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domenica 12 febbraio 2017

L'energia della Rocca di Cefalù

L'abitato di Cefalù, con la rocca che lo sormonta.

Torno a parlarvi, ancora una volta, di Cefalù: la splendida cittadina normanna, in provincia di Palermo, che ha catturato per sempre il mio cuore. Questa volta vorrei concentrare l'attenzione sulla Rocca che la sovrasta e da sempre ne è, indiscutibilmente, uno dei luoghi simbolo. Impensabile sarebbe immaginare Cefalù senza la sua Rocca, inscindibile dall'abitato che vi si stende ai suoi piedi: sono un tutt'uno, il paese e questo gigante di roccia che lo rende riconoscibile a distanza. Unico, infatti, è il profilo di Cefalù, che già al primo sguardo si distingue da tutti gli altri paesi, proprio per questa meraviglia della natura adagiata alle sue spalle. E' la prima cosa che appare da qualsiasi parte vi si giunga. Imponente e caratteristica, la Rocca è sempre presente, indissolubilmente legata alla cittadina. I cefaludesi sono soliti paragonare il loro paese alla forma di una lumaca: osservandolo da lontano, in effetti, le case ricordano il corpo dell'animale, la cattedrale le antennine e la Rocca il guscio. E proprio come un vero guscio, la Rocca offriva, nel passato delle invasioni, riparo al paese, e ancora oggi, fosse anche soltanto psicologicamente, protezione. Imprescindibile gigante di pietra, veglia sulle case e sugli abitanti come un custode, fedele nei secoli, e testimone della vita che scorre al di sotto di sé. Conferisce a Cefalù, oltre un aspetto unico e riconoscibile, anche un'idea di solidità, di forza e di autorevolezza. 
Ma bando alle ciance: saliamo! Oggi voglio condurvi fino alla sua cima, a 268 metri di altezza.
La salita inizia oltrepassato corso Ruggero, oltre il dedalo di viuzze con le case più antiche, costruite proprio ai piedi della Rocca. Qui inizia il percorso, a tratti abbastanza impegnativo, che però vale assolutamente la pena di affrontare. Il primo tratto è occupato da un sentiero a zig zag che sale all'ombra di una pineta, fino ad arrivare al cancello d'accesso vero e proprio. Qui inizia un percorso leggermente più faticoso, ma che abbastanza brevemente vi condurrà all'area archeologica e, soprattutto, alle mura di fortificazioni della Rocca. E' da qui che si gode uno dei panorami più belli in assoluto di Cefalù. Oltre i merli, il precipizio. Oltre il precipizio, lo spettacolo: la vista spazia sulla spiaggia, i promontori e la costa. L'anima esulta. E se ci affacciamo, tra gli spazi vuoti che lasciano i merli, ecco comparire, tutto sotto di noi, anche il paese.


Panorama dalla Rocca di Cefalù.
Il Duomo di Cefalù e l'abitato, visti dalla Rocca, in inverno.

Il Duomo imponente. Solido e dominatore. L'abitato del centro storico, fatto di casette da tetti di tegole, una addossata all'altra. Tutto il paese proteso verso il suo mare. Di un blu profondo. E noi, dall'alto, spettatori di questa meraviglia.
Questo panorama è destinato a cambiare con le stagioni. L'inverno è sicuramente il periodo per trovare la migliore condizione di luce sull'abitato. Risaltano i colori del paese, illuminato dalla luce fredda tipica di questo periodo dell'anno, che regala una precisione di dettagli alla visione. Il blu del mare a contrasto con l'arancio dei tetti è al massimo della sua potenzialità. In estate risulterà più sbiadito, non per questo meno suggestivo, ma diverso, ecco tutto. La luce calda dell'estate, tutta dall'altra parte, valorizza maggiormente le costruzioni fortificate della Rocca stessa. Il paese risulterà leggermente evanescente, quasi un tutt'uno col suo mare, in un'atmosfera rarefatta e incantata. Meno definito, meno preciso del panorama invernale. Forse proprio per questo maggiormente tendente all'incanto e meno alla rigorosa bellezza. Se potete, regalatevi questa vista in entrambe le stagioni. Solo così ne avrete una coscienza completa.

Passaggio tra le mura fortificate.
Panorama estivo dalla Rocca di Cefalù, tra i merli.


