza cercare qualcosa di specifico, apprezzando la natura che vi si presenta camminando, scoprendo gli angoli che più vi piacciono. Inventandovi il vostro percorso, il vostro Parco. Oppure sentendolo ovunque. In quei paesi che del parco fanno parte, dove la gente stessa è il parco. Lo vedi da quel modo di vivere lento, tranquillo, che non prescinde dal contatto con la natura. Lo vedi dalla cordialità, dal sorriso, dall'amore per gli animali.

Ma veniamo a noi. Un primo approccio valido al Parco di Veio, per chi non c'è mai stato, a mio avviso può essere l'itinerario per la Mola di Formello. Molto completo perché offre una varietà di ambienti che rappresentano il territorio. Ovviamente anche qui non aspettatevi cartelli segnaletici o sentieri precisi e tracciati. Si gioca d'istinto. Dal paese prendete la strada che porta al santuario di Santa Maria del Sorbo, e fermatevi prima: ai lati dei pascoli, dove c'è uno spiazzo e vedete le macchine parcheggiate. E da qui iniziate la vostra avventura con la mente aperta. Scendete la valle sottostante ed esplorate con sete di conoscenza. Molte sorprese vi aspettano.  

La prima è un ambiente naturale subito assoluto. Verrete accolti da prati circondati da boschi. Un buon umore crescente sarà compagno del vostro distacco dal mondo civile. Una camminata energica ne sarà conseguenza.
La seconda sorpresa è il rumore dell'acqua. Che rasserena. Che placa l'anima inquieta e regala una ritrovata serenità. Seguitelo, questo suono. Fino a che non ne scoprirete l'origine: il torrente Crèmera. Scorre leggero, non pretenzioso. Discretamente protetto dai boschi autunnali che accendono i riflessi dell'acqua di arancio e di rosso. Le sponde umide. Fatte di prato e ricami di foglie cadute. Tappeto con cui la natura copre la nuda terra, adornando le sponde. Trasformandolo in luogo di fiaba. 
Ed ecco che un altro suono cattura la vostra attenzione. E' il bestiame che si materializza all'improvviso da dietro il bosco. Le mucche scendono per bere al torrente. Pascolano in libertà. Com'era una volta. Come oggi solo le più fortunate di loro possono fare. E già si individua l'anima di questo luogo: un'anima antica. Fatta di verità, di semplicità, di misura. Delle cose com'erano un tempo. Delle cose buone, naturali, che possono continuare anche oggi, sapendole riconoscere, valorizzare e preservare. Un'anima assolutamente bucolica. Di pascoli, prati e animali in libertà. Delicata e rilassante. Fruibile. Quanto è facile qui correre sui prati, spensierati, dimenticando tutto il resto del mondo!
 
Torrente Crèmera
 
Nel torrente si riflette una nuvola. La sensazione è d'avere a disposizione tutta l'ampiezza del cielo, otre quella del prato. Spazia la vista. Si apre il respiro dell'anima.
Viene spontaneo seguire il corso dell'acqua. E poi seguire il giorno. Così come la vita. Partecipare allo scorrere di tutte le cose.
E così, semplicemente vivendo, si arriva agli alberi grandi, quasi alla fine del giorno, quando il sole è tutto dietro di loro e l'ombra si allunga come un gigante sul prato bagnato. Ma c'è ancora da godere di questo luogo ampio e ameno.
 

E così, attraversato il fiume e passata la fila degli alberi, l'ultima scoperta è la cascata in cui si getta il torrente. Proprio una sorpresa non è, se vi ricordate siamo giusto lungo l'itinerario per la Mola di Formello, sicchè quando sentirete il rumore dell'acqua farsi più forte, imporsi all'udito più del delicato torrente che ci ha accompagnato finora, saprete di essere arrivati alla fine. Dell'acqua. Dell'itinerario. Del giorno. Poco importa. Tutte le cose che scorrono, per natura sono destinate a finire. E qui la fine è maestosa. L'acqua si getta nel vuoto, avvolgendo la roccia su cui cade, potente, per poi raccogliersi nel laghetto sottostante. Tutt'intorno boschi incantevoli, muschi e felci. Scenario da favola antica.

Mola di Formello
 
Tornando, il vento ormai freddo di una giornata d'autunno inoltrato taglia il viso. Ma rigenera e fa sentire vivi. Vicini alla verità delle cose che contano. 
E quando tutto pare sia già stato vissuto, compare all'improvviso, come un'ultima sorpresa che ci regala questo luogo, una donna su un cavallo nero. Galoppa con i capelli sciolti, incontro al vento, incontro alla cascata, incontro al tramonto. E' parte stessa del luogo. E' la personificazione della natura del parco di Veio. Ed è felice. Non possiamo che immaginarla così. 
Impossibile non desiderare di essere lei e di vivere esattamente questo istante della sua vita.