Continuando a salire verso la sommità della Rocca, il percorso si fa più duro, non  adatto a tutti, non esattamente agevole. Si sale in un sentiero a zig zag ora impervio, fatto di terra e di pietre, quasi tutto esposto al sole, lungo e in pendenza. Consola l'altitudine: sentirsi sempre più alti, sempre più vicini alla conquista della meta. E il profumo di mare e di pini. E i gabbiani a cui siamo più vicini nel volo. E le aquile che sfruttano le correnti ascensionali delle Madonie. E la sensazione di allontanarsi sempre di più dalla civiltà e nello stesso tempo di dominarla, dall'alto. Arrivano ancora i suoni del paese, qui. Il treno che si ferma in stazione, gli schiamazzi dei bagnanti in spiaggia, le voci. Quella del mare su tutte. Eppure siamo già fuori da tutto questo. Qui su, dove non ci vede nessuno e noi vediamo tutti. 
E una strana energia, che pare provenire dalla roccia stessa della Rocca, ci spinge ad andare avanti. Frena la stanchezza, sprona a riprendere il cammino, a vincere la sfida. Ci sentiamo carichi, euforici, ricchi della consapevolezza dell'esperienza che stiamo vivendo. E' questa, la vera anima della Rocca. L'energia che emana. Sarà dovuta dalla posizione geografica strategica che occupa: a chiudere le Madonie, circondata dal mare. Sarà che effettivamente da qui si domina tutto il paese. Sarà che da sempre ha protetto i suoi abitanti dagli invasori. Sarà l'alone misterioso e mistico che la circonda. Sarà come sarà, con questa energia arriviamo in cima, ricaricati. Qui troviamo i resti di una castello medievale: "U Castieddu"Il panorama amplissimo e il senso di conquista ci accompagnano.

                                    U castieddu. Rocca di Cefalù.
 
E dopo aver sostato abbastanza da fare nostro il luogo e la sua anima, si inizia la discesa. Percorso opposto, affrontato con anima appagata e la voglia, ora, di tornare a far parte della vita degli abitanti che la Rocca spia e protegge dall'alto. Perché la sentiamo un po' come una madre, che veglia su di noi, la Rocca: è sempre alle nostre spalle, ma guarda e ci lascia fare. Testimone silenziosa di amori, di segreti, di liti, di nascite, di morti e di vita. Tutto avviene sotto la sua ombra protettrice. Laggiù in paese. E i paesani la amano, la loro Rocca. Non a caso è legata a moltissime manifestazioni tradizionali. Come non ricordare la grande croce di metallo posta proprio alla prime fortificazioni di cinta, che viene illuminata durante i festeggiamenti del patrono San Salvatore? Come dimenticare la suggestiva illuminazione dei merli della Rocca il 31 dicembre, in occasione della Vecchia Strina? Una sorta di Befana che secondo la tradizione vive sulla Rocca e scende in paese l'ultimo dell'anno a portare caramelle ai bambini.

E mi piace lasciarvi così, con il massimo della suggestione: quando scende la sera e noi siamo ancora sulla Rocca.
Eccola. Se guardate bene c'è sempre una luce che si accende prima di tutte le altre, in qualche casa. E poi, magicamente, iniziano ad illuminiarsi tutte quante. E viene accesa la Cattedrale. Si illumina piazza Duomo, si illuminano le strade. Da qui le viuzze che si intersecano diventano percorsi di luce. Ci si prepara alla sera. E il mare diventa scuro e profondo. Ampia la costa. Possibile sognare. Finalmente...
Arrivederci cara Cefalù.






giovedì 7 aprile 2016

L'eleganza ammaliante dei cigni sul lago di Bracciano


Ho già scritto del lago di Bracciano. E' vero.
Ho già parlato dell'eleganza ammaliante dei cigni che lo abitano. 
Ma ancora una volta non posso fare a meno di notare lo spettacolo che regalano questi animali mentre nuotano lambendo la superficie dell'acqua, nel tardo pomeriggio. Quando cala la luce prepotente del giorno e dà spazio al primo blu della sera. Quando il cielo si fonde col lago e inizia a salire un vapore nebbioso che, a largo, disegna isole irreali.
E' in questa atmosfera incantata, di una giornata ancora invernale, che decine di cigni compaiono a popolare il lago. Alcuni in gruppetti, alcuni solitari. Alcuni beatamente fermi nel mezzo, come a godersi pigramente l'ultima parte del giorno; altri diretti verso la riva, come a volersi mostrare in tutta la propria bellezza.

Delicati, eterei, dal soffice piumaggio bianco. Da sempre massimo simbolo di eleganza e di raffinatezza, eccoli cercare con i bei colli affusolati  il nutrimento. Eccoli sospesi su un'acqua appena increspata dal tenue riflesso, nel momento della giornata che segna il passaggio tra la frenesia del giorno e la quiete della notte. Un momento di pace e di serenità. Di meditazione e di pura bellezza.

E quando la sera si fa più insistente, con la genuina complicità di un pallido tramonto invernale, i cigni si radunano tutti insieme. Come a farsi compagnia per affrontare la notte, come se fosse un rito per salutare il sole che sta andando a dormire e la giornata finita che non tornerà più. Tutti insieme a godere dell'ultima luce, ad aspettare il riposo notturno.
E vederli così, tutti pacatamente insieme, quieti, è una scena che coinvolge, che incanta, che non può far rimanere indifferenti. E' bellezza. E' sogno. E' poesia.



E come se non bastasse, le sorprese che riservano questo lago e i suoi abitanti, non sono mai troppe. Quando pensi di aver già visto tutto, di aver già assistito alla più meravigliosa delle scene, ecco apparire, d'improvviso, l'imprevedibile. Tra cigni dal consueto piumaggio bianchissimo, ecco nuotare, inconsapevole della propria straordinarietà, un cigno nero. Sì: proprio quello talmente raro che si usa prenderlo come esempio per indicare qualcosa difficile da trovare, di inconsueto e improbabile. 

Elegante più dei bianchi, col suo piumaggio scuro e il becco rossissimo. 
Placido scivola sull'acqua, inconsapevole di catturare tutta l'attenzione e tutti gli sguardi di coloro che passeggiano sul lungolago e lo indicano, stupiti per quel colore insolito.  Opposto al bianco a cui sono abituati. 
E lui se ne sta lì, tra gli altri cigni. Uguale ma diverso. Bello proprio per questo. E ammaliante più di tutti. 

















Impressioni d'inverno al lago di Canterno


Lago di Canterno, panorama

A sorpresa, nascosto tra i boschi di una strada provinciale, tra i territori di Fiuggi, Alatri, Trivigliano, Fumone e Ferentino, dove proprio non immagineresti di trovarlo, improvviso, abita il territorio il lago di Canterno. Prima un rivolo d'acqua, che dà l'impressione d'esser solo un ruscello alimentato dalle piogge invernali, poi zone umide più consistenti. E infine compare tutto, il piccolo prezioso lago. Riserva naturale regionale, incorniciato dai monti Ernici, è di origine carsica. 
Quello che colpisce, istantaneamente, è la natura riservata e silenziosa di questo luogo. 
E' intimo, appartato. Abbandonato dall'uomo. Affidato esclusivamente alla natura. Alla sua cura.
Poche volte ho trovato luoghi così solitari tanto vicini alla civiltà. Sarà l'inverno, sarà che sono tutti attratti dalle cure termali di Fiuggi o dal Castello di Fumone, ma qui pare passare veramente poca gente. Come se non lo conoscessero, come se fossimo i soli ad averlo scoperto per sfacciata fortuna. O i soli a cui è miracolosamente concesso viverlo. Questo, ovviamente, contribuisce ad aumentare il fascino del lago, già di per sé bellissimo. Lo rende quasi un miraggio nato dall'immaginazione nel freddo di un fine dicembre. Un regalo inaspettato. Reale o immaginario non conta.

Alberi sommersi dall'acqua nel lago di Canterno

La seconda sorpresa, dopo il lago in sé per sé, si nota quasi subito. Scendendo verso la riva, tra sentieri di terra e di foglie, eccola di fronte a noi: tra le acque del lago, come galleggianti, emergono parzialmente alberi sommersi; una piccola foresta con i tronchi sott'acqua. Bianchissimi svettano in contrasto netto con l'acqua azzurra nella quale si specchiano, riflettendo le forme arzigogolate dei loro rami spogli invernali.
Un paesaggio raro e affascinante. Regalatoci dalla forte instabilità del lago, che aumenta la sua portata fino a sommergere gli alberi circostanti, per poi ridurla nei periodi di secca e lasciare riaffiorare le radici all'aria, liberandole dalla prigionia dell'acqua.