domenica 15 dicembre 2013

Autunno a Cefalù



Autunno. 
Cefalù si fa più umida e silenziosa. Più vera.
Se ne sono andati il clamore di agosto, i colori accesi, lo stordimento dei sensi. Settembre porta calma nell'animo, ragionamento. Porta le prime piogge, il vento fresco, e una luce che è meno generosa, meno sfrontata di quella estiva, ma più preziosa ed elegante. La stiamo a guardare, questa luce ancora calda, la godiamo di più perché sta cambiando e sappiamo che presto verrà l'inverno.
In questa stagione l'anima di Cefalù, un'anima di mare e di luce, torna in tutto il suo splendore, non più soffocata dalla calura estiva, non più mormorata tra gli schiamazzi dei bagnanti.
Il tempo si spezza, le giornate sono più corte, le mareggiare più frequenti. Il vento porta nuvole imponenti, a ricamare il cielo sopra il paese.
E, all'improvviso, piove. Una pioggia tanto evocata per dar tregua al caldo di agosto. Una pioggia sollievo per la natura e per l'uomo. E questa prima pioggia lava via la frenesia estiva. Ci si rilassa. Ci si siede ad aspettare. Perché passa. Passa in breve, a dire la verità. Ma ti modifica dentro. Non hai più voglia di tuffi, di sole, di momenti leggeri e scanzonati, di uscire e uscire ancora. Hai voglia proprio di quello che c'è in questo momento: pace, serenità.

E luce. Una luce quasi irreale. Pulita.
Che monda la sabbia, disegna meglio i contorni delle case, illumina il cielo. Fa sembrare tutto più ampio.
Una luce essenziale, che nell'essenzialità fa vedere meglio le cose. E illumina l'orizzonte sgombro, non più tremolante sotto la calura estiva, permettendo di spaziare con lo sguardo fino a Capo Gallo, fino alle Eolie, nei giorni migliori.

E, questa stessa luce, se rimaniamo a guardarla, si trasforma in un tramonto che tinge il cielo di colori pastello dal giallo all'arancio, al rosso al lilla, al viola, al blu e al grigio. Un dipinto riflesso nel mare su cui ondeggiano, placide, le ultime barche dei villeggianti.
Delle "interminabili e sontuose agonie dei tramonti autunnali", ci parla anche Angelo Culotta in "Il paese di dentro": 
"Sfoggiavano la loro impareggiabile maestria pittorica, usando una tavolozza di raffinate tinte, stese a piene mani sulla fascia di mare fino all'orizzonte, sul cielo denso di nuvole barocche, sulla massa imponente della rocca e sul chiaro-scuro dell'abitato sottostante" (p.21).



Comunque non sono rare, in autunno, anche le giornate prettamente calde e soleggiate. Dopotutto siamo in Sicilia e qui l'autunno è generoso. C'è chi fa il bagno fino a novembre, anche se l'acqua è ormai fresca, per un "arrivederci" al mare tra schiuma, vento e il corpo, leggero, abbandonato all'acqua ancora una volta. C'è chi passeggia sul lungomare sbracciato, con i piedi nella sabbia ancora calda.
Ma non è lo stesso mare e non è lo stesso caldo. Tutto è ritemprato dall'autunno. Dal ragionamento.
Appena ci si affaccia sul lungomare, uscendo dal paese, la luce autunnale ci investe e il vento ci accoglie. E ci si sente sereni e appagati, niente ci spaventa. 
Si respira con le narici aperte, a pieni polmoni, i battiti del cuore rallentano e si vorrebbe che questa sensazione di equilibrio tra corpo e anima, questo benessere, durasse per sempre. Che fosse sempre autunno. Perché l'autunno in Sicilia è sul serio un capolavoro di equilibrio. Con l'aria fresca ma non fredda, con la pioggia forte ma non duratura, con il sole caldo ma non bollente, con il vento intenso ma non fastidioso, con il mare agitato ma non in burrasca, con la luce accesa ma non abbagliante.

Ed è tempo di capùna (in italiano: caponi).
Quando questo pesce si inizia ad avvistare nel mare di Cefalù, è segno dell'arrivo dell'autunno. Infatti i pesci, di forma allungata, dalla livrea grigia con riflessi blu e il ventre giallo, in questa stagione si avvicinano alle coste per la deposizione delle uova.
Ecco allora apparire le rosse reti dei pescatori che preparano alla marina le barche per la pesca. I caponi si vanno a rifugiare sotto i sugheri di cui viene cosparsa l'acqua e rimangono intrappolati nelle reti, assecondando l'antica tecnica di pesca che si chiama "caluoma". Successivamente, per i vicoli si sentirà "vanniare" i pescivendoli, vantando la freschezza del pesce per richiamare le massaie e incoraggiarle all'acquisto. 
Ma oltre alla pesca, non possiamo dimenticare che l'autunno è tempo di vino novello e olive da cogliere per fare l'olio nuovo o da mangiare schiacciate o da conservare in salamoia. Ed è tempo di mosto in cui intingere gli sfinci (dolci fritti in olio e cosparsi di zucchero).

Anche il cielo serale, in autunno diviene più cristallino. Le nuvole squarciano il blu elettrico del cielo, rendendolo meno finto, meno invitante alla notte, ma più intimo e sincero.
Dell'estate restano soltanto le cose vere: quello che inizia in estate e continua a settembre ha il sapore delle cose che dovevano essere temporenee e diventano definitive, che resistono passato l'abbaglio della luce estiva. La vacanza diventa ricordo. Cefalù resta.

Camminate, in autunno. Ritrovate la pace di Cefalù, respiratene l'anima a pieni polmoni: il suo mare che diventa pescoso, ampio, la pulizia del suo cielo, la luce scomposta in così tanti colori.
Respirate la verità delle cose.
Presto sarà inverno...