Alberi sommersi dall'acqua nel lago di Canterno
Uno spettacolo magico e spettrale al tempo stesso. Di una bellezza malinconica e prepotente, esaltata dai colori freddi di una mattina invernale, che scolpiscono le cortecce degli alberi e incidono la maestosità dei tronchi rapiti dall'acqua. Custoditi per connubio d'amore o per gelosia. Uniti in un tutt'uno, nel bene o nel male. Con la promessa di una bella stagione che venga a sciogliere questa unione ora inevitabile dal predominio dell'acqua. 

Ma il lago di Canterno non è solo questo. E', indubbiamente, anche panorami preziosi. Con i monti innevati che lo circondano, i borghi che si intravedono sulle colline, e le piccole isole di terra che affiorano, anch'esse, dalle acque del lago. L'impressione è di trovarsi in un lago di alta montagna. Un paesaggio rarefatto dall'aria invernale. Illuminato da una luce fredda. Dura. Che tuttavia scolpisce con maestria ogni dettaglio di pietra e terra e acqua.
E poi gli elementi della natura, che qui ci sono tutti. I prati verdissimi alternati alla terra bruna, le pietre grigie che spiccano tra il panorama, i boschi e le colline d'intorno. Un paesaggio che invita a camminare, con lunghe passeggiate nei prati che circondano il lago, col vento fresco come unico compagno nella solitudine. Raccogliere qualche pietra da lanciare in acqua solo per incantarsi a vederne i cerchi che produce sulle superficie. Toccare con mano la terra, così materiale. Così viva. Scoprire cosa c'è oltre il bosco. Sempre un albero più in là. Ancora oltre. E pensare nel silenzio della natura.

Panorama del lago di Canterno
 
A doverla descrivere, l'anima di questo lago, non esiterei a definirla intima e forte. Un luogo poco conosciuto, poco frequentato, lasciato alla saggezza della natura selvaggia. Un'anima che non ha timore di esprimersi, che si riversa nella bellezza di un paesaggio incontaminato, duro a tratti, ma sicuramente emozionante. Un luogo che basta a se stesso. Con un carattere definito, unico nel suo genere. Che non ha timore della sua solitudine, anzi ne fa punto di forza per potersi esprimere completamente.
E che vi aspetta. Se siete pronti a confrontarvi con voi stessi e con la natura, in una fredda giornata invernale.


venerdì 27 dicembre 2013

Inverno a Cefalù


L'inverno è la stagione in cui preferisco Cefalù. 
Può darsi sia per il fascino del proibito. Frammenti di tempo rubati alla vita quotidiana. Scappare a Cefalù senza la legittimazione della vacanza. Lontano dal caldo dell'estate, dal prolungamento delle vacanze a settembre, dell'anticipo delle vacanze a maggio.
No, in inverno c'è solo la voglia. E il bisogno.
Un irrefrenabile bisogno di mare e di luce, proprio quando ce n'è maggiore carenza. Proprio mentre tutti gli altri sono in città e nessuno più pensa all'estate passata né ancora a quella futura. 
E' proprio in questo momento che, stare qui, diventa privilegio.

Cammino. Nel primo pomeriggio, quando il sole pallido di gennaio si fa rasente al mare e il vento tira più forte. Il lungomare senza gli stabilimenti è bellissimo. E' un regalo che mi concedo fuori stagione. L'odore del mare lo accompagna.
La spiaggia ha dune di sabbia intatte, modellate dal vento.
Il mare è mosso. Si formano pozze d'acqua lungo la battigia.  

 








Ci si riflette il profilo del Duomo. 
Un dipinto di acqua e di luce.
Accennato da pennellate blu e gialle. 
I colori densi e l'aria, invece, leggera.

Il mare d'inverno attrae inesorabilmente. Dimentico l'interno del paese e mi concentro tutta sul mare, sulla luce, sui colori. Su quello che mi è così tanto mancato nei mesi precedenti e di cui ora faccio il pieno. Spremo il giorno. Non voglio perderne neanche un minuto.
E poi, piano piano, nel tardo pomeriggio, sale una nebbiolina rosata. Il profilo del paese si dissolve, avvolto in una coltre di sogno.

Non è indifferente a questo paesaggio nemmeno Steno Vazzana che, in "Cefalù fuori le mura", ed. Dell'Arnia, Roma, 1982, scrive:
"Anche il cielo coperto e le mareggiate invernali filtrano e rifrangono la luce d'occidente, sempre ugualmente opportuna alla bellezza del paesaggio, sia che si illanguidisca nelle gradazioni di grigio, sia che si accenda di appassionanti riflessi violacei".
Sono proprio questi tramonti, che in inverno sorprendono il visitatore. Siano essi, appunto, quelli dai riflessi violacei, quando la nebbiolina rosa si posa sopra l'abitato e sfuma le onde del mare rendendole color magenta, fino a che il paese non sembri scomparire e riapparire come una visione, sospeso tra cielo e mare...       

                                                                         

 ... O siano quelli, a mio avviso ancora più sorprendenti, delle giornate di pioggia. Quando all'improvviso, nel grigio del cielo, si aprono squarci di bianco e blu, e dalle nubi filtra una luce dorata intensissima, che si posa soltanto sul paese, e il mare riflette il colore blu elettrico del cielo. Tramonti come questi, non possono essere accompagnati da sufficienti parole.
Sono pura perfezione.
Penso che il senso della vita sia racchiuso in questi momenti. Seduta su una panchina del lungomare, a gennaio, a godere del meraviglioso spettacolo della natura. A innamorarsi di questa luce. E sentire struggere il cuore, per tale perfezione. Così meravigliosa da essere insostenibile. Con il paese tinto da tale luce dorata, quasi divina, e il blu tutt'attorno.



Spettacoli così, si possono godere solo in inverno.
Cefalù, in questa stagione, vuol dire ampi spazi, libertà, l'anima libera di andare. La tua. Che si unisce a quella del luogo, per urlare insieme al mare in tempesta. Sì, in inverno l'anima di Cefalù è nella sua pienezza. E' ovunque. Prepotente. Assoluta. Percepibile con tutti e cinque i sensi: nell'odore avvolgente del mare, nei colori freddi invernali, eppure coinvolgenti, nel rumore del mare in tempesta che arriva fin nei vicoli più interni del paese, nel sapore di salsedine che ti resta sulle labbra dopo una passeggiata a lungomare, nella sabbia fredda sotto i piedi.

Il cielo è immenso (o forse qui si riesce a guardare il cielo). 







Gli alberi spogli del lungomare incorniciano il paese con i loro rami secchi.


 
Cosa volere di più?

Dal mio libro "Il tempo della casa del pino", ecco una descrizione delle sensazioni che suscita  una sera d'inverno, a Cefalù:
"Prima di andare a casa, nonostante faccia freddo, restiamo seduti cinque minuti su una panchina. Salvo si fuma la sua sigaretta, io guardo ancora il mare. Non c'è più luce ma non è ancora buio. E' un momento magico: tornate le barche a riva, ritirate le rosse reti dei pescatori, è il momento di salutare il giorno e di fermarsi a riposare. Pian piano scivoliamo verso la bellezza della sera. Il pensiero si dilata e si fa più profondo. Tutto diventa pacato, gli uomini si fanno delicate presenze e la natura riprende il sopravvento. 
Siamo anime silenziose di fronte al cielo blu e alle prime luci accese delle case del paese; ci sembra di aver vissuto altre mille volte questi momenti.
Sono immagini della memoria, evocative di quelle sere che ci portiamo dentro, o forse della "sera" della nostra stessa vita, quando, smessa la fatica del giorno, prima della notte, è il momento in cui si riesce a sentire il respiro della terra.
Passato l'attimo, l'attimo che separa il giorno dalla notte, è come se il tempo riprendesse a scorrere e noi a vivere. Ci incamminiamo alla luce dei lampioni che proiettano le nostre ombre sull'asfalto".

Cos'è, dunque, l'inverno, se non riposo, pensiero, sospensione?
Ed è incantevole, questo inverno, qui.
Serbatelo dunque nel cuore, riposatevi ammirandolo, ma siate pronti a ricominciare a sorprendervi.
Presto sarà di nuovo primavera...